Guida ai falliti negoziati israelo-palestinesi
Malgrado i resoconti di intensi sforzi da parte americana di incoraggiare negoziati fra Israele e palestinesi, pare dalla stampa e dalle affermazioni pubbliche di esponenti dell’amministrazione Obama, che l’estenuante negoziato durato ormai quasi nove mesi si stia avviando a fallimento.
LE PARTI HANNO NEGOZIATO PER MESI: E ORA CHE SUCCEDE?
A luglio 2013 il segretario di Stato USA John Kerry annunciò il ripristino di negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, dopo tre annni di silenzio, con l’obiettivo di raggiungere un accordo di pace entro nove mesi.
Ogni parte concordava su una serie di condizioni – inclusa quella di evitare di discutere in pubblico circa l’andamento dei negoziati – che prevedevano da ambo le parti la concessione di gesti di buona volontà: Israele si impegnava a scarcerare in quattro tranche 104 terroristi palestinesi ospitati presso le sue carceri; i palestinesi accettavano di congelare il proposito di aderire a diverse organizzazioni internazionali, rimandando il riconoscimento come stato indipendente.
Dopo alcuni mesi, la diplomazia USA ha riconosciuto che sarebbe stato improbabile da parte dei due contendenti il raggiungimento di un accordo definitivo entro aprile 2014, così gli Stati Uniti hanno incoraggiato le parti a sviluppare un “accordo quadro”, che avrebbe rappresentato un punto di partenza per un successivo accordo; prolungando i negoziati fino alla fine del 2014, inizio 2015. Si prevedeva che ambo le parti avrebbero aderito, sebbene non mancassero riserve su specifici aspetti.
Per buona parte del 2014, i negoziati sembrano animati dal tentativo di definire questo accordo quadro, che includeva previsioni sulle misure di sicurezza, sui confini, e sulla definizione di Israele come “stato ebraico”.
COSA È SUCCESSO QUESTA SETTIMANA?
Gli ultimi giorni hanno fatto registrare un’attività frenetica su ambo i fronti. Con l’approssimarsi della scadenza del 29 luglio, Kerry ha intensificato gli sforzi, con il suo entourage che ha sollecitato le parti ad acconsentire ad un’estensione di un anno dei negoziati.
Al contempo, ci sono state montanti tensioni a proposito del rilascio, previsto per il 29 marzo, dell’ultimo scaglione di detenuti nelle carceri israelane. Il rilascio è stato ostacolato da diversi fattori, ma fondamentalmente il governo israeliano è stato riluttante a concedere la libertà a terroristi “con le mani macchiate di sangue”, nel momento in cui appariva evidente che i palestinesi esitavano ad estendere i negoziati oltre la scadenza di fine aprile.
Kerry ha riprogrammato gli appuntamenti ed è volato a Gerusalemme il 31 marzo per incoraggiare l’estensione dei negoziati e allo stesso tempo il rilascio dell’ultimo gruppo di terroristi. A quanto pare, gli sforzi si sono rivelati vani.
CHE COSA COMPORTA IL PROPOSITO DI LIBERARE JONATHAN POLLARD?
Secondo organi di stampa che citano fonti interne ai negoziatori di Israele e degli Stati Uniti, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avallato un “accordo circolare” che riguardava Israele, l’Autorità Nazionale Palestinese e gli Stati Uniti. Israele avrebbe appoggiato un’estensione della durata dei negoziati, il rilascio degli ultimi 26 detenuti (inclusi 14 arabi israeliani), il rilascio futuro di ulteriori 400 detenuti, la cui scelta sarebbe stata a discrezione di Gerusalemme e un parziale congelamento dell’attività edilizia nel West Bank (Giudea e Samaria), con esclusione di alcune aree, inclusa Gerusalemme Est. I palestinesi avrebbero acconsentito ad un’estensione dei negoziati, continuando ad esimersi dal proposito di aderire alle organizzazioni internazionali, mentre è stato da più parti riportato che gli Stati Uniti avrebbero rilasciato Jonathan Pollard, che sta scontando una condanna all’ergastolo per aver passato documenti riservati ad Israele.
Il governo di Gerusalemme e molti americani hanno da tempo sollecitato il rilascio di Pollard per motivi umanitari, e tenuto conto della lunga condanna detentiva (quasi 30 anni, NdT) già scontata. La ventilata liberazione di Pollard ha suscitato forti reazione fra gli israeliani e gli stessi americani. Molti hanno sostenuto che la questione Pollard non avrebbe dovuto essere collegato al processo di pace.
PERCHÈ SI È RAGGIUNTO UNO STALLO?
I giornali davano per imminente un’intesa per il 31 marzo, e Kerry aveva già programmato un ritorno in Medio Oriente il 2 aprile: subito dopo il vertice NATO dedicato all’Ucraina, per incontrare il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas onde perfezionare i dettagli. Ma con una mossa a sorpresa, il 1° aprile Abbas è comparso sulla TV palestinese, dichiarando di aver approvato la piena adesione a 15 convenzioni internazionali, violando perlomeno lo spirito dell’intesa preliminare di luglio 2013. La decisione è giunta a sorpresa, senza preventivamente avvisare Israele e i negoziatori americani. Il segretario di Stato USA è stato costretto a fare marcia indietro, cancellando il volo per Ramallah, e la proposta americana di estendere i negoziati è caduta nel vuoto.
PERCHÈ È PROBLEMATICA LA RICHIESTA DI ADESIONE PALESTINESE?
La campagna palestinese finalizzata a guadagnare il riconoscimento internazionale come stato sovrano, è uno sforzo per aggirare i negoziati diretti con Israele, che condurrebbero al beneficio di riconoscimento statuale. Israele, Stati Uniti ed Europa scoraggiano questa mossa, vista come atto ritorsivo e controproducente. Una simile azione unilaterale renderebbe la riconciliazione negoziale – che condurrebbe alla nascita di uno stato palestinese – ancora più evanescente, al contempo senza apportare alcun reale vantaggio per il popolo palestinese.
L’Autorità Nazionale Palestinese ha incominciato a cercare il riconoscimento internazionale a partire dal 2011. Prima mediante la piena iscrizione all’ONU attraverso il Consiglio di Sicurezza; poi, quando è apparso evidente che questa scelta non sarebbe stata approvata, nel 2012 attraverso il riconoscimento di “stato non membro” formulato dall’Assemblea Generale. L’ANP ha anche goduto dell’iscrizione all’UNESCO nel 2011.
E ORA CHE SUCCEDE?
Questo non è chiaro. Nell’annunciare la cancellazione del viaggio a Ramallah, il segretario di Stato Kerry ha aggiunto: «è importante mantenere in essere il processo di pace, e cercare un modo con cui le parti possano compiere passi in avanti. Anche stasera i due contendendi affermano che vogliono continuare a trovare il modo per procedere oltre». Ci sono testimonianze di ulteriori sforzi condotti dal negoziatore capo americano, Martin Indyk, affinché le parti tornino a sedersi attorno ad un tavolo.
CHE SUCCEDERA’ IN ISRAELE?
In Israele la maggior parte della popolazione (il 68%, secondo il sondaggio più recente) appoggia i negoziati di pace con i palestinesi e la soluzione dei due stati. Questo sostegno è sempre rimasto stabile negli ultimi vent’anni. Negli ultimi due lustri, in particolare, una crescente maggioranza di israeliani (il 69%) ha espresso forti dubbi che i negoziati possano effettivamente condurre alla pace.
L’autolesionismo dell’ANP che ha prodotto l’affondamento dei negoziati con ogni probabilità intensificherà i dubbio fra la popolazione israeliana circa l’effettiva volontà palestinese di porre fine al conflitto con Israele.
Nelle foto in alto: Abu Mazen, John Kerry, Benjamin Netanyahu
#1Emanuel Baroz
Abbattuto il processo di pace, Abu Mazen tenta il bluff. Ma ci casca solo Kerry…
http://www.ilborghesino.blogspot.it/2014/04/abbattuto-il-processo-di-pace-abu-mazen.html
#2Emanuel Baroz
Israele – Palestina: le bugie di Kerry, le colpe di Netanyahu
di Noemi Cabitza
Secondo il Segretario di Stato americano, John Kerry, la colpa del fallimento dei cosiddetti colloqui di pace tra Israele e Palestina è da attribuirsi totalmente a Israele. Lo ha detto ieri davanti alla Commissione Esteri del Senato USA.
Stando a quello che dice Kerry la colpa di Israele sarebbe quella di non aver rilasciato altri terroristi e di aver autorizzato nuove costruzioni a Gerusalemme Est. Questo avrebbe spinto i palestinesi e in particolare Abu Mazen a bloccare i cosiddetti colloqui. Kerry non cita il fatto che la controparte palestinese abbia totalmente escluso il riconoscimento di Israele come Stato Ebraico, che non c’è stata da parte palestinese alcuna proposta di soluzione sulla vicenda di Gaza e che è difficile per Israele trattare con un Presidente Palestinese, Abu Mazen, che non ha alcun seguito e che soprattutto non è stato eletto da nessuno, quindi non può prendere decisioni per conto di altri che non rappresenta.
John Kerry sin dall’inizio ha impostato i colloqui partendo da un presupposto sbagliato, quello cioè che tutte le richieste palestinesi avrebbero dovuto essere accolte mentre su quelle israeliane se ne sarebbe discusso in seguito. Non solo, Kerry ha completamente e deliberatamente ignorato due fondamenti intoccabili della posizione israeliana: Gerusalemme capitale dello Stato di Israele e il riconoscimento come Stato Ebraico.
Se vogliamo essere chiari John Kerry non ha negoziato nulla, ha solo cercato di imporre a Israele le richieste palestinesi arrivando persino alle minacce (velate ed esplicite) nei confronti dello Stato Ebraico se non si fosse sottomesso ai suoi diktat.
E in questa situazione qualche colpa ce l’ha anche il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Sin dall’inizio ha accettato che la posizione di Kerry fosse completamente sbilanciata a favore dei palestinesi e non imparziale come avrebbe dovuto essere. Ha rilasciato centinaia di terroristi che erano colpevoli di gravissimi crimini contro civili israeliani, non ha posto come precondizione il riconoscimento dello Stato di Israele come Stato Ebraico accettando su questo un negoziato, non ha messo sul piatto della bilancia la questione del nucleare iraniano e neppure quella riguardante la Striscia di Gaza. L’unico punto sul quale è rimasto fermo è quello che riguarda Gerusalemme come capitale indivisibile di Israele. Insomma, un Premier israeliano forte a parole ma deboluccio sui fatti. E se vogliamo anche la scelta di mettere Tzipi Livni a capo delle delegazione israeliana nei colloqui con i palestinesi è stata una scelta sbagliata che ha denotato una certa debolezza.
Ora è abbastanza chiaro a tutti che i colloqui sono fondamentalmente falliti, ammesso che abbiano mai avuto qualche possibilità di arrivare a un conclusione positiva. John Kerry, che puntava molto sulla loro riuscita per rilanciare l’immagine americana a livello di politica estera, non trova di meglio che accampare sterili scuse per giustificare il suo fallimento che invece è dovuto esclusivamente alla sua posizione marcatamente filo-palestinese e che ha portato Abu Mazen ad alzare continuamente la posta tanto da costringere persino il permissivo Netanyahu a bloccare il rilascio di altri terroristi palestinesi. Se ne prenda atto e si torni velocemente alle questioni serie, quelle che veramente hanno un peso in Medio Oriente, cioè il conflitto in Siria, il Nucleare iraniano e la questione della Striscia di Gaza. L’inutile questione palestinese può aspettare.
http://www.rightsreporter.org/israele-palestina-le-bugie-di-kerry-le-colpe-di-netanyahu/
#3Emanuel Baroz
Le mani di Putin sul Medio Oriente
http://www.rightsreporter.org/le-mani-di-putin-sul-medio-oriente/
#4Emanuel Baroz
Come sorprendersi?
Era chiaro sin dall’inizio che Abu Mazen avrebbe abbandonato la scena all’approssimarsi della scadenza dei negoziati e delle scarcerazioni
di David M. Weinberg
È sempre più evidente che questo processo negoziale per la soluzione a due stati è ormai prossimo alla obsolescenza, anche se non è ancora politicamente corretto affermarlo nei garbati ambienti diplomatici. La soluzione a due stati ha ben poche possibilità di concretizzarsi perché i palestinesi non vogliono lo stato compresso in Cisgiordania che Israele può dare loro. E non sono assolutamente disposti a chiudere il libro delle pretese e delle rivendicazioni nei confronti di Israele, in cambio dello staterello in Cisgiordania e striscia di Gaza.
E così, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha colto la prima occasione che poteva trovare per sottrarsi al tavolo dei negoziati, incolpandone Israele.
Ma sin dall’inizio Abu Mazen non avrebbe voluto partecipare a queste trattative. Di certo non era intenzionato né pronto a fare concessioni concrete per arrivare a un compromesso che ponga fine al conflitto con Israele. Né si deve dimenticare che Abu Mazen ha accettato di negoziare, otto mesi fa, solo sotto forti pressioni americane, e solo dopo che Israele ha “comprato” la sua partecipazione ai colloqui con la promessa di scarcerare una certa quantità di terroristi palestinese durante il periodo di nove mesi dei negoziati.
Un mese prima della scadenza dei negoziati concordati con gli Stati Uniti e senza aver raggiunto un accordo con Israele, martedì 1 aprile il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) firma la domanda di ammissione dello “stato di Palestina” a quindici convenzioni internazionali e agenzie Onu, in violazione degli impegni che si era assunto
Non dovrebbe stupire proprio nessuno, né a Washington né a Gerusalemme, il fatto che Abu Mazen abbia preso baracca e burattini, quando si è fatta vicina la fine del primo periodo negoziale e delle scarcerazioni di detenuti. È esattamente la stessa cosa che Abu Mazen fece nel 2008, quando scappò dal tavolo delle trattative per evitare di dover dire no all’offerta super-magnanima di Ehud Olmert.
Francamente mi lascia attonito vedere come tanti, anche fra i massimi negoziatori israeliani e americani, sembrano essere stati colti di sorpresa dalla decisione di Abu Mazen di rilanciare la sua guerra diplomatica contro Israele con la domanda di adesione unilaterale a una quindicina di trattati internazionali e agenzie Onu. E di cosa dovremmo sorprenderci? Non era forse chiaro sin dall’inizio che questo era il percorso prediletto da Abu Mazen: probabilmente il suo Piano A, certamente il suo Piano B? Hanno davvero creduto che Abu Mazen avesse intenzione di negoziare con Israele una definitiva soluzione pacifica a due stati? Come fanno a non sapere che la strategia palestinese era e rimane quella di minacciare e intimidire Israele con l’isolamento, la demonizzazione, la delegittimazione e la criminalizzazione?
(Fonte: Israel HaYom, 7 Aprile 2014)
http://www.israele.net/come-sorprendersi
#5Emanuel Baroz
I palestinesi pongono una lista di nuove condizioni per proseguire il negoziato
Dopo che Abu Mazen si è rivolto unilateralmente agli enti internazionali, Israele cancella la scarcerazione del quarto gruppo di detenuti
I palestinesi hanno compilato una nuova lista di condizioni per acconsentire a continuare il negoziato: si va dalla scarcerazione di circa 1.200 detenuti palestinesi, ad un impegno scritto da parte di Israele ad accettare uno stato palestinese lungo le linee pre-’67 e con la parte est di Gerusalemme come sua capitale.
Questa la lista che è stata presentata alla dirigenza dell’Olp a Ramallah dal capo negoziatore palestinese Saeb Erekat e da Mohammed Al-Aalul, membro del comitato centrale di Fatah (riportata giovedì dall’agenzia palestinese Ma’an):
1. Impegno scritto da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che i confini del futuro stato palestinese saranno lungo la ex linea armistiziale ’48-’67 (“linea verde”) e che la sua capitale sarà Gerusalemme est.
2. Scarcerazione di 1.200 detenuti palestinesi, compresi i capi Marwan Barghouti, Ahmed Saadat e Fuad Shubkhi (condannati in Israele per terrorismo).
3. Fine del “blocco” sulla striscia di Gaza con apertura dei valichi di confine e formulazione di modalità per l’afflusso di beni a Gaza.
4. Cessazione di tutte le attività edilizie a Gerusalemme est.
5. Divieto alle Forze di Difesa israeliane di entrare nelle Aree A di Cisgiordania (sotto giurisdizione autonoma dell’Autorità Palestinese in seguito agli Accordi di Oslo) per condurre azioni di anti-terrorismo.
6. Passaggio sotto controllo dell’Autorità Palestinese di Aree C (attualmente sotto controllo israeliano in base agli Accordi ad interim di Oslo).
7. Permesso di rientro in Cisgiordania per i palestinesi noti come “gli espulsi della Chiesa della Natività”, un gruppo di terroristi che il 2 aprile 2002 si barricarono con le loro armi dentro la Basilica della Natività a Beltlemme e furono successivamente espulsi verso la striscia di Gaza e alcuni paesi europei.
8. Concessione della cittadinanza israeliana a 15.000 palestinesi nel quadro di un programma di riunificazioni familiari e riapertura a Gerusalemme est di un certo numero di agenzie palestinesi come la Orient House (chiuse dalla autorità israeliane perché violavano gli Accordi di Oslo).
I negoziati di pace sembrano dunque essere giunti sull’orlo del collasso, tra accuse reciproche. Fonti palestinesi hanno detto all’agenzia Ma’an che un incontro di nove ore, mercoledì notte, tra l’inviato Usa Martin Indyk, Saeb Erekat, il capo dell’intelligence palestinese Majid Faraj ei negoziatori israeliani Yitzhak Molcho e Tzipi Livni si è risolto in un “violento scontro politico” senza dare risultati.
Le nuove condizioni illustrate da Erekat devono essere state presentate nel corso della maratona negoziale notturna e presumibilmente respinte dai negoziatori israeliani. Per contro, Israele ha chiesto che la parte palestinese ritirasse formalmente le domanda di adesione unilaterale alle agenzie Onu, ma la risposta Erekat, stando all’agenzia Ma’an, è stata che Abu Mazen non ritirerebbe quelle domande neanche se da questo dipendesse la sua vita.
Giovedì sera, al termine di queste convulse ventiquattro ore, Israele ha formalmente annullato la scarcerazione del quarto gruppo di detenuti palestinesi spiegando che la decisione presa dall’Autorità Palestinese di inoltrare unilateralmente all’Onu la domanda di adesione a 15 enti e convenzioni internazionali (senza essere arrivati a un accordo con Israele) costituisce un’aperta violazione dell’impegno che i palestinesi si erano assunti, in cambio delle scarcerazioni da parte di Israele, di negoziare senza procedere con ricattatorie mosse unilaterali. Tzipi Livni, ministro della giustizia e capo negoziatore israeliano, aveva sottolineato nell’incontro di mercoledì notte con Erekat che i colloqui di pace non possono fare passi avanti attraverso misure unilaterali, e aveva invano esortato i palestinesi a ritirare la manovra e tornare al tavolo delle trattative.
Tzipi Livni ha spiegato che la mossa unilaterale dei palestinesi è arrivata in un momento in cui sapevano benissimo che Israele stava lavorando in modo concreto e coordinato per arrivare un’intesa che avrebbe portato alla prevista scarcerazione dei detenuti. Ma tale scarcerazione dipendeva dal fatto che i palestinesi mantenessero il loro impegno di non fare mosse unilaterali presso le organizzazioni internazionali per cui, ha concluso Livni, “in queste condizioni Israele non può procedere con la scarcerazione del quarto gruppo”.
(Fonte: YnetNews, Times of Israel, Jerusalem Post 3 Aprile 2014)
http://www.israele.net/i-palestinesi-pongono-una-lista-di-nuove-condizioni-per-proseguire-il-negoziato
#6Progetto Dreyfus
Dalla pagina Facebook di Progetto Dreyfus del 9 Aprile 2014:
5 ARRESTI NEL WEST BANK, UN FOCOLAIO DI TERRORISTI. DA GAZA SPARANO CONTRO L’IDF, NESSUN FERITO
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/614829968593368/?type=1&stream_ref=10
NEGOZIATI: DUE PESI, DUE MISURE. KERRY: “ANP NON RICONOSCERA’ LO STATO EBRAICO ORA”
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/614841738592191/?type=1&stream_ref=10
SIRIA: PRETE MASSACRATO DA ISLAMICI E ‘GIUSTIZIATO’, ERA L’ULTIMO CRISTIANO RIMASTO AD HOMS
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USA: CAUSA LEGALE TRA ARAB BANK E VITTIME DEL TERRORISMO. IL GOVERNO AMERICANO SI SCHIERA DALLA PARTE SBAGLIATA
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/614863485256683/?type=1&stream_ref=10
ISRAELE: LE TORRI DI RAMAT GAN, CENTRO DEL DIAMANTE
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/photos/a.387495981326769.85422.386438174765883/614869821922716/?type=1&stream_ref=10
Cari amici, con questa finestra su Israele e con questa canzone di speranza, Progetto Dreyfus vi augura una splendida giornata!
https://it-it.facebook.com/ProgettoDreyfus/posts/615216665221365?stream_ref=10