Come manipolare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu

 
Emanuel Baroz
4 dicembre 2007
3 commenti

Dal momento che il documento in questione ha ripreso ultimamente a girare via Internet…

Come manipolare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu

un vs israel focus on israelCircola in internet un documento che presenta una visione fuorviante delle prese di posizione del Consiglio di Sicurezza rispetto a Israele

Si immagini di assistere a una partita a scacchi e di cercare di capire le mosse dei pezzi neri senza poter vedere i pezzi bianchi. O di assistere alla differita di una partita di calcio dalla quale siano stati tagliati i fischi dell’arbitro verso una squadra per dare l’impressione che il gioco dell’altra sia inutilmente aggressivo e scorretto. Questa piu’ o meno e’ l’operazione che hanno fatto gli autori (anonimi) di un documento che ultimamente va per la maggiore su internet.

Titolo: “Settantatre’ risoluzioni dell’Onu di condanna a Israele”. Sottotitolo (insinuante): “Nessun ispettore, nessuna guerra per farle rispettare”. Segue un nudo elenco di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che “esprimono condanna all’operato di Israele”, citate per numero e data e accompagnate da brevi “estratti che ne illustrano il contenuto”. Insomma: un documento che parla da se’, che non ha bisogno di commenti tanto e’ evidente il torto di Israele.

E invece di commenti ha bisogno eccome. Per questo ci sentiamo costretti a tornare, con maggiore dettaglio, su un tema gia’ affrontato su queste pagine (Vedi NES ott. 2002: Il falso parallelo).

Innanzitutto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono tutte uguali. Vi sono quelle approvate sulla base del Capitolo 6 della Carta delle Nazioni Unite e quelle sulla base del Capitolo 7.

Il Capitolo 6 si intitola “Composizione pacifica dei conflitti” e afferma (art. 33) che “le parti in causa in un conflitto […] dovranno innanzitutto cercare una soluzione […] con mezzi pacifici”. Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 6 e’ come se dicesse agli Stati in guerra fra loro: “Dovete negoziare per comporre il conflitto e dovete farlo sulla base delle linee che vi indico”. Il Capitolo 7, invece, si intitola “Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione”. Gli articoli di questo Capitolo conferiscono al Consiglio la responsabilita’ di individuare le minacce alla pace mondiale e gli danno facolta’ di varare risoluzioni con valore esecutivo e vincolante, autorizzando la comunita’ internazionale a ricorrere a varie forme di coercizione per ottenere la loro applicazione, dalle sanzioni fino all’uso della forza militare. Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 7 e’ come se dicesse a uno Stato: “Il tuo comportamento mette in pericolo la pace del mondo: o ti adegui a quanto di dico di fare o interveniamo con la forza”.

Ora, come ricordava qualche mese fa anche l’Economist (10.10.02), “nessuna delle risoluzioni a proposito del conflitto arabo-israeliano e’ stata emanata ai sensi del Capitolo 7. Imponendo sanzioni anche militari contro l’Iraq, ma non contro Israele, l’Onu non fa che rispettare le sue stesse regole interne”. E aggiungeva: “Che le risoluzioni ai sensi del Capitolo 7 siano diverse, e che nessuna di esse sia stata approvata contro Israele, e’ un fatto riconosciuto dagli stessi diplomatici palestinesi”, che infatti se ne lamentano. Quella irresponsabile minaccia nel titolo del documento (“nessuna guerra per farle rispettare”) puo’ essere stata scritta solo da una persona molto ignorante o in mala fede.

Vale la pena sottolineare che la distinzione fra Capitolo 6 e Capitolo 7 non e’ puramente formale. Essa riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un caso, infatti, il Consiglio di Sicurezza individua nel regime iracheno e nei suoi comportamenti una minaccia alla stabilia’à e alla pace regionale e mondiale. Pertanto il Consiglio esige da quel regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla forza. Nell’altro caso, invece, il Consiglio di Sicurezza deve promuovere la composizione di un conflitto arabo-israeliano pluri-decennale che vede coinvolte piu’ parti, ognuna con le proprie responsabilita’. Ma gli autori del documento vogliono che le responsabilita’ siano solo di Israele e dunque riportano, di molte risoluzione, solo la parte che si rivolge a Israele, convenientemente scordando l’altra parte, quella che si rivolge agli arabi. Appunto, come una partita truccata.

Cosi’ ad esempio, e’ vero – come dice il documento – che le risoluzioni 1402 e 1403 (2002) chiedevano “alle truppe israeliane di ritirarsi dalle citta’ palestinesi”. Ma chiedevano anche e contemporaneamente “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, compresi tutti gli atti di terrore, provocazione, istigazione”. In sostanza il Consiglio di Sicurezza ribadiva che solo un cessate il fuoco “significativo” (meaningful, nel testo originale), cioe’ non a parole, unito a un ritiro israeliano dalle ultime posizioni rioccupate, avrebbe permesso la ripresa del negoziato di pace. Tacendo mezza risoluzione, gli autori del documento fanno dire al Consiglio che Israele doveva ritirarsi senza se e senza ma, mentre i palestinesi potevano continuare con spari e attentati. Giudichi il lettore se e’ la stessa cosa.

Allo stesso modo, e’ vero – come dice il documento – che la risoluzione 1435 (2002) chiedeva a Israele “la fine immediatamente delle misure prese a Ramallah e dintorni” e “il rapido ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle citta’ palestinesi”. Ma e’ vero anche che essa ribadiva “la richiesta di una completa cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione istigazione”, e faceva “appello all’Autorita’ Palestinese affinche’ adempia al suo esplicito impegno di garantire che i responsabili di atti terroristici vengano da essa assicurati alla giustizia”. Ma di nuovo, questa parte della risoluzione e’ scomparsa.

Il piu’ delle volte il Consiglio di Sicurezza, quando chiama in causa Israele, formula anche contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe, e cio’ per la ovvia considerazione che la pace in Medio Oriente non puo’ essere fatta da una parte soltanto. Ma questo e’ appunto cio’ che gli autori del documento non vogliono capire (o farci capire).

Non basta. Gli autori non omettono solo pezzi di risoluzione. Omettono anche intere risoluzioni. Ad esempio, per restare nel 2002, non viene citata la 1397. Come mai? Forse perche’ esprimeva “grave preoccupazione […] per i recenti attentati”, chiedeva “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione, istigazione” ed esortava “le parti israeliana e palestinese e i loro dirigenti a cooperare nella realizzazione del piano Tenet e del Rapporto Mitchell, allo scopo di riavviare i negoziati per una composizione politica”: tutte cose che la parte palestinese, non quella israeliana, si e’ rifiutata di fare.

Vistosa, poi, l’assenza di una delle piu’ importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di tutta la storia del conflitto: la 242 del 1967. Di nuovo, come mai? Forse perche’ chiedeva (agli arabi, ovviamente) la “fine di ogni stato di belligeranza” e il “riconoscimento del diritto [di Israele] di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, libero da minacce o atti di forza”?

Della 425 (1978) si dice che “ingiungeva a Israele di ritirare le sue forze dal Libano”. Ma non si ricorda che chiedeva anche il ripristino della pace al confine israelo-libanese e un “rigoroso rispetto della integrita’ territoriale, sovranita’ e indipendenza politica del Libano”, tutte cose che truppe siriane, milizie palestinesi, agenti iraniani e terroristi Hezbollah non si sognano minimamente di fare. Ne’ viene riportata la Dichiarazione del 18 giugno 2000 con cui il Consiglio di Sicurezza certificava che “Israele ha ritirato le sue forze dal Libano in conformita’ con la risoluzione 425”.

Ancora piu’ curioso il fatto che l’elenco delle risoluzioni viene fatto iniziare con la n. 93 del 18 maggio 1951. Eppure il conflitto arabo-israeliano scoppia almeno tre anni e mezzo prima, con il rifiuto arabo della risoluzione di spartizione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu (29.11.47) e l’attacco degli eserciti arabi a Israele. Prima della 93 (1951) a noi risultano non meno di 21 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, tra cui quelle – ufficialmente respinte dai governi arabi – che chiedevano il cessate il fuoco e il rispetto della 181.

Non manca, invece, la risoluzione 487 del 19 giugno 1981: quella che condannava “con forza” la distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak da parte dell’aviazione israeliana. Una risoluzione che, riletta oggi, basta da sola a screditare l’Onu agli occhi degli israeliani e di chiunque abbia a cuore la pace e la stabilita’ internazionali.

Resta da fare un’ultima considerazione, di carattere storico-politico. Tutti sanno che i paesi arabi, ripetutamente sconfitti in campo aperto, hanno fatto costantemente ricorso al terrorismo (dai feddayin degli anni ’50 fino agli Hezbollah degli anni ’80 e ’90) per esercitare una continua pressione militare ai confini e all’interno dello Stato di Israele. L’hanno fatto organizzando, finanziando, addestrando, capeggiando varie formazioni “guerrigliere” palestinesi, nella consapevolezza che l’Onu avrebbe dovuto per forza condannare le “violazioni” delle linee d’armistizio fatte da uno Stato (Israele), ma non avrebbe mai potuto condannare allo stesso modo le “violazioni” (infiltrazioni, attentati, stragi di civili) fatte da formazioni irregolari (i terroristi) che provocavano la reazione d’Israele. Un trucco palese, persino dichiarato, che non inganna piu’ nessuno. Salvo i “volonterosi” autori del documento e i loro sfortunati lettori.

Israele.net

(Fonte: NES n.3, anno 15)

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  • #1ponte

    da brividi….

    28 Dic 2009, 12:35 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Il minimo comune denominatore per la pace

    Da un articolo di Yoav J. Tenembaum

    Il 22 novembre 1967, all’indomani della guerra dei sei giorni, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite adottò la risoluzione 242. Da allora, per i successivi quarant’anni, la 242 ha rappresentato la cornice legale per una soluzione di pace del conflitto arabo-israeliano. La 242 è infatti la sola risoluzione del Consiglio di Sicurezza che sia stata accettata da tutte le parti del contenzioso come base per la ricerca della pace.

    Originariamente proposta dalla delegazione britannica all’Onu come una soluzione di compromesso, la 242 è stata successivamente incorporata come fonte legale in tutti gli accordi firmati tra Israele e interlocutori arabi: sia i due accordi di pace rispettivamente con Egitto e Giordania, sia gli accordi ad interim di Oslo con l’Olp si fondano tutti sulla 242.

    Sebbene accettata da entrambe le parti del conflitto, l’interpretazione della risoluzione è diversa per gli uni e per gli altri. In effetti, raramente nella storia delle relazioni internazionali una risoluzione è stata sottoscritta da entrambe le parti in conflitto sulla base di due interpretazioni così diverse.

    Ad esempio, la risoluzione chiede il “ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto”. L’articolo determinativi “i” (“dai territori”) o il termine “tutti” davanti alla parola territori non vennero inseriti nella risoluzione. E non si trattò certo di un errore di battitura. Lo scopo degli estensori del testo della risoluzione, infatti, era chiedere che Israele si ritirasse senza indicare l’estensione esatta del ritiro: la cosa veniva lasciata al negoziato fra le parti. È quanto sostiene Israele, e senza dubbio i diplomatici che stesero la bozza della risoluzione misero bene in chiaro, successivamente, che questa era esattamente la loro intenzione.

    Ma la parte araba ha sempre sostenuto che la risoluzione chiede a Israele di ritirarsi completamente dai territori conquistati durante la guerra dei sei giorni. A riprova, viene esibita la versione della risoluzione in lingua francese nella quale l’articolo determinativo compare (“dai territori”).

    La risoluzione inoltre non fa alcuna menzione degli arabi palestinesi, a parte un riferimento implicito là dove parla del “problema dei profughi”. Ciò condusse in passato a un lungo dibattito fra Olp, Stati Uniti e Israele sul fatto se la risoluzione dovesse essere emendata per includervi un riferimento specifico al problema palestinese. Tuttavia la risoluzione non è mai stata modificata e nondimeno la parte araba, Olp compresa, ha finito per accettarla come base per la pace.

    È ben vero che successivamente vennero adottate altre risoluzioni dell’Onu (per lo più dell’Assemblea Generale, le cui risoluzioni non sono vincolanti) maggiormente rispondenti alle richieste degli arabi palestinesi e degli stati arabi. Ma nessuna di queste è stata sottoscritta da Israele.

    In molti ambienti è invalsa l’abitudine di sostenere che Israele non rispetta le risoluzioni dell’Onu facendo riferimento in particolare, esplicitamente o implicitamente, alla 242 del Consiglio di Sicurezza, sostenendo che Israele la violerebbe dal momento che non si è ritirato da tutti i territori conquistati nel 1967. La verità è che la risoluzione 242 non chiede affatto a Israele di ritirarsi unilateralmente e senza condizioni. La 242 in realtà è composta da due parti: i paesi coinvolti nel conflitto devono negoziare la pace e riconoscersi a vicenda, e Israele deve operare un ritiro. La risoluzione non chiede affatto a Israele di ritirarsi prima che si arrivi a una composizione negoziata e definitiva, bensì di ritirarsi nel quadro della soluzione negoziata e definitiva.

    Questa fu per l’appunto la differenza sostanziale fra i postumi della campagna del Suez del 1956 e la guerra dei sei giorni del 1967. Dopo la Campagna di Suez, a Israele fu chiesto di ritirarsi dalla penisola dei Sinai e dalla striscia di Gaza unilateralmente. Il ritiro di Israele avvenne senza condizioni. Viceversa, dopo la guerra dei sei giorni si è chiesto un ritiro israeliano solo nel quadro di una soluzione più ampia del conflitto.

    Israele può ben sostenere d’aver attuato la risoluzione, almeno là dove possibile. Ad esempio, nel quadro dell’accordo di pace negoziato con l’Egitto, Israele si è completamente ritirato dal Sinai. Ed anche dopo gli accordi di Oslo, le forze armate israeliane si ritirarono in larga misura da Cisgiordania e striscia di Gaza. Inoltre, due anni fa, nell’estate 2005, benché non vi fosse legalmente obbligato, Israele si è completamente ritirato (militari e civili) da tutta la striscia di Gaza, unilateralmente e senza condizioni.

    È chiaro che la storia di questi ultimi quarant’anni dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza in poi è stata segnata dalle diverse interpretazioni avanzate da israeliani e arabi. La cosa meriterebbe uno studio approfondito. Ciò che è fuor di dubbio è che non è stato delineato nessun altro strumento legale per la composizione del conflitto israelo-arabo-palestinese che sia sottoscritto da tutte le parti in causa.

    (Da: Jerusalem Post, 22.11.07)

    RISOLUZIONE 242 DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU (22 novembre 1967)
    Testo integrale

    Il Consiglio di Sicurezza
    esprimendo la sua perdurante preoccupazione per la grave situazione in Medio Oriente;
    sottolineando l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la guerra e la necessità di operare per una pace giusta e duratura in cui ogni Stato della regione possa vivere nella sicurezza;
    sottolineando inoltre che tutti gli stati membri, accettando la Carta delle Nazioni Unite, si sono impegnati ad agire in conformità all’art. 2 della Carta;

    1. Afferma che l’adempimento dei principi della Carta richiede l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente, che comprenda l’applicazione di entrambi i seguenti principi:
    (i) ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto;
    (ii) fine di ogni pretesa o stato di belligeranza e riconoscimento e rispetto della sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di tutti gli stati della regione e del loro diritto di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, al riparo da minacce o atti di forza;

    2. Afferma inoltre la necessità:
    (a) di garantire la libertà di navigazione attraverso le vie d’acqua internazionali della regione;
    (b) di raggiungere una soluzione equa del problema dei profughi;
    (c) di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato della regione, attraverso misure che comprendano la creazione di zone smilitarizzate.

    3. Richiede al Segretario Generale di designare un Rappresentante speciale da inviare in Medio Oriente per stabilire e mantenere contatti con gli stati interessati, al fine di promuovere un accordo e assistere gli sforzi volti al conseguimento di una composizione pacifica e accettata, conformemente alle disposizioni e ai principi della presente risoluzione;

    4. Chiede al Segretario Generale di riferire al più presto possibile al Consiglio di Sicurezza circa i progressi nell’operato del Rappresentante speciale.

    PER UNA CORRETTA LETTURA DELLA RISOLUZIONE ONU 242
    (Jerusalem Post, 26.12.00)

    La risoluzione Onu numero 242 approvata il 22 novembre 1967 è internazionalmente riconosciuta come la base giuridica dei negoziati tra Israele e i vicini arabi. Essa fu il risultato di cinque mesi di intense trattative. Ogni sua parola fu attentamente soppesata.

    Alcuni propagandisti, tuttavia, diffondono quotidianamente una interpretazione errata della 242, sostenendo che essa prescriverebbe il ritiro di Israele sulle linee del 4 giugno 1967. Quelle linee erano le linee di cessate il fuoco fissate dagli accordi armistiziali del 1949, i quali dicevano espressamente che esse venivano accettate dalle parti senza alcun pregiudizio per la futura sistemazione territoriale. In un’intervista a Israel Radio del febbraio 1973 Lord Caradon, colui che presentò la risoluzione 242 per conto della Gran Bretagna, mise in chiaro che essa non prevedeva affatto l’obbligo per Israele di ritirarsi sulle linee del 1967. “La frase essenziale e mai abbastanza ricordata – spiegò Lord Caradon – è che il ritiro deve avvenire su confini sicuri e riconosciuti. Non stava a noi decidere quali fossero esattamente questi confini. Conosco le linee del 1967 molto bene e so che non sono un confine soddisfacente”.

    I sovietici, gli arabi e i loro alleati fecero di tutto per inserire nella bozza di testo della risoluzione la parola “tutti” davanti ai “territori” da cui Israele doveva ritirarsi. Ma la loro richiesta fu respinta. Alla fine, lo stesso primo ministro sovietico Kossygin contattò direttamente il presidente americano Lyndon Johnson per chiedere l’inserimento della parola “tutti” davanti a “territori”. Anche questo tentativo fu respinto. Kossygin chiese allora, come formula di compromesso, di inserire l’articolo determinativo davanti a “territori” (“dai territori” anziché “da territori”). Johnson rifiutò. Successivamente il presidente americano spiegò la sua posizione: “Non siamo noi che dobbiamo dire dove le nazioni debbano tracciare tra di loro linee di confine tali da garantire a ciascuna la massima sicurezza possibile. È chiaro, comunque, che il ritorno alla situazione del 4 giugno 1967 non porterebbe alla pace. Devono esservi confini sicuri e riconosciuti. E questi confini devono essere concordati tra i paesi confinanti interessati”.

    Nel dibattito, il ministro degli esteri israeliano Abba Eban chiarì la posizione di Israele: “Rispetteremo e manterremo la situazione prevista dagli accordi di cessate il fuoco finché non verrà sostituita da un trattato di pace tra Israele e i paesi arabi che ponga fine allo stato di guerra e stabilisca confini territoriali concordati, riconosciuti e sicuri. Questa soluzione di pace, negoziata in modo diretto e ratificata ufficialmente, creerà le condizioni nelle quali sarà possibile risolvere i problemi dei profughi in modo giusto ed efficace attraverso la cooperazione regionale e internazionale”.

    http://www.israele.net/articolo,1914.htm

    16 Lug 2012, 15:29 Rispondi|Quota
  • #3Parvus

    piccoli malati di mente che per l’ennesima volta hanno riscaldato la minestra onu.

    23 Lug 2012, 16:21 Rispondi|Quota
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