70° Anniversario Eccidio Fosse Ardeatine: quei misteri sulla fuga di Kappler

 
Emanuel Baroz
24 marzo 2014
3 commenti

La fuga di Kappler dal Celio: fare luce sui complici italiani

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di Riccardo Pacifici*

Chi pensa che celebrare il 70° anniversario dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine sia solo un “esercizio di Memoria” in ricordo delle 335 vittime, rischia di sminuire il lavoro che si è fatto in questi anni all’interno delle scuole, delle istituzioni, delle Associazioni e in ogni luogo dove si è alzato forte un grido contro l’orrore compiuto il 24 marzo del 1944.

Chi immagina che il tempo lenisca le ferite deve sapere che per i familiari non si sono mai più rimarginate. Il significato di questo 70° ci impone di dare una svolta al nostro “esercizio di Memoria”. Una svolta contro chi ha voluto relegare solo al mondo ebraico la conservazione di quella Memoria. Una svolta contro chi ha provato a far credere che quell’Eccidio fu solo ritorsione di guerra dopo un atto “terroristico”. L’Italia, nazione rinata sui valori dell’antifascismo, ha processato gli esecutori di quella strage per crimini contro l’umanità e si è mostrata unita. Le Fosse Ardeatine possono solo unire e mai dividere. Quel giorno le truppe di occupazione tedesca fucilarono gli italiani. Ecco perché in questo 70° anniversario della svolta possiamo dire che chi ama il Paese combatte nel presente le sacche d’intolleranza. Combatte soprattutto i nostalgici del fascismo e del nazismo. Non è più questo il tempo in cui gli spacciatori di odio possono alzare la testa. La società civile e le Istituzioni, a iniziare dalle forze dell’ordine, oggi li braccano.

Eppure, questa è una svolta recente. Di cui prendiamo coscienza in questi mesi e che è iniziata solo pochi anni fa, quando nel 1995 l’ultimo dei Boia delle Fosse Ardeatine si sedette per la prima volta in un’aula di tribunale di fronte a un giudice italiano. La svolta passa nel prendere atto che questo 70° è il primo anniversario che celebriamo dalla morte del capitano nazista. E vogliamo ancora pensare che 335 Angeli lo stiano realmente processando per l’eternità. Ma se rendiamo onore all’Italia che lo ha condannato, la mente vola verso un’altra Italia che si rese complice della fuga del colonnello delle SS Herbert Kappler il 15 agosto del 1977. Kappler era rinchiuso nell’Ospedale del Celio a Roma e con una rocambolesca fuga attraversò indisturbato prima il confine con l’Austria e poi quello con la Germania dove trovò rifugio.

Le modalità reali di quell’evasione nessuno ad oggi le conosce. Troppi misteri aleggiano su questa vicenda. Chi fu complice del nazista in territorio italiano? Dopo decenni noi non dimentichiamo e vorremmo che questo capitolo buio dell’Eccidio fosse riaperto per scoprire le reali responsabilità. Proprio oggi, in questa Italia della Memoria e della svolta, dobbiamo conoscere la verità su quella vergognosa fuga. Dobbiamo fare fino in fondo i conti con il passato. Non solo per onorare i morti, ma anche per onorare i vivi e chi combatte ogni giorno come Giulia Spizzichino ed ognuno dei parenti delle vittime, per render merito a città come Albano Laziale o come Roma che con i loro rispettivi sindaci ed il Prefetto di Roma hanno lottato per non fare della morte del Boia delle Fosse Ardeatine un mausoleo per nostalgici. Dobbiamo farlo per tutti gli italiani. Soprattutto per chi si è sacrificato in nome della nostra libertà.

*Presidente Comunità Ebraica di Roma

Il Messaggero.it

Nella foto in alto: il colonnello delle SS naziste Herbert Kappler dopo la cattura

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  • #1Emanuel Baroz

    Il rabbino capo Di Segni: “I troppi misteri delle Fosse Ardeatine”

    Il 24 marzo del 1944 furono uccisi nelle cave 335 uomini. Tra le vittime molti ebrei criminali comuni detenuti politici militari e anche un sottosegretario del primo governo Mussolini. Sul luogo dell’eccidio 70 anni dopo: “L’Italia democratica nacque anche quel giorno”.

    di Gabriele Isman

    “TUTTA la storia delle Fosse Ardeatine è stata così tormentata che non è mai finita. Esistono ancora dei punti da chiarire “. Il rabbino capo Riccardo Di Segni entra in queste cave quando mancano pochi giorni al settantesimo anniversario della strage del 24 marzo del 1944, decisa da Kappler come rappresaglia per l’attentato di via Rasella. A selezionare le vittime furono Erich Priebke e Karl Hass “ma nelle liste – dice Di Segni mentre cammina nelle grotte – alcuni nomi furono cancellati, altri spostati, per via delle pressioni e delle trattative in quelle ore. Poi la penosa identificazione delle vittime: pensi alla famiglia di Marco Moscati. Non si sapeva nemmeno se fosse nelle liste, poi si pensò che il suo corpo fosse in una certa tomba ma il Dna ha svelato che era in un altro loculo di ignoto. E tra le vittime c’era persino un sottosegretario agli Interni del primo governo Mussolini, Aldo Finzi”. E ancora, quelle che il rabbino definisce “le varie tragedie dei processi: il primo iniziò con i romani che volevano linciare il prefetto Caruso che però quel giorno non era in tribunale e così la rabbia si scatenò contro il direttore del carcere di Regina Coeli: scappò nel Tevere, lo finirono a colpi di remo e lo appesero davanti alla moglie. Caruso invece fu fucilato: era colpevole di vere nefandezze. Per anni i veri responsabili non sono stati colpiti: la storia di Kappler è allucinante. Fu condannato per le 5 vittime in più rispetto alla rappresaglia decisa inizialmente e l’Italia chiuse tutti e due gli occhi per farlo scappare, anche per un accordo con la Germania”.

    Di Segni arriva davanti al punto in cui vi furono le esecuzioni: “Qui oggi si tengono le cerimonie religiose: c’è il monumento ebraico e quello cattolico. Pensi che all’inizio noi non potevamo neppure entrare: il rabbino Prato, che era stato capo prima del fascismo e tornò a esserlo tra il 1945 e il 1951, si vestì con la tonaca per le cerimonie che usava in sinagoga assieme al altri rav e soltanto allora potè ricordare i defunti “. Alle Fosse un gruppo di giovani lombardi riconosce Di Segni e lo ferma: “Siamo dell’oratorio di Lomazzo, nel Comasco, è un onore conoscerla”. A loro il rav parla di quella strage e ricorda le 335 vittime “che furono costrette a inginocchiarsi in file di cinque per essere uccise una a una con un colpo di pistola alla nuca. Settantacinque di loro erano ebrei: un numero enorme dal punto di vista statistico se rapportato alla popolazione della nostra religione dell’epoca. La verità è che quella delle Fosse Ardeatine fu una strage italiana, parte dello sterminio nazista che colpì l’intera popolazione di questo Paese: per la strage presero detenuti comuni, politici, partigiani ed ebrei. Essere qui è importante per capire: l’Italia democratica nacque anche quel giorno”.

    La visita prosegue: Di Segni accarezza le lastre di metallo con i nomi delle vittime. “Il rabbino Sabato Fatucci, il padre di Fano che fu anche presidente della comunità ebraica, i parenti di rav Funaro, l’intera famiglia Di Consiglio: ne uccisero sei quel giorno”. Tra i morti anche Giuseppe Cordero di Montezemolo. “Il figlio è cardinale, viene sempre alle cerimonie di ricordo”. La figlia invece si è spesa molto, anche pubblicamente, a favore di Priebke: “Riteniamo che ognuno possa perdonare le proprie offese, ma non esiste la delega per il perdono: non possiamo perdonare ciò che è stato compiuto a danno di altri” dice severo Di Segni.

    E se l’ebraismo è ricerca, il rabbino capo – da poco in pensione come primario di Radiologia al San Giovanni – è rimasto impressionato dai due volumi pubblicati recentemente con i documenti medici, fino ai riconoscimenti, delle vittime: “I nazisti minarono le Fosse dopo la strage. I morti furono identificati grazie a ciò che fu trovato sui corpi: documenti in parte bruciati, biglietti dell’autobus, pezzi di pane, piccoli gioielli, foto di famiglia”.

    Il tempo torna al 1944: “Mio padre, Mosè, medico e partigiano, che in quegli stessi giorni combatteva a Valdiola, nelle Marche. Ho scoperto questo particolare dal diario di mio papà quasi 70 anni dopo, e qui fu ucciso anche un suo cugino “. Si esce dalle grotte, si vedono sulla collinetta a breve distanza tra loro la croce e la stella di David, la visita è quasi finita. L’ultima domanda è la più difficile: se Dio è bontà, come è possibile che sia accaduto tutto questo? “Qualsiasi interpretazione è inferiore alla realtà”. Sì, 70 anni dopo, capire è ancora difficile.

    http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/03/21/news/il_rabbino_capo_di_segni_i_troppi_misteri_delle_fosse_ardeatine-81530476/

    24 Mar 2014, 19:00 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Gli ebrei romani e l’eccidio nazista «Ecco come morì il cugino di Zevi»

    Lunedì l’anniversario delle Fosse Ardeatine. In una lettera del ’44 la prima testimonianza della Comunità: Coen era in contatto con l’intelligence inglese.

    di Paolo Brogi

    ROMA – Quattordici settembre 1944. Nella Roma che dal 4 giugno era «amministrata» dagli americani, Silvio Ottolenghi, da poco Commissario straordinario della Comunità Israelitica, si siede alla macchina da scrivere e batte una lettera per l’Egregio signor Coen commendatore Enrico, via Poli 29. «La Comunità ha appreso col più vivo dolore la notizia della morte del vostro diletto Saverio trucidato barbaramente alle Fosse Ardeatine…».

    – Un foglio ingiallito
    Questo foglio ingiallito conservato all’Archivio della Comunità ebraica e da poco riscoperto, è il primo documento ufficiale in cui gli ebrei romani parlano della strage. Un tratto a lapis in alto segna 119, l’angolo in basso è mezzo accartocciato, la lettera comunica un vivo senso di tragedia già per come si presenta.
    «Il nome del Martire e dei suoi compagni Caduti – prosegue il testo – rimarrà eternamente scolpito nei nostri cuori, ti prego di accettare le più affettuose condoglianze a nome della Comunità Israelitica e mie personali e di rendertene interprete anche verso la desolata vedova ed i suoi piccini. Affettuosamente, il Commissario straordinario».

    – La salma «289»
    La pietosa riesumazione dei 335 corpi orrendamente ammassati in due mucchi di cadaveri dentro le gallerie delle cave Ardeatine si era appena conclusa il 6 settembre. Ascarelli era stato nominato a capo del team il 26 luglio, e per 35 giorni aveva lavorato ininterrottamente (salvo le domeniche e ferragosto) per ridare un nome a quei poveri corpi in parte privi perfino della testa. La salma di Saverio Coen era la 289.
    L’avevano ritrovato vicino alla parete della galleria, bocconi, col cranio da cui mancava la parte occipitale, nel pugno destro ancora alcune noccioline. I pantaloni erano tenuti su da due fazzoletti legati insieme. Aveva una matita automatica, un portamonete di cuoio, una banconota da 500 lire, un’immagine di Sant’Antonio, un fazzoletto con le iniziali SC.

    – Spiato da una donna tedesca
    Ascarelli scrisse nella scheda 289: «Religione cattolica. Commerciante. Sottotenente automobilista, guerra 35-36. Arrestato il 22 febbraio e tradotto a via Tasso e poi a Regina Coeli, al III braccio, dalle SS tedesche». E ancora: «Appartenente alla razza ebraica, presentatosi a via Tasso per ritirare documenti che gli erano stati sei giorni prima trattenuti dalla SS tedesca, fu arrestato. Anche la famiglia fu ricercata».
    Saverio Coen era commerciante in via del Tritone, ma frequentava il Partito d’Azione, e aveva rapporti con l’intelligence inglese a Roma. Conosceva una donna, con madre tedesca, che lo spiava. E che forse lui spiava a sua volta. Dallo scoppio della guerra era cercato dai fascisti ma andava in giro intemerato. Laureato alla Sapienza era stato carrista in Abissinia.

    – Medaglia d’argento
    Il cenno che ne dà Ascarelli, di religione cattolica, è forse relativo a una conversione di copertura. Ascarelli stesso, che sentiva i parenti per redigere le sue schede, sottolinea che era un ebreo. Era in ogni caso cugino di Bruno Zevi.
    Dal carcere scrisse lettere ai suoi bambini Pier Enrico e Giancarlo: «Amatevi fra di voi, aiutatevi, rispettate sempre la vostra cara mamma e prendete moglie simile a Lei e sarete felici. Amen. Vi bacio….».
    Alla memoria di Saverio Coen è stata assegnata una medaglia d’argento al valor militare. Nella lettura dei nomi che ogni anno risuona alle Ardeatine il suo nome è quello del 67o caduto.

    (Fonte: Corriere della Sera, 23 marzo 2014)

    24 Mar 2014, 19:05 Rispondi|Quota
  • #3Progetto Dreyfus

    Dietro la fuga di Kappler i litigi tra leader della Democrazia Cristiana | di David Spagnoletto

    http://www.progettodreyfus.com/fuga-kappler-misteri/

    15 Ago 2017, 16:11 Rispondi|Quota