Daniel Pearl: una vittima dell’antisemitismo islamico troppo presto dimenticata

 
Emanuel Baroz
22 febbraio 2010
9 commenti

Come ogni anno in questo triste anniversario riproponiamo la storia di Daniel Pearl, il giornalista statunitense rapito e poi barbaramente ucciso mediante decapitazione (avete letto bene….) da parte di terroristi islamici che ripresero anche la scena con una telecamera ed inviarono poi il macabro video (che vi risparmiamo) alle autorità pakistane. Ricordiamo le ultime parole che questo povero ragazzo fu costretto a dire prima di essere ucciso: “sono ebreo, mio padre è ebreo, mia madre è ebrea”. Il suo ricordo sia in benedizione.

daniel pearl focus on israelNew York – Un video raccapricciante finito ieri nelle mani della polizia pakistana, e poi dell’ Fbi, mostra il corpo sudicio di sangue e senza vita di un giornalista americano: Daniel Pearl. L’ inviato del Wall Street Journal è stato assassinato dalla banda di integralisti musulmani che lo aveva rapito a Karachi il 23 gennaio. E’ l’ ultimo caduto, dopo Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli e migliaia di altri ufficiali e sottoufficiali del giornalismo mondiale, nella guerra infinita per una informazione onesta, difficile, scomoda.

Trentotto anni, laurea a Stanford, una brillante carriera, moglie francese e bimbo in arrivo, Pearl era da un anno corrispondente del Journal da Bombay. I suoi amici ci raccontano di una personalità «magnetica», capace di afferrare l’ attenzione di tutti gli interlocutori. A gennaio si precipitò in Pakistan per una pista che confidava ai colleghi «avrebbe fatto capire molte cose». Si trattava dei collegamenti tra Richard Reid e Osama Bin Laden, tra il “bombarolo della scarpa” che a dicembre tentò di far esplodere l’ aereo Parigi-Miami e il leader indiscusso (e invisibile) di Al Qaeda.

Ma “Danny” così lo chiamavano gli amici non ha avuto fortuna. Intercettato dalla banda di Ahmed Omar Saeed Sheikh, giovanissimo leader integralista con passaporto britannico, fu rapito il 23 gennaio a Karachi mentre sperava, uscendo da un ristorante, di intervistare lo sceicco Galiani, uno dei leader dell’ integralismo pachistano. Pochi giorni dopo lo fotografarono con una pistola puntata alla tempia e consegnarono l’ immagine alla Storia via email.

Lo umiliarono. Lo ferirono. Lo fecero passare (senza ragione) come agente della Cia e poi del Mossad. Come riscatto pretesero dagli Stati Uniti la liberazione dei detenuti pachistani nelle gabbie di Guantanamo, la base americana nella costa meridionale dell’ isola di Cuba. Una condizione, questa, che nessun presidente americano avrebbe mai accettato. Tanto meno George W. Bush. In compenso la Casa Bianca chiese al generale-dittatore-presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, di fare tutto il possibile per salvarlo. Di qui l’ arresto dello sceicco Galiani, subito rimesso in libertà perché non c’ era alcuna prova contro di lui; poi l’ arresto dello stesso Omar.

«Pearl è vivo», assicurò Omar.Gli permisero di mandare un messaggio in codice ai suoi complici: «Per favore disse con la posta elettronica mandate il paziente dal dottore». La risposta (laconica ed elettronica): «Il paziente è morto». La conferma: il video rossosangue nelle mani dell’ Fbi. Poi l’ annuncio del dipartimento di stato alle dieci e mezza di ieri sera: «L’ assassinio di Daniel Pearl è un oltraggio alla convivenza pacifica. Assieme al Pakistan, faremo di tutto per individuare punire i colpevoli». Marianne, lei, ha deciso di non parlare: «Non concederò interviste», ha fatto dire la moglie di Pearl da un amico di famiglia. Il quale ha letto di fronte ai microfoni delle televisioni californiane il comunicato. «Siamo tristi, le paure più gravi sono diventate realtà: pensavamo che nessuno avrebbe torto un capello a una anima così dolce. L’ assassinio di Danny va al di là di ogni atto razionale. Per noi era un figlio, un fratello, uno zio, un marito e il padre di un bambino che non potrà mai incontrarlo». «Era anche un musicista continua il comunicato della famiglia era uno scrittore, un cantastorie, un architetto di ponti interculturali. Era pieno di sole, di verità, di spirito umoristico, di senso dell’ amicizia. Ci sentiamo vicini agli amici che lo hanno conosciuto e a una umanità che dovrà vivere d’ ora in poi senza di lui».

Assunto nel 1990, Pearl aveva lavorato per il Journal da Atlanta, Washington, Londra e Parigi, dove scriveva sul Medio Oriente e dove aveva conosciuto Marianne, una ragazza serena, dai capelli ricci, con cui condivideva gli sconforti professionali e le speranze esistenziali. Insieme si erano trasferiti a Bombay alla fine del 2000. A dispetto della pancia, cresciuta nonostante il sequestro, lei ha fatto di tutto per convincere i rapitori: «Non dovete fargli del male, non vi serve a niente», ripeteva la moglie nelle interviste televisive. «Danny vi serve più vivo che morto», diceva negli appelli.

Ma gli sforzi di Marianne sono stati vani. Dopo quasi un mese di speranze e delusioni, di sforzi e sogni, di fotografie ottimiste e di messaggi ufficiali (compreso quello del presidente pachistano Musharraf: «E’ vivo»), quello di Daniel Pearl è l’ ultimo oltraggio, l’ ultimo insulto al giornalismo internazionale. Suo figlio, ha detto ieri George W. Bush, conoscerà il padre solo per interposta persona.

(Fonte: Repubblica, 22 Febbraio 2002, pag. 12, titolo dell’articolo: Assassinato il giornalista rapito, autore: Arturo Zampaglione)

Nella foto: un estratto del video consegnato dai terroristi alle autorità pakistane

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  • #1Emanuel Baroz

    Pakistan e Stati Uniti

    L’ imbarazzante mistero Daniel Pearl

    di Bernard Henri Levy

    Fra gli altri difetti, ho quello della testardaggine. E a sottolineare la testardaggine c’ è un rovello che francamente, malgrado il tempo che passa e le sue presunte virtù consolatorie, non riesco a superare: si tratta dell’ inchiesta sulla morte di Daniel Pearl. Da quando, nella primavera del 2003, è uscito il mio libro sulle circostanze e le ragioni di questa morte (Chi ha ucciso Daniel Pearl? Rizzoli, ndr), sono emersi certi elementi che hanno contribuito a rafforzare, arricchire o semplicemente confermare le mie conclusioni.

    Per esempio, abbiamo visto verificarsi le mie ipotesi su Abdul Kader Khan, l’ inventore della bomba pachistana: di lui segnalavo che il giornalista del Wall Street Journal, nel momento in cui venne rapito, stava per scoprire il ruolo che aveva avuto, e che ancora aveva, nel trasferire le proprie competenze tecniche verso l’ Iran, la Corea del Nord e, forse, Al Qaeda.

    Abbiamo visto ricomparire l’ ex numero tre di Bin Laden, Khalid Sheikh Mohammed: di lui suggerivo che fosse stato mollato dai servizi segreti pachistani, poi consegnato, se non venduto, agli americani, alla vigilia della seduta del Consiglio di sicurezza dove il presidente Musharraf aveva intenzione di votare contro la guerra in Iraq.

    Adesso ci vengono a raccontare – ma a questo, invece, non credo – che sotto tortura Sheikh Mohammed avrebbe confessato di aver sgozzato con le proprie mani il giovane giornalista.

    Ora, ecco che gli amici pachistani con i quali sono rimasto in contatto mi annunciano che un terzo elemento, di enorme importanza, viene ad aggiungersi alla lista: la riapparizione e poi la morte di Saud Memon, il ricco mercante di Karachi che era il proprietario del terreno di Gulzar-e-Hijri, dove Daniel Pearl fu detenuto, decapitato e sotterrato.

    Sì, la riapparizione e la morte di Memon, il personaggio più enigmatico di questa vicenda, il tassello mancante del puzzle, proprio l’ uomo con il quale avevo appuntamento l’ ultimo giorno del mio ultimo soggiorno, quando invece, in una casa in rovina, alla fine di un dedalo di stradine, di sentieri e di fognature a cielo aperto, ero riuscito soltanto a vedere un suo zio infermo.

    L’ elemento nuovo, quindi, è che l’ uomo chiave dell’ affare Pearl, colui che, penso, ne conosceva tutti gli ultimi segreti, sia morto qualche giorno fa, all’ insaputa di tutti, nel centralissimo Liaquat National Hospital di Karachi dove, all’ epoca, avevo già ritrovato le tracce di un militante di Al Qaeda che si diceva fosse in fuga.

    Il fatto è che prima, qualche settimana prima del suo trasferimento urgente in ospedale, Memon, il rappresentante di una delle famiglie più facoltose della capitale economica del Paese, era stato ritrovato, gettato come un cane su una discarica di spazzatura vicino alla casa di famiglia, in stato di incoscienza, il corpo scheletrico e, apparentemente, senza più memoria.

    Ma l’ elemento nuovo è anche di avere avuto finalmente l’ informazione che mi faceva difetto il giorno dell’ appuntamento mancato con lui: proprio quella mattina, sapendo che lo stavano per arrestare, aveva lasciato il Paese per prendere il volo verso il Sud Africa.

    Dopodiché fu catturato, quasi subito, dagli agenti dell’ Fbi; trasferito e tenuto in detenzione per due anni a Guantanamo; poi, probabilmente nell’ estate del 2005, consegnato ai servizi segreti pachistani che l’ hanno «trattato» per due anni. Sorvolo sulle torture che, pare, furono inflitte a quest’ uomo e che ancora una volta sollevano il problema dei metodi utilizzati dai servizi segreti del Signor Musharraf. Sorvolo sul fatto che sia stato rapito, in pieno centro di Pretoria, e rinchiuso a Guantanamo, il che pone la questione, ancora una volta, dei non meno inaccettabili metodi degli Stati Uniti nella loro guerra contro il terrorismo.

    Per me, questa storia è decisiva per almeno tre ragioni.

    Essa conferma quello che ho sempre detto sul «buco nero» del Pakistan, un Paese apparentemente normale, alleato dell’ America, ma che in realtà è un formidabile vivaio di jihadisti che abitano nelle sue grandi città, a volto quasi scoperto, e vi esercitano, come Memon, professioni del tutto rispettabili. I pachistani li tengono in caldo e li mollano con il contagocce, sapientemente, secondo le circostanze e le necessità della loro movimentata alleanza con Washington.

    Essa conferma quello che, insieme a un certo numero di persone, ho sempre percepito dell’inspiegabile disagio americano nei confronti dell’inchiesta sulla morte di Daniel Pearl che si sarebbe dovuta trattare, da tempo, come una priorità assoluta, una grande causa nazionale, un obbligo morale e politico.

    Invece, tanti sottintesi, reazioni imbarazzate o mezze verità: perché, per esempio, non averci detto nulla, da quattro anni, sull’ arresto dell’ uomo chiave di questa vicenda? Perché aver aspettato che perdesse la memoria, e che morisse, per lasciar filtrare l’ informazione? E cosa si aspetta oggi per riferirci – come si è preteso di fare per Khalid Sheikh Mohammed – quello che ha rivelato agli inquirenti dell’ Fbi, poi dell’ Isi (Inter Services Intelligence), durante i quattro anni di detenzione? In altre parole, questa storia conferma che la terribile vicenda di Pearl, annunciatrice della nuova epoca quanto lo furono l’ 11 settembre o la morte del comandante Massud, resta misteriosa, o quasi, come il primo giorno. (traduzione Daniela Maggioni)

    (Fonte: Corriere della Sera, 30 Maggio 2007, pag. 36)

    22 Feb 2010, 17:36 Rispondi|Quota
  • #2laura carloni

    non sono ebrea, ma sono molto vicina al popolo ebraico, questi avvenimenti mi indignano tantissimo.

    23 Feb 2010, 06:25 Rispondi|Quota
  • #3Enrico

    Saluti a tutti, i responsabili sono saliti sulla sedia elettrica??

    23 Feb 2010, 14:17 Rispondi|Quota
  • #4angela Barbieri

    profondamente convinta che si debba trovare un accordo perchè due popoli che un tempo vivevano vicini e in pace tornino a parlare lingue simili , umilmente questa è la mia preghiera al DIO di tutti noi, una “gentile”

    23 Feb 2010, 19:57 Rispondi|Quota
    • #5Emanuel Baroz

      @ Angela: il suo augurio è quello di tutti, ma Daniel Pearl fu sgozzato in Pakistan da terroristi islamici….difficile vedere in tutto questo un qualsiasi legame con la questione israelo-palestinese

      23 Feb 2010, 20:40 Rispondi|Quota
  • #6Parvus

    Gli assassini di Daniel sono i classici eroi musulmani.
    Specialisti nel: Armiamoci e vai a farti saltare, e nell’assassinare vittime legate.

    23 Feb 2010, 21:21 Rispondi|Quota
  • #7Angelo

    Mi ricorda tristemente la storia del povero Quattrocchi .
    Questa canaglia non si fa problemi a sgozzare un prigioniero inerme . Come si fa a dire che dei simili codardi sono dei combattenti ? Sono solo dei volgari pirati.

    17 Set 2010, 12:11 Rispondi|Quota
  • #8Ted

    Possibile che, a tutt’oggi, nessuno abbia provveduto a ELIMINARE gli assassini di Daniel Pearl? Monaco ’72 non rammenta nulla? CHI PUò si svegli!!!

    6 Lug 2017, 00:36 Rispondi|Quota
  • #9Ted

    Ted ha detto:

    Possibile che, a tutt’oggi, nessuno abbia provveduto a ELIMINARE gli assassini di Daniel Pearl? Monaco ’72 non rammenta nulla? CHI PUò si svegli!!!

    QUESTI MACELLAI VANNO DISTRUTTI FINO ALL’ULTIMO ANIMALE!

    6 Lug 2017, 00:38 Rispondi|Quota