27 Gennaio, Giornata della Memoria: per non dimenticare

 
Emanuel Baroz
27 gennaio 2010
3 commenti

27 Gennaio, Giornata della Memoria: per non dimenticare

La testimonianza

Liliana Segre: «Ci deportavano ad Auschwitz, milanesi in silenzio»

di Sergio Harari

La superstite ricorda: «Il mio viaggio nel ventre nero della Centrale. Nessuna pietà per noi»

liliana segre focus on israelMILANO – «A calci e pugni fummo caricati su un camion e portati alla stazione Centrale di Milano. La città era deserta. I milanesi non provarono pietà per noi come (invece) i detenuti di San Vittore: se ne restarono in silenzio dietro le loro finestre. Ricordo che il camion percorse via Carducci, e io che ero in fondo, all’incrocio con corso Magenta scorsi la mia casa per un attimo…». «Poi il camion attraversò la città, fino a imboccare il sottopassaggio di via Ferrante Aporti, e ci ritrovammo nei sotterranei della stazione, binario 21. (…) Nessuno di noi conosceva quei sotterranei, quel ventre nero della stazione Centrale, che ora chiediamo diventi un luogo della memoria, perché migliaia di persone sono partite da quei binari e non hanno fatto ritorno».

Così raccontava l’internata 75190. Così raccontava Liliana Segre alcuni anni or sono nel libro-testimonianza «Sopravvissuta ad Auschwitz» (edizioni Paoline). Oggi, dopo anni di volenteroso e tenace impegno, viene posata la prima pietra del «Memoriale della Shoah di Milano», dove un tempo si trovava il binario 21. Era il 30 gennaio 1944, Liliana aveva 13 anni. Con lei altri 604 senza destino e tra questi i Silvera, amici carissimi della mia famiglia: il padre Lelio, la mamma Bahia Laniado e la giovane figlia Violetta. Racconta la Segre: «Mi ricordo il signor Silvera, che con altri uomini pii si metteva nel mezzo del vagone, si metteva il tallet (il manto rituale) sulle spalle e pregava (…). Violetta e io ci guardavamo, le speranze erano perdute». «Se anche dovessi camminare nella valle della morte, non temerei alcun male, perché tu sei con me», recita il salmo 23 salmodiato in ebraico «Gam Gam…».

Morirono tutti, come anche il papà di Liliana, Alberto; solo lei e pochi altri si salvarono. «Migliaia, anzi milioni di volte mi sono chiesta perché sono sopravvissuta alla Shoah. Ma non c’è risposta». Liliana sarà lì oggi, al binario 21, con un’altra sopravvissuta, Goti Bauer, una dolce, anziana signora, che mai nessuno, vedendola oggi, potrebbe pensare sia scampata all’inimmaginabile. Lei, che ad Auschwitz fu deportata e perse padre, madre e fratello, proveniente dal campo di Fossoli, confessa: «Ho sempre invidiato chi ad Auschwitz è arrivato da solo (…) chi non ha vissuto lo strazio della perdita dei genitori, dei figli, dei fratelli». Liliana e Goti ricordano a tutti che gli aguzzini nazisti continuavano a ripetere: «Morirete tutti, ma se per caso qualcuno tornerà e racconterà, nessuno gli crederà». Loro hanno perso, il «Memoriale della Shoah di Milano» ne è la prova, oggi il ventre nero è meno nero. Comprendere quello che accadde è impossibile, ma la memoria è necessaria per conoscere e ricordare ciò che fu e che mai più dovrà essere.

Corriere.it

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  • #1Emanuel Baroz

    Giornata della Memoria – Parla Virginia Gattegno, sopravvissuta all’inferno di Auschwitz

    «Auschwitz? Guardi, personalmente non mi va di ricordare quel periodo, ma noi che siamo gli ultimi sopravvissuti abbiamo il dovere di raccontare quello che è successo».

    Parla con tono molto determinato, pur tra il comprensibile dolore che riaffiora, Virginia Gattegno, veneziana che all’epoca della deportazione nella vergogna del Novecento era appena ventenne. Lo fa con uno sguardo intenso sentendo che chi, come lei, è riuscita a vedere la luce e una nuova vita ha un obbligo molto chiaro. Soprattutto nei confronti dei più giovani.

    Che idea si è fatta di queste iniziative per la Giornata della Memoria?
    «Sono fondamentali, troppo spesso le giovani generazioni o non sanno o sanno poco. In questo modo, tramite gli incontri e le commemorazioni, possono venire in contatto con la verità. Non è, purtroppo, un problema recente: negli anni Settanta, quando insegnavo alle scuole elementari, ricordo che il direttore non voleva che raccontassi la mia storia di sopravvissuta ai lager, temendo che gli allievi si impressionassero».

    Eppure si tratta di una delle pagine più sconvolgenti del secolo scorso?
    «Appunto, la storia dell’uomo è piena di brutte vicende, di guerre e di fame. Ma quella dei nazisti non era una guerra contro un nemico, era un vero e proprio sterminio deciso a tavolino. Una cosa terribile».

    Dove iniziò il suo calvario?
    «Mi trovavo a Rodi con la mia famiglia, i tedeschi non sembravano aggressivi. Un giorno dissero che dovevano controllare i documenti agli uomini. Capimmo subito che c’era qualcosa di strano, ma gli uomini andarono. Ben presto gli ebrei vennero rinchiusi a calci negli uffici e poi una nave ci portò al Pireo. Da lì ci caricarono su un carro bestiame per Auschwitz, un terribile viaggio di due settimane».

    Cosa ricorda dell’arrivo?
    «Ricordo la voce di una donna alla quale le era stato strappato il bambino, il freddo dell’inverno. Ci rinchiusero in baracche, ci rasarono e denudarono. Ben presto io arrivai a 35 chili. Adesso ho una sorta di ricordo “in bianco e nero” tra la neve e il freddo».

    Nel gennaio del 1945 la svolta.

    «Ecco, qui la descrizione fatta da Primo Levi è perfetta. All’orizzonte, da lontanissimo, vedemmo arrivare i soldati russi: finalmente la liberazione. Restammo lì ancora un po’, per coprirci ci diedero le loro divise. Poi, finalmente, iniziò il viaggio verso l’Italia insieme a mia sorella. Il resto della mia famiglia non era riuscita a sopravvivere, lentamente riprendemmo un po’ di energia».

    Lei dice spesso che nel dramma a volte ci sono esempi positivi.
    «L’umanità alla fine è riuscita a sconfiggere il male, ma quello che mi piace raccontare ai ragazzi riguarda proprio il campo di sterminio. Spesso andavo in cerca di cibo e trovai, in una baracca, una donna che stava facendo delle pizzette con la farina e l’acqua. Mi avvicinai e lei mi disse che se le avessi spaccato un po’ di legna, in cambio mi avrebbe dato una focaccetta. Ma quando presi l’accetta ero così debole che non riuscii a rimanere in piedi. Davanti a questa scena la donna, affamata come me, mi diede un po’ del suo cibo. Un gesto di solidarietà che non dimenticherò mai».

    (Fonte: Il Gazzettino.it, 31 gennaio 2010)

    2 Feb 2010, 12:39 Rispondi|Quota
  • #2Alberto P

    Il secondino di San Vittore che salvò i prigionieri ebrei

    Le SS non nutrivano le vittime delle leggi razziali: meglio lasciarle morire di fame che deportarle tutte. La guardia Andrea Schivo si oppose. E pagò con la sua vita…

    di Matteo Sacchi – Dom, 27/01/2013 – 09:30

    Quando si pensa alla Shoah la memoria corre subito ai campi di sterminio, agli orribili recinti di filo spinato descritti nei libri di Primo Levi, alla spettrale immagine dei forni raccontata da Vincenzo Pappalettera in Tu passerai per il camino.

    Ma lo sterminio, con le sue vittime, i suoi carnefici e i suoi eroi (quei pochi Giusti che cercarono di fermare il massacro, spesso a prezzo della vita), a volte ha avuto inizio in luoghi molto più vicini a noi.

    Luoghi che per la loro normalità e prossimità possono aiutarci meglio a renderci tangibile quella che Hannah Arendt chiamava la banalità del male.

    Ecco perché la mostra Il filo dimenticato 1943-1945 gli anni bui di San Vittore ospitata oggi nel IV raggio della Casa Circondariale San Vittore (Piazza Gaetano Filangieri 2, Milano) rappresenta un’occasione particolare per capire l’entità della tragedia costata la vita a milioni di ebrei. È ospitata proprio nel Raggio dove furono rinchiusi inizialmente gli ebrei lombardi che vennero prima trasferiti al V Raggio del carcere milanese e poi mandati nei campi di sterminio. Sulle lenzuola del penitenziario le detenute, su disegno e progetto di Alice Werblowsky, hanno realizzato degli «arazzi» che ricordano gli eventi di quei terribili anni. E grazie al contributo del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea la mostra è diventata l’occasione anche per ripensare alle vite e alle scelte di alcune delle persone che in quel carcere si trovarono a fare delle scelte difficilissime.

    Uno dei casi più incredibili e troppo a lungo dimenticati è quello di Andrea Schivo una delle guardie carcerarie dell’epoca. Come ha raccontato al Giornale il pronipote Giacomo Schivo: «Andrea, il mio prozio, era una guardia carceraria, secondino come si diceva allora, al carcere di Imperia. Poi venne trasferito a Milano e si trovò a capo del V raggio, quello dove erano imprigionati gli ebrei catturati nelle retate dai tedeschi». Schivo si trovò subito a fronteggiare una situazione terribile: «Nelle celle erano rinchiusi quasi solo donne, vecchi e bambini. Il piano dei tedeschi era chiaro, iniziare a farli morire di fame lì per doverne poi deportare il meno possibile. Il mio prozio, che aveva una moglie e una bambina, non riusciva a tollerare un orrore simile». Ecco che allora Schivo si organizzò come «staffetta»: «Entrava in carcere con dei polli cucinati dalla moglie nascosti sotto il cappotto, faceva entrare clandestinamente cibo nelle celle, e portava all’esterno le lettere dei prigionieri». Una scelta coraggiosa che però non poteva sfuggire all’infinito all’occhiuto controllo delle SS: «Un giorno un vecchio prigioniero ebreo dimenticò di nascondere un ossicino di pollo, le guardie tedesche lo notarono e capirono subito che da fuori arrivava del cibo. Torturarono l’anziano sino a che non fece il nome di Andrea Schivo». Schivo venne deportato nel campo di concentramento di Flossembürg (un campo durissimo, per non ebrei, dove si contarono più di 73mila vittime) dove morì di stenti il 29 gennaio 1945, due giorni dopo la liberazione di Auschwitz.

    «La mia famiglia l’ha saputo a guerra finita grazie all’interessamento del Cardinale Schuster. In famiglia abbiamo tramandato sempre la storia…». Poi nel 2006 è arrivato il riconoscimento di Israele che ha proclamato Andrea Schivo Giusto tra le Nazioni e nel 2007 è giunta anche la medaglia d’oro al valor civile consegnata da Napolitano. Questa estate alla eroica guardia è stata dedicata la scuola di Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte. E sul come mai la memoria collettiva si sia risvegliata così tardi il nipote di Schivo ha le idee chiare: «È stato un trauma terribile e nessuno voleva davvero ripensarlo o riviverlo». Invece Il filo dimenticato (la mostra sarà trasferita alla Energolab, in via Plinio 38, dal 3 febbraio al 10 febbraio) e il suo catalogo consentono di rivivere molto di quegli anni, dall’odissea di Liliana Segre (l’unica bambina sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz del treno partito il 21 gennaio 1944) al coraggio di Giuseppe Grandi che aiutò molti a fuggire in Svizzera. Ed è forse dalle memorie di Liliana Segre che si può recuperare il gesto più commovente. Mentre gli ebrei vengono portati via dal carcere i detenuti comuni se ne accorgono: «Ci gridavano: “Dio vi benedica, non avete fatto niente di male”. Ci vedevano dalle loro celle e ci lanciavano arance, biscotti, guanti, di tutto».
    Perché dietro le sbarre c’è chi continua ad essere un uomo.

    http://www.ilgiornale.it/news/cultura/secondino-san-vittore-che-salv-i-prigionieri-ebrei-879352.html

    27 Gen 2013, 11:35 Rispondi|Quota
  • #3Alberto P

    Nasce il ‘Memoriale della Shoah’ per non dimenticare l’olocausto

    Al Binario 21 della Centrale cerimonia ufficiale per l’inaugurazione dopo lunghi lavori di restauro

    Numerose le iniziative anche nei prossimi giorni, come il viaggio degli studenti medi a Mathausen

    di ZITA DAZZI

    Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva militare verso Berlino, arrivarono ad Auschwitz, scoprendo il più grande campo di sterminio creato dai nazisti nella Polonia occupata. Una data che, come tutta l’Europa anche Milano si ferma a ricordare. Alla presenza del presidente del consiglio Mario Monti, in piazza Edmond J. Sarfra 1 – ex via Ferrante Aporti 3 – la cerimonia ufficiale di inaugurazione del ‘Memoriale della Shoah’, al Binario 21, da dove partirono i convogli con i 700 ebrei milanesi da deportare nei lager nazisti e dei quali tornarono poche decine.

    Presenti, oltre al premier, il ministro al Welfare Andrea Riccardi, l’arcivescovo Angelo Scola, il sindaco Giuliano Pisapia, i presidenti della Regione Roberto Formigoni e della provincia Guido Podestà, oltre al rabbino capo Alfonso Arbib e al rabbino Giuseppe Laras. È solo una delle decine di iniziative previste in questi giorni in città. Per ricordare l’orrore che non può essere descritto a parole, anche quest’anno, l’assessorato all’Istruzione della Provincia, nell’ambito del progetto ‘I viaggi della memoria’, promuove la seconda edizione del viaggio in Austria per vistare i campi di concentramento di Mauthausen-Gusen e il castello di Hartheim, atroce luogo di sperimentazioni su persone indifese.

    Alle 6 di martedì mattina, da via Vittor Pisani a Milano, partono 9 pullman con oltre 400 studenti di 15 scuole superiori della Provincia di Milano (12 istituti superiori di Milano: Bertarelli, Cardano,
    Cattaneo, Conti, Cremona-Zappa, Galilei, Giorgi, Marignoni-Polo, Schiapparelli-Gramsci, Torricelli e i licei Marconi, Parini e 3 istituti della provincia: Bernocchi di Legnano, Puecher-Olivetti di Rho, Russel Bertrand di Garbagnate e Arese). I ragazzi andranno a visitare i lager di Mauthausen-Gusen dove vennero deportate e trucidate 200mila persone, di cui 8.000 italiani e il castello di Hartheim, dove i medici di Hitler, facevano esperimenti sui prigionieri portatori d’handicap.
    In occasione di questo decimo ‘Giorno della Memoria’, alle 20.30, l’Associazione Figli della Shoah organizza una serata commemorativa alla Sala della Provincia, in via Corridoni, per presentare il nuovo libro di Liliana Picciotto, “L’alba ci colse come un tradimento. Gli Ebrei nel campo di Fossoli 1943 – 1944” (Mondadori Editore).

    Mercoledì alle 18, sempre al Binario 21, (ingresso in via Ferrante Aporti 3), la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Milano, come ogni anno, si ritrovano per la memoria della deportazione degli ebrei partiti da Milano il 30 gennaio 1944 e nei mesi successivi. Questa commemorazione giunge nel 2013 alla sua diciottesima edizione consecutiva. Liliana Segre, sopravvissuta, partita quel giorno, all’età di tredici anni per Auschwitz, porterà la sua testimonianza. L’incontro si svolgerà negli spazi del memoriale della Shoah, che viene inaugurato oggi. Tra gli interventi: Claire Ly (sopravvissuta cambogiana), Giorgio Del Zanna (Comunità di Sant’Egidio), Rav Giuseppe Laras (Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro-Nord Italia). Jovica Jovic, musicista rom, suonerà richiamando la memoria “Porraimos” (lo sterminio dei Rom e dei Sinti).

    Al termine sarà possibile visitare i nuovi spazi del Memoriale della Shoah, sostare presso i vecchi vagoni posti sul binario 21, punto di partenza della deportazione, per ricordare le vittime della Shoah e di tutti i genocidi del XX secolo. Infine, i programmi del Comune per le scuole. Venerdì 8 febbraio, alle 9.30, al Cinema Anteo si terrà la proiezione del documentario ‘Memoria’ che raccoglie i racconti di 90 ebrei italiani relativi al periodo 1938-1945. L’iniziativa è rivolta agli studenti di seconda e terza media. Il film ‘Monsieur Batignole’ e il documentario ‘Memoria’ sono a cura di Anteo Spazio-Cinema e Servizio Scuole Aperte e Integrazione. Lunedì 4 marzo, dalle ore 8 alle ore 16, nella Sala Convegni di Palazzo Reale, è in programma un seminario di aggiornamento per docenti dedicato alle metodologie per l’insegnamento della Shoah in modo interdisciplinare e appropriato alle diverse fasce d’età. Ingresso gratuito e prenotazione obbligatoria all’indirizzo email: [email protected]

    (27 gennaio 2013)

    http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/01/27/news/nasce_il_memoriale_della_shoah_per_non_dimenticare_l_olocausto-51365283/?ref=NRCT-51385687-7

    27 Gen 2013, 11:37 Rispondi|Quota