Cerimonia 70° anniversario deportazione ebrei di Roma: il discorso del Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici

 
Emanuel Baroz
16 ottobre 2013
3 commenti

Oggi alla presenza del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano e delle altre massime cariche dello Stato, nella Sinagoga Maggiore di Roma si è tenuta la cerimonia in occasione del 70° anniversario della deportazione nazista degli ebrei di Roma, avvenuta il 16 Ottobre 1943. Riportiamo qui di seguito l’intervento dell’attuale Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Buona lettura.

AM ISRAEL HAI!!!

Cerimonia 70° anniversario deportazione ebrei di Roma: il discorso del Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici

napolitano-pacifici-sinagoga-roma-focus-on-israelSignor Presidente,

siamo qui nel Tempio Maggiore per commemorare e ricordare il 70° anniversario della razzia degli ebrei di Roma che avviò la stagione della caccia all’uomo nella nostra città fino alla liberazione del 4 giugno del 1944.

Averla qui con noi nel cuore del nostra Comunità insieme con la nostra collettività, in parte qui rappresentata, conferma, se ce ne fosse stato bisogno, la vicinanza dell’Italia, della condivisione del nostro dolore e della nostra Memoria. Una Memoria che sappiamo, come ci ha ribadito ieri il presidente del Consiglio, Enrico Letta, essere di tutti gli italiani.

E’ inutile nascondere che queste celebrazioni sono state accompagnate in questi giorni dagli echi della morte del torturatore di via Tasso e del complice nella strage delle Fosse Ardeatine (non vogliamo più pronunciare il suo nome). Un criminale che non essendosi mai pentito in vita ha proseguito la sua opera di carnefice, lasciando ai posteri un testamento in cui reitera i suoi comportamenti, i suoi “ideali”, le sue torture a via Tasso e le sue esecuzioni. Peggio ancora, la negazione delle Camere a Gas.

Un invano tentativo di intimidirci, ma tutta la nostra comunità come sempre non si è né piegata né spaventata.

Il fatto positivo è che questa vicenda ha aperto un dibattito che ci ha permesso di vedere il volto dell’Italia più bello. Un Paese unito dalle forze dell’Ordine, che ringraziamo, dalle forze civili, Istituzionali e religiose. Il Questore e il Prefetto di Roma hanno imposto funerali intimi e privati per “motivi di ordine pubblico”. Il Sindaco Ignazio Marino che, allineandosi a loro, ha vietato di ospitare la salma con una tomba, onde evitare diventi luogo di pellegrinaggi di nostalgici. Il Cardinale Agostino Vallini, a nome del Vicariato di Roma, ha rifiutato le esequie pubbliche nelle Chiese di Roma.

Per questo ci sentiamo orgogliosi di essere romani e italiani: abbiamo visto la società civile tutta in prima linea in questa battaglia di civiltà. Avete compreso il dolore dei familiari delle vittime e preso atto che quelle ferite non si sono mai rimarginate.

Grazie, Presidente.

Siamo qui per commemorare coloro che il 16 ottobre vennero presi casa per casa in ogni angolo della città, e non solo nel quartiere ebraico, in quella che fu percepita come “Città Aperta”. Una illusione che svanì grazie alle vergognose complicità con l’occupante nazista, dei funzionari dell’Anagrafe, delle Questure, dei militi fascisti, tradendo ancora una volta i propri cittadini ebrei, dopo le Leggi Razziste del 1938. Questo nonostante l’illusione che la raccolta dei 50 kili d’oro in sole 36 ore, tra il 27 ed il 28 settembre, garantisse la loro l’immunità.

Il 7 ottobre 2500 carabinieri del Lazio furono deportati nei campi d’internamento in Germania, su ordine del generale Graziani, forse, per evitare elementi di “intralcio” pochi giorni dopo. L’11 ottobre venne razziata la storica biblioteca della nostra Comunità con circa 7000 volumi risalenti all’epoca medioevale. Ancora oggi, Presidente, siamo alla ricerca di quei manoscritti che presumiamo siano in Russia e confidiamo nel suo sostegno e quello del Governo per il recupero.

1021 vennero catturati il 16 ottobre e solo 16 fra loro tornarono. Quindici uomini e una sola donna, Settimia Spizzichino.

Dopo il 16 ottobre altri 900 ebrei verranno catturati anche e sopratutto grazie all’opera dei delatori, che per 5000 lire vendettero i loro concittadini che cercavano inutilmente di scappare dalla furia nazifascista. Una somma che cambiava la vita di molti ma che consegnò poi alla morte altri. In pochi hanno pagato per questo. E chi ha subito un processo, ha pagato troppo poco. Chi riuscì a sottrarsi ai tribunali deve ringraziare le loro vittime che gasate ed infornate a Birkenau, non poterono inchiodarli alle loro responsabilità. Una puntuale descrizione possiamo leggerla nel libro di Osti Guerrazzi “Caino a Roma”.

Vi sono stati anche Conventi, ed è triste sottolinearlo, che aprirono loro le porte solo in cambio della conversione o di vile denaro. Esaurito, intere famiglie vennero accompagnate in mezzo alla strada preda dei carnefici.

Tutto si poté attuare grazie all’indifferenza di troppi. Quell’indifferenza magistralmente illustrata da una sopravvissuta, Liliana Segre, in una intervista rilasciata in questi giorni.

Ma se è pur vero che siamo stati traditi, è altresì vero che la solidarietà non è mancata e se molti si sono salvati è perché in tanti hanno aperto le loro case, gli ospedali ed altri Conventi che, a rischio della vita, accolsero in condizioni difficili intere famiglie ebraiche. Senza chiedere in cambio nulla, né soldi né conversione. Tutte le loro storie sono raccolte allo Yad Vashem e ancora oggi ricevono le Medaglie dei Giusti, la più alta onorificenza dello Stato d’Israele a perpetuo ricordo. Siamo felici di avere con noi, fra l’altro il figlio di Gino Bartali: l’amico Andrea Bartali. Che la memoria di tutti loro rimanga in benedizione anche per le le future generazioni. A tal proposito rimangono impressi nei nostri cuori, Presidente, le parole che Lei pronunciò il 27 gennaio del 2011: “Furono i Giusti a salvare l’onore dell’Italia”. Grazie.

Oggi, Signor Presidente, siamo qui insieme ai sopravvissuti e scampati alla Shoàh, per continuare a lavorare insieme ed uniti per la Memoria. Un esercizio di Memoria che come ci insegnano reduci dai campi si sterminio non serve per piangere i morti o impietosire alcuno. Nessuna lacrima o pietà restituirà i loro corpi e le loro anime, né riporterà sorriso alle vedove e ai loro figli. Ma una Memoria condivisa servirà a costruire per il presente e per il futuro gli anticorpi contro l’indifferenza e l’odio, verso chiunque. Per questo loro si stanno sacrificando con il racconto e la testimonianza, tornando nei luoghi dell’orrore come faremo fra pochi giorni con il nostro Sindaco e le scuole di Roma Capitale a Birkenau ed Auschwitz.

L’Italia che ha partorito il fascismo ha il dovere di coltivare i valori della Memoria per se stessa e per l’Europa. Un’Europa che rischia implodere, non solo per la crisi economica, ma perché esistono spinte xenofobe e razziste, dalla Grecia alla Norvegia, passando per l’Ungheria e la Francia. Dobbiamo fermare quest’onda e le elezioni europee si avvicinano senza una degna protezione giuridica che argini ed isoli questi partiti e movimenti. E’ ora di mobilitarsi, prima che sia troppo tardi.

Vi è comunque una speranza e su questo abbiamo il dovere di essere ottimisti. Sono i nostri giovani. Quelli che Lei prima di tutto ha l’opportunità di incontrare nelle scuole e con cui spesso ho il privilegio potermi confrontare. Sono una maggioranza, spesso senza voce e senza vetrina, perché le azioni positive non fanno mai notizia. Sono quei giovani che grazie all’impegno di docenti sensibili e responsabili hanno approfondito in questi anni i temi della Memoria. Hanno raccolto il “Testimone della Memoria” facendo proprie le testimonianze dei nostri sopravvissuti, a cominciare da quelli che non sono più fra noi.

Settimia Spizzichino fu la prima ad avere il coraggio di parlare, appena tornata. Un compito difficile perché le loro parole non furono subito comprese, a cominciare dalle nostre comunità che, uscite distrutte e dilaniate sia nell’anima sia nelle esigenze di ricostruire una vita “normale”, ascoltavano mal volentieri i loro discorsi. Tanti rimasero in silenzio fino a circa 20 anni fa, altri non hanno più proferito parola fino alla loro morte. Chi ha ricominciato non ha più smesso, sacrificando con i loro racconti il ritorno ad una vita normale e grazie al paziente sostegno dei loro coniugi hanno costruito un rapporto con i giovani che è andato al di là della testimonianza. Per questi giovani, spesso sono diventati maestri di vita e ciò ci commuove.

Mi permetto di citare come esempio di speranza ciò che è avvenuto a Roma al liceo Artistico Caravillani, dove un’insegnante ha usato parole che possiamo definire infelici nei confronti di una sua alunna ebrea. Normalmente le proteste si circoscrivono tra l’alunno/a, i loro genitori e la dirigenza scolastica.

In questo caso, uno ad uno, i loro compagni hanno reagito ammonendo l’insegnate per poi “ammutinarsi” fino a quando hanno ottenuto il suo prepensionamento. Una solidarietà commovente grazie alla sensibilità del loro Dirigente Scolastico che dimostra che abbiamo il dovere di essere ottimisti. Per questo siamo onorati di averli qui con noi, oggi.

Dei sopravvissuti del 16 ottobre solo in due sono rimasti fra noi, Enzo Camerino e Lello Di Segni, ma non possiamo dimenticare  gli altri, Luciano Camerino, Sabatino Finzi, Leone Sabatello, Angelo Efrati, Cesare Efrati, Cesare Di Segni, Michele Amati, Lazzaro Anticoli, Ferdinando Nemes, Arminio Wachsberger, Isacco Sermoneta, Mario Piperno, Angelo Sermoneta.  ma come possiamo dimenticare Romeo Salmoni, Shlomo Venezia, Ida Marcheria, Milena Zarfati, Lello Perugia, Luigi Sagi.

Se anche la Camera darà via libera al Disegno di Legge votato ieri sera dalla Comm. Giustizia al Senato, senza alcun voto contrario, per l’introduzione del reato del Negazionismo dei Crimini Contro l’Umanità e della Shoàh, ci consentirà essere il 15° paese europeo ad avere adottato tale norma. Una “medicina” che non si dovrà mai sostituire all’attività della didattica sulla Shoàh. Con commozione ringrazio i primi firmatari al Senato, Silvana Amati e Lucio Malan. Il presidente della Comm Giustizia Francesco Nitto Palma ed il relatore Felice Casson insieme a tutta la Commissione. Ma un grazie particolare lo dobbiamo a chi si è esposto in prima linea, la prof.ssa Donatella Di Cesare che con il suo libro “Se Auschwitz è il nulla. Contro il Negazionismo” ha sensibilizzato l’opinione pubblica. All’avvocato Roberto De Vita che con il suo impegno volontario ha inchiodato alla Giustizia diversi gruppi e militanti spacciatori dell’odio.

Il “Boia delle Ardeatine” ce lo ha dimostrato: il pericolo è in mezzo a noi.

Citando Piero Terracina in un magistrale intervento alla scuola di Fanteria a Cesano e riferendosi ai negazionisti ha detto: non so perché neghino, ma sono certo che se fossero vissuti durante la Shoah sarebbero stati dalla parte dei carnefici. Anzi sarebbero stati loro stessi dei carnefici

Roma Ebraica

Nella foto in alto: il saluto del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici al Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano durante la cerimonia per il 70° anniversario della deportazione degli ebrei di Roma

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  • #1Daniel

    16 ottobre ’43: una ferita ancora aperta

    di Fiamma Nirenstein

    C’è un segno di dolore nella Comunità di Roma, nonostante la sua vibrante vitalità. Specialmente le donne, che sono madri, hanno come un eco rauco nella voce. Un segno di dolore e di tradimento. Si racconta che alcuni fra i 207 bambini che furono deportati fra i 1259 ebrei trascinati via, molti in pigiama e camicia da notte alle 5 di mattina del 16 ottobre 1943, svariati furono gettati dal primo piano dentro i camion, come pesi morti, per poi finire ad Auschwitz. I rastrellamenti non si limitarono al ghetto dove gli ebrei vivevano dal 1555: i tedeschi inseguirono le famiglie ebraiche in tutta Roma, per esempio in Trastevere, e la città intera porta le cicatrici delle urla dei nazisti, delle spinte per le scale, delle botte col calcio del fucile, delle fughe disperate a piedi, senza le proprie cose, senza i propri cari, dietro il primo angolo, sul primo tram, via per s empre. Anche Kappler, il comandante tedesco della deportazione, lo riporta: non ci furono manifestazioni antisemite di giubilo, come invece era accaduto in molte città d’Europa dove imperversavano le razzie. Ma neppure proteste. Le leggi razziali del ‘38, che nel dibattito storiografico sono ritenute da alcuni molto più blande di quanto non siano state effettivamente, sono a volte state viste come una blandizie mussoliniana nei confronti di Hitler, una concessione del duce che invece non aveva, secondo alcuni, nulla contro gli ebrei e non condivideva il razzismo dell’alleato tedesco. Molti italiani, si dice oggi, non capirono come mai si privassero di diritti consolidati e acquisiti i loro concittadini, ormai tali da duemila anni, ovvero dal tempo di un’altra deportazione, quella di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, da parte dei Romani.

    Ma mia madre mi ha raccontato che nessuno dei compagni di scuola o dei professori levarono una sola voce per protestare contro il suo allontanamento, né contro quello di sua sorella. Quanto al nonno Giuseppe Lattes stesso, un distinto dipendente della Banca commerciale italiana, oltretutto reduce della prima Guerra mondiale, la sua cacciata dal lavoro non fece alzare un sopracciglio. E i fratelli antiquari di mia nonna furono denunciati e catturati a causa delle spiate dei loro dipendenti, che poi, così mi è stato raccontato, si impossessarono dei loro negozi.
    Gli ebrei del ghetto di Roma furono traditi due, tre volte: furono innanzitutto, in modo assai semplice e fattuale, traditi dai tedeschi. Kappler, ormai padrone di Roma, chiese la consegna di 50 kg d’oro in cambio della salvaguardia, e ognuno ha visto al cinema la disperata raccolta di fedi, catenine, piccole stelle di David da cui quel popolo semplice si separò, raggiungendo in fretta la quota raggiunta e superandola fino a 80 kg, certo che quello scudo di difesa tutto d’oro li avrebbe salvati.

    La lezione, tuttavia, rimase la solita nei secoli: la violenza antisemita non conosce patti quando non sei considerato un interlocutore, ma un essere inferiore, un subumano.
    L’interiorizzazione dell’impotenza fu precedente alla deportazione: la direzione ebraica, dice Raul Hilberg nel testo fondamentale La distruzione degli ebrei d’Europa, benché consapevole del pericolo, restò acquattata e zitta per non provocare ulteriormente i tedeschi e per non allarmare gli ebrei. Il rabbino capo Zolli fuggì (nel ‘44 si fece cristiano), nessuno chiuse la sinagoga. Gli ebrei, e questo è il secondo tradimento, furono traditi dalla fiducia nell’idea che non si sarebbe andati oltre, tanto che il pontefice non avrebbe consentito la deportazione sulla soglia della sua casa. Ci fu un flebile tentativo dell’arcivescovo Hudal, curato della Chiesa tedesca di Roma, che lanciò un appello a l generale Stahel. Non ottenne niente, e non si fece null’altro, né per prevenire né, più tardi, per protestare. Il Papa, con grande sollievo di Hitler, mantenne il silenzio. Ciò non significa che i monasteri non si dettero poi da fare per nascondere gli ebrei fuggiti, circa la metà della comunità. Ma il blando popolo italiano di fatto assistette alla terribile razzia del ghetto senza colpo ferire. Il 30 novembre il ministero dell’Interno italiano emise istruzioni rivolte ai capi delle province nelle quali si stabiliva che gli ebrei dovevano essere raggruppati in campi di concentramento e che i loro beni dovevano essere sequestrati. L’illusione degli italiani brava gente si infrangeva sulla Repubblica di Salò: le legioni, la polizia, i carabinieri, la milizia riuniti nella Guardia nazionale repubblicana, i membri del Partito fascista riuniti in “Brigate nere” si resero disponibili per le retate.

    È logico pensare che dopo il mostruoso evento delle deportazioni e dopo le leggi razziali, l’Italia avrebbe dovuto chiedere perdono in ginocchio. Ciò non accadde affatto. Per abrogare le leggi razziali dal 25 luglio ‘43 si deve arrivare al 20 gennaio del ‘44, e per stabilire una prima forma di indennizzo si arriva addirittura al marzo del ‘55. Molti analisti, come Giorgio Israel, hanno dimostrato come gran parte dell’intellettualità più stimata non abbia mai fatto ammenda per il suo antisemitismo, e come i maggiori nomi dell’Accademia messi in cattedra a spese delle epurazioni dei professori ebrei siano rimasti intatti fari della cultura italiana. Mi ha sempre stretto il cuore pensare che quando il professore Attilio Momigliano fu reintegrato nella sua cattedra, la trovò sdoppiata perché quello che gliel’aveva portata via potesse restare al suo posto. Sdoppiata. Questa è l’immagine che gli ebrei italiani non possono dimenticare del loro alveo italiano, checché possano sostenere per amore di pace e nonostante le ripetute aff ermazioni di solidarietà degli anni successivi. Da una parte brilla l’immagine dell’italiano affettuoso e amichevole, il cui migliore amico è sempre ebreo, che subisce le leggi razziali senza poi intenderle veramente. Ma essa resterà storicamente contraddetta dall’ inerzia e persino dall’opportunistica complicità di chi ha subito nella sua capitale la selvaggia razzia di quel giorno di ottobre.

    Adesso, l’Italia, come quasi tutti i Paesi europei è di nuovo contagiata dalla tabe dell’antisemitismo. I dati sono impressionanti, le sue espressioni sanguinose. Se ci fosse un sussulto di dignità, la lotta per combatterlo da parte di chi ha assistito o ha partecipato all’eliminazione di 6 milioni di persone, dovrebbe essere furiosa, determinata. Ma non è così: la paura di dispiacere di infrangere un tabù intoccabile, il rifiuto di guardare in faccia residui di destra e di sinistra della malattia peggiore che il nost ro continente abbia mai contratto, la difficoltà di intimare alla componente islamica immigrata, veementemente antisraeliana e antisemita, di cessare dall’incitamento antisemita e antisraeliano, disegna uno scenario pauroso e incerto per il futuro. Le continue menzogne su Israele che anche Napolitano ha riferito soprattutto a una strisciante ripresa dell’antisemitismo, non vengono di fatto condannate né combattute. Il ghetto è stato di nuovo assalito dall’antisemitismo che ha fatto decine di feriti ed è costato la vita nell’82 al bambino Stefano Tachè. Gruppi di fanatici hanno assalito gli ebrei romani a casa loro ripetutamente. Le deportazioni sono lontane, il nazismo è morto, ma il lavoro da fare per curare la ferita è ancora tanto.

    (Fonte: Formiche.net, 16 Ottobre 2013)

    16 Ott 2013, 14:58 Rispondi|Quota
  • #2Mino

    Questo è uno dei sigilli che i nazisti avevano posto all’ingresso del Tempio maggiore di Roma ai tempi dell’occupazione per garantirne la chiusura, proprio in questo giorno settant’anni dopo mi piace pensare che loro sono solo una breve parentesi nella storia dell’umanità e che noi invece proprio in quel luogo preghiamo ancora tre volte al giorno.

    https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10202247083208394&set=a.4103262469788.2168610.1529784594&type=1

    16 Ott 2013, 17:26 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Pio XII nell’ottobre ’43: tedeschi corretti con il Vaticano

    di Paolo Cucchiarelli

    ROMA – C’è un nuovo tassello da inserire nel cangiante e spesso contraddittorio mosaico del rapporto tra Pio XII e gli ebrei nell’autunno del 1943, quando le SS di Herbert Kappler arrestarono poco più di mille romani nel ghetto e nei quartieri della “città aperta” e li spedirono ad Auschwitz.

    Si tratta di documenti che arrivano dagli archivi inglesi e americani, visto che quelli vaticani sono tuttora inaccessibili. Uno di questi illustra l’incontro avvenuto due giorni dopo la retata nel ghetto, il 18 ottobre ’43, tra il Papa e l’inviato straordinario della Gran Bretagna presso la Santa Sede: in quella occasione Pio XII tace sulla retata e il diplomatico gli chiede di interpretare con maggior determinazione il suo ruolo. In quel contesto Pacelli afferma che i tedeschi si sono comportati “correttamente” con il Vaticano.

    In quelle ore il treno con gli ebrei romani sta per partire verso Auschwitz. Due mesi dopo la deportazione degli ebrei romani il Papa, il 13 dicembre del ’43, conversando con l’ambasciatore tedesco Ernest von Weiszaecker, che aveva cercato di opporsi alla deportazione, aveva illustrato la sua posizione sugli sviluppi della guerra. Il diplomatico aveva riassunto il tutto in un rapporto che è stato rintracciato durante alcune ricerche dagli studiosi Mario J. Cereghino e Giuseppe Casarrubea che le pubblicheranno in un prossimo volume.

    “Il Papa si augura – afferma il rapporto fatto avere ai servizi americani da Fritz Kolpe, la più importante ‘talpa’ che gli Usa avevano all’ interno del ministero degli Esteri tedesco – che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l’unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l’unione delle antiche Nazioni civilizzate dell’Occidente per isolare il bolscevismo ad Oriente. Così come fece Papa Innocenzo XI, che unificò il continente (l’Europa) contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna”.

    Proveniente dagli archivi inglesi è invece il resoconto dell’incontro del 18 ottobre del ’43 tra l’inviato straordinario inglese Sir D’Arcy Osborne e il Papa. Da due giorni gli ebrei romani sono stati prelevati dalle loro case; lo stesso giorno, alle 14, partiranno dalla stazione Tiburtina verso il campo di concentramento. Nulla il Papa dice di quanto è avvenuto in quelle ore. Pio XII parla della difficile situazione alimentare a Roma che potrebbe portare a tumulti e della sua volontà di non abbandonare la città a meno di non essere “rimosso con la forza”.

    L’ambasciatore è colpito dall’atteggiamento del Papa che gli dice di non avere elementi per lamentarsi del generale Von Stahel, comandante della piazza militare di Roma, e degli uomini della polizia tedesca “che finora hanno rispettato la neutralità” della Santa Sede. “Io ho replicato – scrive il diplomatico nel rapporto indirizzato al ministro degli Esteri Eden – di aver capito che quando il Vaticano parlava di preservare ‘Roma citta’ apertà, si riferisse alle operazioni militari. A parte il fatto che la denominazione ‘Citta’ apertà è una farsa, l’Urbe è alla mercé dei tedeschi che sistematicamente la privano di tutti i rifornimenti e della manodopera, che arrestano ufficiali italiani, giovani e carabinieri e che applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei. (…)”.

    Il diplomatico cerca di far uscire Pio XII dal suo atteggiamento. “Io ho affermato che Egli dovrebbe fare tutto il possibile per salvaguardare lo Stato della Città del Vaticano e i suoi diritti alla neutralità. Egli ha replicato che in tal senso e fino a questo momento, i tedeschi si sono comportati correttamente”, aggiunge nuovamente il diplomatico. Una affermazione fatta mentre la città è ancora sotto choc per la retata arrivata dopo il ricatto dei 50, inutili, kg di oro chiesti agli ebrei per evitare la deportazione. “A mio parere – scrive ancora il rappresentante inglese – molta gente ritiene che Egli sottostimi la Sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui Egli è oggetto da parte dei nazisti, dal momento che la popolazione tedesca è cattolica. Ho aggiunto di essere incline a condividere questa opinione e l’ho esortato a tenerlo bene in mente nel corso dei futuri avvenimenti, nel caso emergesse una situazione in cui fosse necessario applicare una linea forte”.

    “Mettendo a raffronto i due documenti – commentano gli studiosi – risulta chiaro che Pacelli si sente a suo agio con l’ambasciatore tedesco. Con il rappresentante inglese assume un atteggiamento freddo, facendo leva su un giudizio del tutto formale tanto da suscitare la inusitata reazione del diplomatico”. I due studiosi, già autori di un volume sulla guerra al comunismo in Italia tra il ’43 e il ’46, “Tango connection”, sottolineano la difficoltà di raccogliere in Italia elementi documentali sulla questione ebrei-Vaticano: “Tuttavia migliaia di documenti sulla situazione della Santa Sede negli anni della seconda guerra mondiale sono da tempo disponibili negli Archivi di College Park negli Stati Uniti e di Kew Gardens in Gran Bretagna. Sono carte provenienti dai fondi dei servizi segreti angloamericani, del Dipartimento di Stato Usa e del Foreign Office britannico”, spiegano. “Il nostro archivio http://www.casarrubea.wordpress.com), conserva rapporti dei Servizi Usa sulle pesanti ingerenze esercitate dalla Santa Sede e in particolare da Pio XII e da Montini, il futuro Paolo VI, nella formazione del primo governo De Gasperi”.

    (Fonte: ANSA, 18 ottobre 2008)

    16 Ott 2013, 17:59 Rispondi|Quota
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