Yom Ha Zikaron: Israele piange i suoi morti. Peres: “Siamo un popolo senza scelta. Combattere o morire. È grazie a loro che siamo qui”

 
Emanuel Baroz
5 maggio 2014
2 commenti

Yom Ha Zikaron: Israele piange i suoi morti. Peres: “Siamo un popolo senza scelta. Combattere o morire. È grazie a loro che siamo qui”

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Gerusalemme, 5 Maggio 2014 – Da ieri sera sono in corso in Israele le cerimonie in occasione di Yom ha Zikaron (Giorno del Ricordo dei Caduti), una giornata di lutto nazionale dedicata al ricordo dei soldati caduti nelle guerre, dal 1948 ad oggi, e delle altre persone rimaste vittime del terrorismo antisraeliano (e antiebraico): in tutto 23.169 vittime tra i soldati e e 2.495 civili. Al suono di una sirena si è fermata ieri sera la popolazione per due minuti (qui il video), scena che si è ripetuta questa mattina intorno alle ore 11:00.

Dobbiamo la nostra esistenza ai nostri caduti, a coloro che hanno dato la vita per l’esistenza e la libertà di Israele. Mai, nemmeno per un istante, ci dimentichiamo che siamo qui grazie a loro” ha detto il premier Benjamin Netanyahu aprendo le solenni celebrazioni.

Nel corso della giornata odierna in molti si recheranno nei cimiteri militari e civili a rendere omaggio ai propri cari scomparsi, e la giornata terminerà questa sera, quando avranno inizio i festeggiamenti per Yom ha Azmaut, il Giorno dell’Indipendenza dello Stato di Israele.

Particolarmente emozionante e toccante il discorso di Shimon Peres, Presidentedello Stato di Israele: “Abbiamo accompagnato i nostri bambini quando sono venuti al mondo, siamo stati con loro il primo giorno di asilo, li abbiamo portati in classe il primo giorno in prima elementare e li abbiamo accompagnati ad arruolarsi nell’esercito; abbiamo camminato accanto a loro il giorno del loro matrimonio e nella loro prima casa. Improvvisamente le vite sono state spezzate e la nube non si disperde, porta l’immagine dei soldati caduti nelle battaglie di Israele. Anche durante i più grandi festeggiamenti, sentiamo una pugnalata al cuore: Perché non saranno lì alla nascita? Perché non ci tengono per mano andando a scuola? Come è possibile che non cresceranno dei figli? Perché tutti i loro amici crescono, studiano, si sposano, creano delle famiglie, mentre mio figlio, mia figlia, mio fratello, mio marito rimarranno per sempre come li abbiamo visti il momento prima di andarsene? Ogni parola è un testamento lasciato alle spalle. Per essere morali come i dieci comandamenti, per essere coraggiosi ed eroici. Per essere una società costruttiva, che illumini. Per essere uno Stato libero e democratico. Per essere una Nazione in cerca di pace. Molti di loro non hanno costruito una casa. Non hanno avuto l’opportunità di piantare un albero. Non hanno mai provato l’amore vero. Si sono lasciati alle spalle famiglie in lutto, a piangere per loro. E loro non ci hanno lasciato, amici, a provare dolore, ma a ricordare e ricordare ancora. Noi non minimizzeremo ciò che abbiamo realizzato: un paese unico, con spirito di forza. Noi non lasceremo andare i ricordi di tutto ciò che abbiamo perso.

Scrittori che non scriveranno più, poeti, scienziati, soldati, contadini, falegnami e fabbri. Persone meravigliose, cittadini attenti, creatori originali che non potranno più godersi la vita, e la nostra Nazione non potrà beneficiare del loro contributo. Parliamo qui al plurale, ‘abbiamo perso’, ‘abbiamo sognato ‘, ‘volevamo’, ma prima di tutto e soprattutto, care famiglie, questo è il vostro dolore. Una perdita individuale. Un dolore individuale. Un dolore personale. Noi possiamo soltanto abbracciare, rispettare e ricordare. Sapendo che siamo un popolo senza scelta. Combattere o morire. È grazie a loro che siamo qui.

Noi restiamo muti di fronte a voi. Con un pesante senso di lutto. Non vi sono parole che possano esprimere il dolore, come sappiamo che niente nella vostra vita può essere simile a quando bussa esitante alla porta. Che cosa possiamo dire davanti a voi? Di essere forti? Voi siete già forti. Possiamo forse consolarvi? Non vi è alcuna consolazione“.

Che il loro ricordo sia in benedizione

Thanks to Progetto Dreyfus

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  • #1Emanuel Baroz

    Buon compleanno

    Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

    Il lutto, e poi la gioia. Il lutto per coloro che si sono sacrificati o più spesso, sono stati uccisi. E la gioia perché nonostante tutto gli assassini non ce la fanno a concludere il loro progetto di sterminio, e la vita va avanti, magari cresce e migliora. E’ questo il ritmo che l’odio degli antisemiti ha imposto alla vita ebraica, da millenni. Da quando il Faraone uccideva i neonati, e poi Israele si liberò dall’Egitto; da quando i Babilonesi distrussero il Tempio e gli ebrei lo ricostruirono, da quando i Romani distrussero la sovranità di Israele ma il popolo sopravvisse loro; da quando i padri della Chiesa e poi innumerevoli preti e vescovi e crociati e re e feudatari e riformatori ecclesiastici e poi i nazisti chiamarono allo sterminio degli ebrei e cercarono di attuarlo, ma il popolo di Israele rifiutò di scomparire. Da ultimo, quando gli Stati arabi e i terroristi cercarono di distruggere Israele con cinque guerre, due grandi ondate terroristiche, i dirottamenti, i rapimenti, e ora ancora provano, benevolmente incoraggiati dall’Europa e dall’amministrazione Obama, ma Israele è ancora lì, più forte e dinamico che mai.

    Questa dialettica certamente angosciosa, ma anche piena di speranza, si riflette sulla vita di Israele con la contiguità di due ricorrenze, che vengono celebrate tutti gli anni consecutivamente. Prima si dedica un giorno al lutto per tutti i caduti di Israele (quello per la Shoà viene una settimana prima). E’ Yom Hazicharon, il Giorno del Ricordo, che quest’anno cade proprio oggi. Si visitano le tombe dei caduti, cosa che nell’ebraismo è abbastanza rara, si tengono cerimonie militari, due volte, al tramonto della vigilia e poi in mezzo alla giornata, squilla dappertutto la sirena di allarme e il paese si arresta in meditazione per qualche minuto. Si fanno i conti e si vede che, dalla fondazione dello stato, i morti per le guerre coi paesi arabi e il terrorismo sono 25.664 di cui 12196 militari caduti in servizio e 2468 civili uccisi dal terrorismo. Dato che il rapporto fra la popolazione ebraica di Israele e quella italiana è di circa 1 a 10, è come se ci fossero stati 250 mila morti in guerra e 25 mila vittime del terrorismo. Se si contano i feriti, ogni famiglia ha un ricordo personale della violenza araba. Il lutto è tangibile e reale, lo si legge sulla faccia della gente, lo si sente nelle canzoni trasmesse alla radio.

    Poi, alla sera, questa sera, inizia il nuovo giorno, com’è da sempre nel costume ebraico. E inizia Yom Haazmaut, il Giorno della Liberazione, il compleanno di Israele. La festa è grande e spontanea, non è la contraddizione del lutto, ma la sua giustificazione. Israele compie sessantasei anni, ha 8,2 milioni di abitanti, un’economia florida, una cultura fiorente, un turismo in espansione, una sicurezza interna invidiabile, una democrazia che funziona bene, una pace che nessun paese intorno conosce. Ci sono ottime ragioni per festeggiare. Certo, le sfide non mancano. In Europa il vecchio antisemitismo ha rialzato la testa, e non solo nei grotteschi movimenti di estrema destra, ma ben nel cuore della politica comunitaria. Certo, negli Stati Uniti governa un’amministrazione sostanzialmente ostile ad Israele e per di più avventurista, propensa a corteggiare i nemici dell’America e a tradire gli amici, sulla base di un’ideologia terzomondista che rischia di durare più di questo disgraziato governo. Certo, l’Autorità Nazionale Palestinese è del tutto indifferente agli interessi concreti del suo popolo e mira solo a mettere in difficoltà Israele, proteggendo anche un fastidioso microterrorismo d’usura. Certo, l’implosione degli Stati arabi vicini ha consentito una parentesi di calma negli ultimi anni, ma cela rischi molto gravi. Certo, c’è l’Iran che arma tutti i nemici di Israele e persegue senza sosta il sogno criminale della bomba atomica.

    Ma l’imminenza e la vicinanza delle minacce è almeno servita a sottrarre Israele alla narcosi ideologica che avvolge l’Europa e gli Stati Uniti impedendo loro di prendersi carico dei loro stessi interessi: non che in Israele manchi una sinistra che confonde le proprie illusioni pacifiste con la realtà e odia il proprio paese al punto di appoggiare sistematicamente i suoi nemici; ma dopo l’errore di Oslo, che ha provocato più della metà delle vittime civili che si ricordano oggi, dopo gli esiti disastrosi del ritiro da Gaza e dal Libano meridionale, la guarda con giusta diffidenza. E soprattutto sa di combattere per la propria vita, di non poter rischiare nuove illusioni e nuovi errori. Vorrebbe la pace, naturalmente, ma non è disposta a scambiarla con la distruzione di Israele. E’ ciò che non capiscono Kerry e l’Unione Europea, che credono di squalificare Netanyahu facendo sapere che resiste ai tentativi di fargli sacrificare la sicurezza di Israele a un’ipotetica età del latte e del miele che dovrebbe seguire alla sua capitolazione. Il pubblico israeliano sa bene che i palestinesi hanno sempre scatenato il terrorismo anche dopo gli accordi di pace e non si lascia intimidire.

    Insomma, in un mondo difficile e pieno di pericoli è meglio procedere a occhi aperti e badare a potersi difendere, senza che questo impedisca lo sviluppo economico e sociale e la democrazia. E’ quel che fa Israele e che continua a fare, arrivato alla tenera età di sessantasei anni, che non sono pochissimi neppure fra gli Stati. Buon compleanno dunque a Israele, nel ricordo di coloro che sono caduti per difendere la sua libertà

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=53294

    5 Mag 2014, 13:06 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    5 Mag 2014, 13:07 Rispondi|Quota