29 Novembre 1947: il primo passo per la nascita dello Stato di Israele

 
Emanuel Baroz
29 novembre 2013
5 commenti

ISRAELE: A 66 ANNI DAL VOTO ONU CHE SANCIVA LA RIPARTIZIONE DELLA PALESTINA IN DUE STATI, UNO ARABO E L’ALTRO EBRAICO. GLI ARABI RIFIUTARONO, GLI EBREI SI MISERO AL LAVORO.

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Sessantasei anni fa, il 29 novembre 1947 alle 12:40, l’ONU votava la risoluzione che avrebbe portato poi alla creazione dello Stato di Israele. In quel giorno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò il piano di spartizione della Palestina mandataria, CHE PREVEDEVA LA CREAZIONE DI DUE STATI, UNO ARABO E L’ALTRO EBRAICO, con l’assegnazione di Gerusalemme al controllo internazionale (risoluzione ONU 181). E così tutti a contare, uno dopo l’altro, i “si”, “no”, “astenuto”… Per essere approvata infatti la risoluzione doveva ottenere due terzi dei voti a favore – e per ben due volte, a settembre, non li aveva ottenuti. Perciò quell’ennesima conta parve interminabile. A presiedere l’assemblea il brasiliano Oswaldo Aranha, accanto a lui il segretario generale dell’Assemblea, il norvegese Trygve Lie.

Quando fu il turno della Francia, i nervi erano a fior di pelle: il suo voto era il più atteso ed incerto. Tutti si aspettavano un’ennesima astensione. Così quando giunse il suo “si”, i sionisti seduti nella galleria della sala, esplosero in un grandioso applauso di sollievo e gioia. Il presidente richiamò l’ordine, ricorda David Horowitz, delegato sionista all’assemblea, e allora “l’emozione divenne quasi un dolore fisico”. Era il momento del verdetto finale: 33 si, 13 no, 10 astenuti. La mozione era passata.

In quel momento ricorda ancora Horowitz “sentimmo battere le ali della storia su di noi”. La gioia esplose dentro la sala, per le strade di New York e per quelle di mezzo mondo. A Gerusalemme Golda Meir si rivolse alla folla dal balcone del palazzo dell’Agenzia ebraica e disse: ”Per duemila anni abbiamo aspettato la nostra liberazione. Ora che è qui è così grande e meravigliosa che va oltre le parole umane. Ebrei, gridò, Mazel tov! ”

In tutta Israele vi furono celebrazioni e l’entusiasmo pervase tutte le strade, perché finalmente ogni ebreo ‘errante’ aveva la possibilità di avere un proprio stato, in cui vivere senza doversi nascondere o subire soprusi. Finalmente, i Sabra, gli ebrei che già vivevano in Eretz Israel (la terra di Israele) da oltre 3mila anni, poterono darsi una organizzazione sociale più moderna e riconosciuta a livello internazionale.

Il giornalista di Yediot Ahronot, David Giladi, descrisse così le celebrazioni nella prima città ebraica moderna di Israele: “La scorsa notte Tel Aviv non ha chiuso occhio. È andata in giro selvaggia. Ha dato sfogo a quella gioia desiderata ardentemente da tante generazioni che non hanno vissuto abbastanza per provarla. Ha vagato chiassosa, turbolenta, è stata inghiottita da una tempesta di entusiasmo che circondava giovani e meno giovani” – e raccontò ancora – “La città ha cantato dal cuore, ha danzato in confusi cerchi concentrici, ha fatto scoppiare le trombe, ha agitato le bandiere ed ha sollevato il bicchiere alla vita (Lechaim!) dello Stato di Israele. Tel Aviv era ubriaca dalla vittoria”.

I rappresentanti degli stati arabi furono scioccati da quel risultato: i delegati di Siria, Libano, Iraq, Arabia Saudita, Yemen ed Egitto, scrisse poi il segretario generale Trygve Lie, “si alzarono e uscirono dalla sala dell’Assemblea”. L’alto Comitato Arabo trasmise subito al segretario generale Lie un comunicato con cui informava che gli arabi di Palestina “non accetteranno mai alcuna potenza che li costringa a rispettare la spartizione”. L’unico modo per dare corso alla spartizione, si leggeva, sarebbe stato quello di cancellare tutti quanti loro – uomini, donne e bambini. I chierici del seminario islamico Al-Azhar del Cairo invocarono a loro volta un “jihad mondiale in difesa della Palestina araba”, scrive ancora Horowitz.

La mattina dopo in Palestina esplosero i primi colpi dei Paesi arabi in quella che sarebbe poi stata la Guerra di Indipendenza di Israele o, per il mondo arabo, la “Nakba” – la catastrofe.

(Fonti e citazioni: mosaico-cem.it & Ynetnews.com)

Thanks to Progetto Dreyfus

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  • #1Emanuel Baroz

    Quella “Nakba ebraica” del tutto dimenticata. Fino a poco fa

    Piano di spartizione, rifiuto arabo e profughi ebrei: per ricordare il ‘48

    di Eli Hazan

    Sessantasei anni fa, il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Risoluzione 181 in base al quale la Terra d’Israele (allora sotto Mandato britannico) doveva essere divisa in due stati: uno “stato ebraico” e uno “stato arabo”. Quel voto, ovviamente, ebbe un impatto assai rilevante sulla regione.

    Le conseguenze di quella decisione andarono oltre la realtà politica che ne scaturì. La decisione ebbe un altro aspetto, umano, perché gli arabi si rifiutarono di accettarla. Molti capi arabi si adoperarono per silurare la creazione di uno stato ebraico e questo portò alle ostilità e alla guerra d’indipendenza, costata la vita a 6.000 ebrei (sui 600mila che risiedevano allora nel paese).

    Quei capi arabi generarono anche una tragedia umana per gli arabi. Spinsero gli arabi che risiedevano nel paese a lasciare le loro case affinché gli eserciti degli stati arabi confinanti protessero massacrare la popolazione ebraica senza danni collaterali. Un piano che andò tragicamente storto, e di conseguenza molti residenti arabi, dopo aver lasciato Israele, divennero profughi.

    In questo contesto, vi fu un altro gruppo umano che divenne una comunità di profughi: gli ebrei del Medio Oriente. Sulla scia del piano di spartizione, centinaia di migliaia di ebrei che vivevano nei paesi arabi da secoli, quando non da millenni, furono tormentati e fatti oggetto di varie forme di violenza. La portata di queste aggressioni li costrinse a fuggire, andando in gran parte a stabilirsi nello stato d’Israele appena nato.
    Profughi ebrei in fuga da paesi arabi, nella celebre foto scattata intorno al 1949 da Robert Capa (della Magnum) nel campo di transito di Sha’ar Ha’aliya, presso Haifa.

    Profughi ebrei in fuga da paesi arabi, nella celebre foto scattata intorno al 1949 da Robert Capa (della Magnum) nel campo di transito di Sha’ar Ha’aliya, presso Haifa.

    Nel corso degli anni, le dirigenze arabe non hanno fatto che aggravare la sofferenza umana facendo in modo che i profughi arabi non si potessero mai integrare nei paesi arabi dove erano approdati. In quegli stessi anni, paesi come la Germania Ovest, l’India, il Pakistan, la Turchia, la Grecia e altri conobbero degli afflussi di profughi analoghi, talvolta addirittura identici, altre volte numericamente molto superiori. Ma in tutti quei casi, i governi si sono adoperati per riabilitare e assorbire i profughi, disinnescando una mina umana potenzialmente devastante. È quello che fece anche Israele, accogliendo ebrei da tutto il mondo, paesi arabi compresi. I profughi arabi di Palestina, invece, divennero uno strumento cinicamente sfruttato dalla macchina della propaganda anti-israeliana. Ecco come si è venuto gonfiando di anno in anno il mito della cosiddetta Nakba (catastrofe) palestinese.

    Nel corso degli anni, gli stati arabi hanno deliberatamente ignorato la tragedia umana inflitta agli ebrei dei paesi musulmani: ebrei che erano stati perseguitati e cacciati, e tutte le loro proprietà espropriate. In termini odierni, venne confiscato dalle autorità arabe l’equivalente di 300 miliardi dollari. Oltre alla profonda sofferenza psicologica. Questa “Nakba ebraica” venne del tutto dimenticata dalle successive realtà geopolitiche.

    La questione dei profughi palestinesi continua ad essere in primo piano nella politica e nella propaganda internazionale e nelle più svariate iniziative di pace. E fino a poco tempo fa anche l’establishment israeliano preferiva non sollevare la difficile situazione dei profughi ebrei dai paesi arabi. Ma ora le cose sono cambiate. Innanzitutto, la loro storia sta gradualmente diventando parte della consapevolezza comune e si sta facendo strada in varie opere pubblicate. Diverse persone si sono fatte avanti con la testimonianza della loro esperienza, al punto che il Ministero israeliano per gli anziani ha lanciato un progetto volto a tramandare la loro storia alle generazioni più giovani. Infine, alla Knesset è stato formato un apposito comitato parlamentare.

    Quello che occorre è uno sforzo più vigoroso di diplomazia pubblica nei forum chiave ditutto il mondo. Alcune campagne sono già in corso, ma dovrebbero essere rafforzate perché il riconoscimento internazionale è essenziale se deve essere fatta giustizia. Una buona campagna può portare più persone a capire gli eventi che hanno condotto alla costituzione dello stato ebraico. Il mondo si renderebbe conto che coloro che vennero perseguitati dopo il 29 novembre 1947 hanno trovato un porto sicuro dove hanno potuto costruirsi una nuova casa anche se fra grandi difficoltà: ora vivono al sicuro, nella libertà e nella dignità, in Israele.

    (Fonte: Israel HaYom, 28 Novembre 2013)

    http://www.israele.net/quella-nakba-ebraica-del-tutto-dimenticata-fino-a-poco-fa
    8 dic 2013, 10:01

    8 Dic 2013, 10:01 Rispondi|Quota
  • #2Parvus

    Esattamente sette tempi e 33 anni dopo la prima distruzione del tempio.

    29 Nov 2015, 11:22 Rispondi|Quota
  • #3Gheula giuliana zoares

    Nessun si rende conto che a suo tempo GL ebrei avevano finalmente un premio alle loro sofferenze e alle ennesimi sopruni che avevano subito cosi solo per pure questione di pelle e di CREdo

    29 Nov 2016, 16:37 Rispondi|Quota
  • #4ted

    AUGURI, ISRAELE, WITH ALL MY HEARTH!!!

    30 Nov 2016, 00:43 Rispondi|Quota
  • #5Parvus

    Più che un primo passo, direi la nascita. In pratica è nato lo stato di Israele, non ancora indipendente. Il primo passo è stato l’inizio del ritorno nel 1878.

    29 Nov 2017, 00:06 Rispondi|Quota