Il terrorismo islamico è in guerra contro la libertà dell’Europa e contro gli ebrei

 
Emanuel Baroz
16 febbraio 2015
6 commenti

L’Europa e quella guerra alla libertà e ai suoi ebrei

Dopo gli attentati di Copenaghen, dire che la libertà europea è nel mirino degli jihadisti non è retorica, ma la fotografia di una dichiarazione di guerra

di Pierluigi Battista

copenaghen-attentato-sinagoga-terrorismo-focus-on-israelDopo gli attentati di Copenaghen, dire che la libertà europea è nel mirino degli jihadisti non è solo una formula retorica, ma la fotografia di una dichiarazione di guerra. Il simbolismo dei bersagli e dei messaggi è chiarissimo oramai. Gli islamisti hanno attaccato un convegno sulla libertà d’espressione con l’ambasciatore francese presente. Tutto questo a un mese o poco più dalla strage nella redazione di Charlie Hebdo. Poi hanno profanato un cimitero ebraico, hanno distrutto centinaia di tombe, hanno profanato un monumento alla Shoah.

Gli ebrei sentono sempre meno l’Europa come la loro casa. Cresce l’istinto di fuga da un’Europa che ha chiuso gli occhi da anni, anche quando gli islamisti hanno fatto strage in una scuola ebraica. La libertà e le sinagoghe devastate. Le parole libere e gli ebrei. L’arte libera e gli «infedeli», i «crociati», i quartieri ebraici, i cimiteri, il ricordo dell’Olocausto. L’Europa viene aggredita nel punto in cui dovrebbe essere orgogliosa: la libertà. La libertà nemica numero uno dei fondamentalisti e dei fanatici. Non vogliono altro che l’Europa rinunci a se stessa. La vogliono soggiogare culturalmente. La vogliono umiliare nei valori che le sono più cari. È una guerra di conquista culturale. Ma l’Europa sembra aver smarrito la sua bussola culturale, la fierezza di sé, la sicurezza nella forza dei propri valori. La libertà europea è sulla difensiva. Se a Londra gli amici dello jihadismo portano cartelli in cui si sbandierano strumentalmente le parole di Francesco sul «pugno» che meritano quelli che offendono la religione, vuol dire che la trincea sta smottando, che il fronte in difesa della libertà è fragile e impaurito. Per qualche giorno tutti hanno portato come un simbolo d’onore «Je suis Charlie». La marcia repubblicana di Parigi è apparsa una prova di compattezza, di solidarietà, di vicinanza non solo alle vittime di Charlie Hebdo e agli ebrei uccisi nel supermercato kosher alla vigilia dello Shabbath. Ma l’unità è durata pochissimo. Si è imposta la retorica dei distinguo. L’oggetto del dibattito si è spostato: non più l’ideologia omicida degli stragisti che fanno una carneficina di vignettisti armati soltanto di una matita, ma «gli eccessi» della satira, l’intoccabilità delle religioni, i limiti che la libertà si deve dare. Il Victoria and Albert Museum ha ritirato e nascosto un ritratto di Maometto, neanche offensivo, ma non si sa mai. Durante il Carnevale di Colonia un carro allegorico di solidarietà a Charlie Hebdo è stato vietato. In America una grande casa editrice pubblica un volume sulle «vignette della discordia» ma evita accuratamente di riprodurle per «non offendere». L’Internazionale degli invisibili, tutti quei vignettisti, scrittori, professori, giornalisti che in Europa e in America sono spariti in questi anni dalla circolazione perché raggiunti da una condanna a morte sono di nuovo tornati nel dimenticatoio, presenze inquietanti.

Quando hanno sgozzato Theo Van Gogh, il regista olandese di «Submission» ammazzato in Olanda perché «blasfemo», nessun festival ha voluto ospitare la pellicola. Altro che libertà d’espressione. Lo stesso Michel Houellebecq, che pure si è affrettato a spiegare che il suo romanzo «Sottomissione», in cui si racconta l’ascesa di un presidente musulmano a Parigi, non è contro l’Islam, vive in costante pericolo. Il pericolo che gli ebrei d’Europa vivono oramai con angoscia quotidianamente. Perché c’è un nesso inscindibile tra l’odio per la libertà, le libertà civili, la libertà della donna, la libertà della cultura, la libertà dell’istruzione, e l’odio antisemita. L’Europa è già stata infettata nella sua storia da questo intreccio perverso di totalitarismo e odio antiebraico. Non capire che è questa la posta in gioco, che le bandiere nere che oramai sventolano in Libia, le cellule islamiste che fanno strage nel cuore delle metropoli, gli attentatori che vogliono macchiare il ricordo della Shoah, oggi vogliono che l’Europa si ripieghi in se stessa, che vinca la paura, l’autocensura, il linguaggio prudente e omertoso. E che perciò dare una mano ai fanatici con sottili atti di disamore nei confronti delle libertà così come le conosciamo, con un’enfasi sui «limiti» della libertà, come se le vittime se l’andassero a cercare, come se la critica fosse un’«offesa», tutto questo rappresenterebbe l’anticamera della sconfitta. E la vittoria dei fanatici, degli antisemiti, di chi odia l’Europa e la sua libertà. E che vuole cacciare gli ebrei dall’Europa. Di nuovo, la grande vergogna.

(Fonte: Corriere della Sera, 16 Febbraio 2015)

Nella foto in alto: fiori davanti all’attentato alla sinagoga di Copenaghen del 14 Febbraio scorso, in cui ha perso la vita Dan Uzan, un volontario della comunità ebraica danese che prestava servizio di sicurezza davanti alla porta di ingresso del locale e che ha sacrificato la propria vita per salvare quella delle decine di persone che si trovavano in quel momento all’interno del locale

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  • #1Emanuel Baroz

    L’Europa vile contro gli ebrei

    Dalle strade di Copenaghen ai Comuni di Londra, son tornati i “bei vecchi tempi” dell’antisemitismo

    di Giulio Meotti

    Nel diario del comandante di Treblinka, Kurt Franz, c’è una fotografia e una didascalia: “Schoene Zeiten”. I bei vecchi tempi. Quei tempi sembrano essere tornati un po’ ovunque e sotto forme diverse in questa vile Europa.

    La strage alla sinagoga di Copenaghen, con l’uccisione di una guardia posta a difendere l’istituto di culto ebraico, non è stata affatto una sorpresa, se non per gli ipocriti o gli illusi. Da tempo è pericoloso essere un ebreo in Danimarca quanto in un paese del medio oriente, tanto che l’ambasciatore israeliano a Copenaghen, Arthur Avon, ha consigliato di non esporre simboli dell’ebraismo in città. “Abbiamo avvertito gli israeliani che sono in viaggio qui e che vogliono andare in sinagoga, di indossare la kippah solo una volta entrati all’interno del tempio”, ha detto Avon, precisando che “è meglio esibire tali simboli solo in luoghi sicuri”. Analogo avvertimento ha espresso il gruppo ebraico Mosaiske Trossamfund, che ha sollecitato i fedeli a non mostrare in pubblico la stella di David.

    La Danimarca, il primo paese scandinavo che nel XVIII secolo ha accolto gli ebrei e concesso loro di stabilirvisi, e ancora oggi, una delle nazioni più ospitali del mondo, è da tempo diventato un luogo molto pericoloso per gli ebrei. L’ingresso della scuola ebraica Carolinesqolen, nel quartiere di Østerbro della capitale, è circondato da un recinto di filo spinato alto due metri, mentre la scuola Humlehave a Odense, la città natale di Hans Christian Andersen, ha detto a dei genitori ebrei che volevano iscrivere i loro bambini in quella scuola che era “troppo pericoloso”.

    Un municipio danese ha poi chiesto che la bandiera israeliana non venisse esposta in un festival che voleva promuovere la “diversità”. Il gruppo israeliano sarebbe potuto diventare un bersaglio per i terroristi. Un docente ebreo del Dipartimento di Teologia dell’Università di Copenaghen è stato assalito da cinque musulmani che l’hanno picchiato e preso a calci sostenendo che a un ebreo è vietato leggere il Corano durante le lezioni. La scuola ebraica Carolineskolen ha ricevuto una lettera in cui gli ebrei sono chiamati “ratti, serpenti, vampiri, pedofili” e “serpenti con yarmulkes e cernecchi”. La lettera si conclude con una minaccia: “Forse avete dimenticato che abbiamo benzina per distruggere le case, i negozi e i centri ebraici”. Sul sito web del giornale Politiken, un lettore ha pubblicato un appello (poi ritirato) che spronava all’uccisione degli ebrei, fornendo anche i nomi di sei membri di spicco della comunità ebraica danese.

    E’ la kippah proibita. E’ il simbolo di un continente che si sta inesorabilmente svuotando di ebrei. Nei giorni scorsi, il Pew Forum, il massimo istituto al mondo che studia l’opinione pubblica, ha reso noto un fenomeno impressionante. L’Europa ha perso metà della sua popolazione ebraica non dall’Olocausto, ma dal 1960 a oggi. Oggi 1,4 milioni di ebrei vivono in Europa, quando erano due milioni nel 1991. Nel 1960 erano 3,2 milioni. E la Francia svetta in questa triste classifica.

    Il giornalista israeliano Zvika Klein si è appena messo una kippah e, munito di telecamera, è andato in giro per le banlieu parigine, mentre nei cimiteri francesi vengono ogni giorno profanate le tombe ebraiche. A malapena Klein è uscito vivo da Sarcelles, la “Gerusalemme francese” dove vivono gran parte degli ebrei della capitale. Lo stesso ha appena fatto il reporter svedese Peter Lindgren. Si è seduto in un bar nel centro di Malmö con indosso una kippah, a sfogliare un giornale, mentre i passanti si rivolgevano a lui come “merda ebrea” e “Satana ebreo”. Un immigrato ha detto a Lindgren di “andarsene”, mentre a Rosengard, un quartiere densamente popolato da musulmani dove vive anche una piccola comunità ebraica, il “giardino delle rose” simbolo dei progetti svedesi di integrazione lanciati negli anni Sessanta, Lindgren è stato circondato da una decina di ragazzi di origine araba che lo hanno minacciato di morte, mentre i residenti degli appartamenti vicini gli tiravano uova.

    Il documentario per la tv svedese spiega che “molti tra gli ebrei rimasti a Malmö hanno paura di lasciare le loro case; molti vogliono lasciare la città e non vogliono che i loro figli crescano lì”. Negli anni settanta la comunità ebraica di Malmö contava duemila membri, oggi sono rimasti in seicento e di questi la maggior parte ha già pianificato la fuga. Eppure la Svezia era stata nel Novecento uno dei luoghi più accoglienti per gli ebrei (da lì viene Raoul Wallenberg, il più celebre dei Giusti fra le Nazioni). E proprio Malmö, affacciata sul mare del Nord, fu la città-rifugio per molti ebrei scandinavi che riuscirono a fuggire alla deportazione nazista nella vicina Norvegia. Nelle periferie belghe di Anversa, “i borgerhout”, non è più consigliato camminare con lo zucchetto ebraico. E non lo è da oggi, ma da quando nel 1980 terroristi di Abu Nidal lanciarono bombe a mano contro gli studenti ebrei di Agudat Israel e ne assassinarono uno. Sempre in Belgio, nei giorni scorsi, una insegnante si è rivolta così a una studentessa ebrea: “Dovremmo mettervi tutti su un carro merci”. L’episodio è accaduto alla Emile Jacqmain, una scuola di Bruxelles.

    L’Abraham Geiger Theological College a Potsdam, in Germania, consiglia agli studenti di non portare simboli ebraici per strada. Nell’ultimo numero del settimanale Observer, il rabbino Shmuley Boteach ha raccontato invece come vivono oggi gli ebrei in Olanda. “Eravamo in piedi fuori, parlando innocentemente dopo i servizi rituali, quando la guardia di sicurezza si avvicinò per la seconda volta e ci disse di disperderci. ‘Non è sicuro riunirsi qui’. Benvenuti in Europa, dove anche soltanto stare in piedi fuori da una sinagoga può costarti la vita”.

    Il famoso rabbino americano e la moglie si trovavano di fronte alla famosa sinagoga portoghese di Amsterdam, costruita nel 1675, un periodo in cui in Olanda affluivano ebrei da tutto il mondo, come Baruch Spinoza. Oggi nei Paesi Bassi molti templi ebraici hanno tolto i simboli ebraici all’esterno degli edifici, per renderli più anonimi. E la secolare sinagoga di Weesp è diventata la prima che in Europa, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha cancellato i servizi di shabbath a causa delle minacce alla sicurezza dei fedeli. Dopo sono arrivate le sinagoghe di Parigi il giorno dopo la strage al supermercato kasher della capitale.

    Anche l’Inghilterra, che finora spiccava in Europa come un paese con un grado di antisemitismo tutto sommato contenuto, in questi giorni è scossa da un rapporto del governo che parla di un boom di intolleranza antiebraica nella società britannica. Un ministro, Eric Pickles, ha detto che “la storia dell’antisemitismo mostra che le peggiori atrocità possono iniziare mentre si deriva pigramente verso un mainstream, anche alla moda, nell’accettazione dei pregiudizi”.

    Il clima è quello caratterizzato dalla baronessa Jenny Tonge, che dalla Camera dei Comuni ha appena chiesto agli ebrei inglesi di prendere le distanze da Israele. Non si placano le polemiche contro l’emittente Sky News, che nei giorni scorsi ha diffuso un video sulla ricostruzione di Gaza dopo la guerra e in sottofondo la scritta “Auschwitz Remembered”, in occasione delle manifestazioni per la memoria della Shoah. In studio, il giornalista Adam Boulton ha domandato per tre volte al rabbino capo del Commonwealth, Ephraim Mirvis, se le azioni di Israele non siano una causa dell’esplosione di antisemitismo in Europa.

    In questo clima, l’attrice inglese Maurice Lippman, protagonista fra gli altri del film “Il pianista” di Roman Polanski, ha annunciato che sta pensando di lasciare il Regno Unito a causa di questa rabbiosa giudeofobia. In una scuola ebraica a Londra, gli alunni si addestrano per un possibile attacco terroristico, una sinagoga ha annullato un viaggio per bambini a Disneyland in Francia, mentre la polizia e le comunità ebraiche hanno intensificato le ronde nelle zone ebraiche.

    L’opinione pubblica europea rigonfia intanto di ostilità nei confronti degli ebrei e in particolare degli ebrei israeliani. In Austria, questa settimana un magistrato di Linz, Philip Christl, ha deciso che gridare “morte agli ebrei” in una manifestazione è una forma di “protesta contro Israele”. Si capisce perché sebbene in Austria ci siano circa 15 mila ebrei, nel censimento nazionale soltanto 8,140 si sono dichiarati tali, per “timore di ritorsioni”. Sono i nuovi ebrei invisibili.

    E sempre in Inghilterra 700 artisti hanno appena rilanciato il boicottaggio culturale di Israele, dicendo che non ci metteranno piede. A firmare l’appello sono musicisti come Richard Ashcroft dei Verve, Brian Eno e Roger Waters, registi come Mike Leigh, letterati come John Berger e la drammaturga Caryl Churchill.

    In Germania, un sondaggio della Fondazione Bertelsmann ha appena rivelato che il 35 per cento dei cittadini tedeschi considera Israele come un nuovo nazismo. A Berlino intanto è nata una commissione per la ricerca e la prevenzione dell’antisemitismo. Fin qui tutto bene, tranne il fatto che nel gruppo di otto esperti scelto dal Ministero dell’Interno non c’è un solo ebreo. La professoressa Monika Schwarz-Friesel dell’Università Tecnica di Berlino ha analizzato dieci anni di lettere di odio inviate al Consiglio centrale degli ebrei in Germania e all’ambasciata israeliana a Berlino. Con sua sorpresa, solo il tre per cento proveniva da estremisti di destra, mentre oltre il sessanta per cento proveniva da membri istruiti del mainstream. E contenevano dichiarazioni antisemite classiche come “l’assassinio di bambini innocenti si adatta alla vostra tradizione” o “negli ultimi duemila anni rubate la terra e commettete un genocidio”.

    “Schoene Zeiten”. I bei vecchi tempi che ritornano.

    (Fonte: Il Foglio, 17 Febbraio 2015)

    17 Feb 2015, 22:49 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    L’attentatore di Copenaghen diceva: “Odio gli ebrei”

    Omar Abdel Hamid el-Hussein, 22 anni, autore dell’attacco al caffè Krudttonden e alla grande sinagoga , era nato in Danimarca da genitore di origine palestinese. Studenti del centro di formazione per adulti che frequentava, raccontano che il ragazzo era apertamente antisemita e parlava sempre di Palestina e Islam.

    COPENAGHEN – L’uomo indicato come l’attentatore di Copenaghen era di origine palestinese e più volte aveva espresso opinioni apertamente antisemite, dicendo di “odiare gli ebrei”. E’ quanto riferiscono i media danesi, che hanno pubblicato il nome del giovane autore dell’attacco al caffè Krudttonden e alla grande sinagoga – il 22enne Omar Abdel Hamid el-Hussein – malgrado la polizia non lo abbia ancora reso noto.

    Secondo il quotidiano Politiken, i genitori di Omar sono palestinesi emigrati in Danimarca da un campo profughi in Giordania. Altri studenti del centro di formazione per adulti che frequentava, raccontano che il ragazzo parlava della Palestina come della sua seconda casa e “raramente perdeva occasione di discutere della Palestina”. Un altro studente ha detto al tabloid Ekstra Bladet che Omar parlava sempre di Palestina e Islam e che “non temeva di dire apertamente che odiava gli ebrei”.

    Nato in Danimarca, Omar era stato arrestato ai primi del 2014 con l’accusa di aver aggredito una persona con un coltello su un treno nel novembre 2013. Il tribunale aveva ordinato una perizia psicologica, ma questa non aveva evidenziato alcun problema.

    Nella perizia, riferisce l’emittente danese Tv2, il ragazzo diceva di essere cresciuto in una famiglia normale, dove non era mancato nulla sia per lui che per il fratello minore e che il rapporto con i genitori era buono. Omar si descriveva come “una persona positiva, aperta, socievole e tranquilla”. Durante la detenzione, i servizi carcerari avevano segnalato la loro preoccupazione per le “opinioni estremiste” di Omar, ha detto il responsabile della sicurezza Michael Gjorup, senza offrire maggiori dettagli. La segnalazione era giunta ai servizi di sicurezza danese (Pet), che infatti hanno ammesso ieri che il ragazzo era una persona a loro nota.

    (Fonte: Adnkronos, 16 Febbraio 2015)

    17 Feb 2015, 22:51 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Profanate anche le tombe. Ebrei tornate a casa, l’Europa non vi protegge

    di Fiamma Nirenstein

    Prima, il terrorista islamico spara ai simboli della libertà dell’occidente, poi agli ebrei, simbolo di tutto il male. Così a Parigi, così a Copenhagen e il piano riguarda tutta la mappa del futuro stato islamico: il mondo. Ammazzare gli infedeli per preparare l’avvento del futuro califfato.

    Così, in tutta Europa si ammazzano gli ebrei, il numero degli attacchi antisemiti è cresciuto del 436% nei primi sei mesi del 2014. In Francia sono state profanate centinaia di tombe in un cimitero ebraico di Sarre Union. Un rabbino di Copenhagen ha consigliato agli ebrei di non uscire di casa: stiano ben chiusi. Un deputato francese ebreo Meir Habib ha ricevuto il video di una decapitazione. Un giudice tedesco ha stabilito che bruciare la sinagoga di Wuppertal non è stato un gesto antisemita, ma motivato dal creare attenzione su Gaza!

    «Ebrei, basta, venite a casa, vi aspettiamo a braccia aperte» ha detto Benjamin Netanyhau, primo ministro israeliano. Sa di infastidire Hollande e quelli che come lui dicono che «senza gli ebrei la Francia (o gli altri Paesi europei) non sarà più la stessa» e «proteggeremo le comunità». Non si intende, in Europa, cercare nella direzione giusta, ovvero nell’odio islamico che investe l’Occidente. Esso ha aperto le fogne dell’antisemitismo assassino che fece 6 milioni di vittime.

    L’Europa è in pericolo come allora. Obama ha parlato della strage di Parigi comed i un evento «incidentale (random) compiuto da qualche sciagurato: «L’Islam non c’entra». Come lui Hollande, come lui la signora Helle Thoming Smith, primo ministro danese… Che vergogna, mentono mettendo a rischio la vita dei loro cittadini.

    Sì, ebrei, meglio andare a casa dove si dice terrorista al terrorista. E se la Francia non sarà più la Francia, beh, non lo è più da tempo.

    (Fonte: il Giornale, 16 Febbraio 2015)

    17 Feb 2015, 22:51 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    17 Feb 2015, 22:53 Rispondi|Quota
  • #5Emanuel Baroz

    Attacco a Copenaghen, fino a quando dovremo sopportare?

    http://www.progettodreyfus.com/attacco-a-copenaghen-fino-a-quando-dovremo-sopportare/

    17 Feb 2015, 22:53 Rispondi|Quota
  • #6Emanuel Baroz

    I canarini stanno smettendo di cantare

    Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

    Cari amici,

    “nelle miniere di carbone in America, i minatori portano spesso con sé un canarino. Lo mettono nel pozzo e quello canta. E se per caso smette di cantare, per i minatori quello è il momento di uscire: l’aria è velenosa”. Così scrive Gore Vidal in epigrafe a una sua raccolta di saggi letterari intitolata per l’appunto “Il canarino e la miniera” (Fazi editore, 2003). Fin qui racconta un dato di fatto ben noto. E’ facile trovare su Internet le fotografie dei poveri animali usati come primitivo sensore chimico. E poi soggiunge: “Per me, noi scrittori siamo i canarini”. Sarebbero gli scrittori ad essere i sensori della vita sociale? Qualche volta è capitato certamente che la libertà degli scrittori o piuttosto la sua mancanza misurasse quella del loro paese. Ma piuttosto a posteriori, quando le dittature erano già consolidate ed emergeva il bisogno di rompere la cortina di conformismo. Quando il pericolo si avvicina, gli scrittori e in genere gli intellettuali tendono spesso a provare un’attrazione incontenibile per i grandi movimenti collettivi e le personalità tiranniche che producono le dittature, anche se poi sono destinati ad esserne repressi. Vi sono stati più scrittori dell’ultimo secolo comunisti, fascisti, islamofili (magari tutt’e tre le cose, una dopo l’altra) che difensori della banale democrazia in cui se ti suonano alla porta alle 6 di mattina è una consegna del lattaio e non la polizia segreta, come usava dire Churchill.

    Vorrei suggerire che vi è un’altra categoria di canarini, ben più affidabile come indicatori di rischio per la libertà e la convivenza civile di un paese. Sono gli ebrei. Una piccola minoranza dispersa per il mondo da duemila anni, interessata soprattutto a vivere secondo i propri principi e le proprie tradizioni, disposta a svolgere la funzione economica e sociale che veniva loro consentita dalla maggioranza, gli ebrei sono vissuti bene solo dove c’era pace civile, tolleranza religiosa, libertà di vivere la propria vita pacificamente e produttivamente. Gli ebrei sono vissuti bene, come i canarini hanno cantato, nelle società pacifiche e laboriose: l’Olanda del Cinque e Seicento, la Spagna cristiana e araba prima del Quattrocento (quando non prevalevano gli integralisti islamici o cristiani), la Sicilia araba e normanna, Venezia quand’era davvero Serenissima, gli Stati Uniti indipendenti, la Gran Bretagna e la Germania ottocentesca, Livorno dalla fondazione, Mantova rinascimentale… l’elenco è incompleto e però anche troppo estensivo, perché ognuno di questi luoghi e tempi di relativo benessere fu spesso minacciato e interrotto da momenti di odio e di violenza e spesso si concluse tragicamente, come nel caso della Spagna e della Germania.

    Ma il test in genere funziona. Finché i canarini cantano, cioè gli ebrei sono in grado di vivere una vita normale, senza persecuzioni o discriminazioni, le società in cui vivono sono abbastanza libere e attive da prosperare. Quando “smettono di cantare” e se ne vanno o peggio, la crisi non è solo loro, ma anche dei paesi e dei regimi che li perseguitano. Non vi è in questa costatazione nessun fideismo: i canarini non provocano il gas o la sua assenza, ne denunciano solo sul loro corpo la condizione. Gli ebrei di solito sono parte attiva delle società in cui vivono, sono intraprendenti, hanno relazioni internazionali (cioè famiglie estese che vivono in diversi luoghi e stati) che favoriscono il commercio, un’etica o una tradizione religiosa che non demonizza la ricchezza ma le chiede di assumersi le sue responsabilità sociali, valutano molto positivamente lo studio e quindi l’intelligenza, che si può applicare anche alla scienza e all’industria, sono abituati a badare a se stessi collettivamente e a non (poter) pesare sulla società circostante. Ma sono sempre stati abbastanza pochi per influenzare estesamente i grandi processi economici. E però, per l’appunto come i canarini, subiscono sulla loro pelle lo stato dell’ambiente circostante. Quando sono costretti ad andarsene (o peggio), questo significa che vi è una patologia sociale molto forte, una carica di violenza che si scarica su di loro, ma infetta tutta la società, un’intolleranza che chiude la prospettiva di una vita decente non solo per loro.

    E’ accaduto così per la Spagna del ‘500, che è entrata in una gravissima crisi dopo averli cacciati (o peggio), per l’Italia Meridionale e la Sicilia, per l’Unione Sovietica di Stalin, per l’Inghilterra delle guerre civili nobiliari, per non parlare della Germania nazista e dei Paesi arabi. Oggi questa condizione si sta ripetendo per l’intera Europa, che non sa o che non vuole garantire ai suoi cittadini ebrei quel grado di sicurezza che è normale per tutti: potersi riunire per pregare, studiare, fare vita sociale, potersi identificare pubblicamente per quel che si è senza rischiare l’aggressione se non l’omicidio. Poter seppellire i propri morti senza che le tombe siano dissacrate. Poter comparire socialmente senza essere sommersi da minacce e insulti. Badate, non sono privilegi, è ciò cui qualunque gruppo di persone è abituato in una società minimamente civile: quelli che praticano un certo sport o un certo mestiere, che vengono da una certa città o hanno certi gusti. Vi immaginate, fuori dal delirio del tifo calcistico, che qualcuno minacci di morte i genovesi o gli umbri? Che insulti i suonatori di fisarmonica o i falegnami, che devasti le tombe degli avvocati, che metta bombe nelle chiese valdesi o francescane? Solo provare a fare un elenco del genere è ridicolo; è ovvio che solo un pazzo può mettersi su un terreno del genere. E però per gli ebrei avviene, nella migliore delle ipotesi devono vivere una vita blindata, con la polizia o l’esercito a difenderli fuori dalle sinagoghe o dalle scuole e case di riposo – in tutt’Europa. Con l’aggravante in più che spesso, con vari pretesti si presentano leggi che hanno il senso di rendere impossibile la vita ebraica, come i divieti sulla circoncisione o la macellazione degli animali secondo le norme religiose.

    Gli ebrei inoltre hanno ricostruito un loro stato antico, che è il loro “focolare nazionale”, come l’Armenia lo è per gli armeni, l’Irlanda per gli irlandesi o la Slovenia per gli sloveni: piccoli stati che ospitano gruppi sociali che a lungo sono stati oppressi e dispersi. A differenza di altri, in questo momento, Israele è circondata da nemici accaniti, ben decisi a distruggerlo e a sterminare i suoi abitanti. L’Europa però non lo appoggia, non lo sostiene, anche se si tratta dell’unica democrazia della zona, di un alleato sociale e culturale, ancora più che politico. Al contrario, ha progressivamente identificato Israele come il proprio avversario politico, il solo stato che si propone di piegare con tutti i mezzi in una condizione in cui la sua sopravvivenza è estremamente problematica. E lo fa allo scopo di costituire al suo fianco uno stato terrorista, nel senso molto preciso di uno stato dominato da organizzazioni militari che hanno selezionato i propri dirigenti per la loro capacità di organizzare il terrorismo antiebraico e di praticarlo ancora.

    C’è qualche sorpresa nel fatto che la popolazione ebraica in Europa sia drasticamente calata, non solo a causa della Shoà (cui tutt’Europa, salvo rare eccezioni individuali, collaborò con entusiasmo) ma anche dopo, che continui a calare ancora oggi, con vere e proprie emorragie dalla Francia, dai paesi nordici e dall’Ucraina? Che anche dall’Italia, benché il nostro sia uno dei paesi che hanno avuto, almeno negli ultimi vent’anni, maggiore amicizia e rispetto per gli ebrei e Israele, l’emigrazione sia ripresa intensamente? I canarini stanno smettendo di cantare, il sintomo è chiarissimo. E’ un allarme e una sofferenza per gli ebrei, che hanno pagato molto pesantemente questa situazione (non è simpatico essere canarini, ve lo assicuro). Ma è un sintomo pessimo per l’Europa, che sta distruggendo la sua identità e la sua libertà, identificandosi e aprendosi a una cultura nemica, aggressiva e da sempre antisemita come quella islamica.

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=57208

    17 Feb 2015, 22:58 Rispondi|Quota