Israele, storia di un odioso boicottaggio

 
admin
9 febbraio 2008
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Israele, storia di un odioso boicottaggio

Roma, 4 feb (Velino) – Nessuno stato o comunità scientifica ha mai subito un simile fuoco cultural-ideologico. Neppure nel periodo più cupo e sanguinario della Guerra Fredda si è mai pensato di interrompere le relazioni scientifiche con l’Urss. I primi fuochi inglesi di boicottaggio accademico contro lo stato d’Israele si registrarono nel 2002. Allora il biologo antisionista Steven Rose pubblicò sul Guardian un appello contro i centri di ricerca dello stato ebraico. A Manchester, la professoressa Mona Baker licenziò due studiosi israeliani da ogni incarico ricoperto nelle riviste di linguistica che essa dirige. Un anno e mezzo fa la più grande organizzazione inglese di insegnanti, composta da oltre 60 mila membri, approvò il boicottaggio contro Israele e le sue “politiche da apartheid”. Il rettore dell’università Bar-Ilan, fra le più bersagliate dalla propaganda, parlò di “terrorismo accademico”. Questo fuoco ideologico e odioso contro lo stato ebraico adesso arriva in Italia: si vuole impedire che la voce di Israele e dei suoi scrittori si faccia sentire alta e viva alla Fiera del Libro di Torino. Il matematico Ronnie Fraser ha detto che il boicottaggio è figlio di una “mentalità razzista”. Nel marzo 2007, 130 medici britannici avevano proposto di boicottare la Israel Medical Association, chiedendone l’espulsione dalla World Medical Association. S’era poi accodata un’associazione di architetti.

Ad aprile il sindacato nazionale dei giornalisti britannici aveva deciso di boicottare tutti i prodotti made in Israel. “Un insulto all’intelligenza”, l’hanno definito alcuni dei più autorevoli corrispondenti da Gerusalemme: “Se i giornalisti volessero veramente boicottare i prodotti israeliani dovrebbero rinunciare ai loro cellulari e computer portatili, giacché tutti questi prodotti contengono componenti prodotte in Israele”. In risposta al boicottaggio degli atenei israeliani da parte di docenti, medici, giornalisti, architetti e anglicani di Gran Bretagna, il premio Nobel della fisica, Steven Weinberg, rispedì al mittente l’invito per una conferenza da tenere a luglio all’Imperial College di Londra. “So che qualcuno sosterrà che questo genere di boicottaggi sono rivolti solo contro Israele e non contro gli ebrei – scrisse nella lettera al college – Ma vista la storia degli attacchi contro Israele, la natura ferocemente repressiva e aggressiva di altri paesi in Medio Oriente e altrove, boicottare Israele denota una cecità morale per la quale è difficile trovare una spiegazione diversa dall’antisemitismo”. Weinberg è ora fra i promotori della speciale iniziativa degli Scholars For Peace in the Middle East: “Siamo accademici, studiosi e ricercatori professionisti di diverse vedute religiose e politiche. A dimostrazione della nostra solidarietà con i colleghi dell’accademia israeliana, noi sottoscritti ci dichiariamo accademici israeliani. Considerandoci accademici israeliani, eviteremo di partecipare a qualunque attività dalla quale fossero esclusi gli accademici israeliani”.

Il boicottaggio contro Israele non è virtuale. Nel 2002, anno di inizio della campagna, Paul Zinger dell’Associazione scientifica d’Israele disse al Sunday Telegraph che più di settemila ricerche scientifiche vengono mandate da Israele all’estero ogni anno. Nel 2002 la maggior parte tornarono indietro con la motivazione: “Ci rifiutiamo di esaminare i documenti”. Citandone solo uno, Oren Yiftachel dell’Università Ben Gurion, si è visto rifiutare una ricerca con una nota che lo informava che il giornale, il Political Geography, non accettava niente che provenisse dallo stato degli ebrei. Il controboicottaggio è sottoscritto da oltre diecimila accademici degli Stati Uniti e di altri paesi, tra cui l’Italia. Indetta da Weinberg e dal giurista di Harvard Alan Dershowitz, la petizione porta la firma di 32 premi Nobel, dal fisico Alexei Abrikosov all’economista Kenneth Arrow, e di 50 rettori universitari. Edward Beck, presidente di Scholars for Peace in the Middle East, parla della risposta a “un vergognoso gesto anti-intellettuale”. Dershowitz spiega che secondo “questa ideologia razzista, lo stato ebraico è puro aggressore. I boicottatori aderiscono al principio di autodeterminazione, eccetto che per gli ebrei. Sono oltraggiati dalla natura ebraica dello stato d’Israele, ma non sanno cosa dire su quella islamica dell’Iran e della Arabia Saudita. Sono indifferenti alla sofferenza ebraica, ma sono sensibili a quella dei non ebrei. Gli antisemiti abbracciano l’antisionismo per coprire il loro odio verso gli ebrei. La battaglia contro il boicottaggio è l’aspetto più urgente della guerra contemporanea contro l’antisemitismo”.

A Judea Pearl, il padre del giornalista del Wall Street Journal sgozzato in Pakistan, l’infame boicottaggio ne ricorda un altro. “Nel 1934 un volume di Nature, principale rivista scientifica britannica, conteneva due lettere dello scienziato tedesco Johannes Stark, premio Nobel della fisica, in cui spiegava ai colleghi inglesi perchè i professori ebrei dovevano essere cacciati dalle università tedesche. È istruttivo leggere queste lettere per ricordare”. Dopo aver difeso la libertà di parola nelle aule di tribunale, Alan Dershowitz guida ora un’eclatante protesta contro la “sindrome Lawrence d’Arabia” delle elite occidentali che accusano Gerusalemme di “apartheid” e chiudono gli occhi su quanto avviene in un blocco arabo 676 volte più grande di Israele. Elite dalle quali non si è mai levato un attacco al Sudan per le stragi nel Darfur, contro l’occupazione maoista del Tibet, lo Zimbabwe di Robert Mugabe, il Myanmar che incarcera i dissidenti, la Corea del Nord da cui svaniscono cristiani e handicappati, l’Iran che scatena ronde oscurantiste nei campus o l’Arabia Saudita che esporta l’odio contro gli “apostati”. Hanno invece scelto di esecrare e isolare uno stato minuscolo, che copre lo 0,0001 per cento della superficie terrestre, grande quanto il New Jersey e i cui abitanti ammontano a un millesimo della popolazione mondiale, ma che, stando al rapporto annuale di Freedom House, è uno degli stati più liberi e democratici del mondo. Lo stato degli ebrei. E questo è il problema. È il problema dei boicottatori di Torino.

Giulio Meotti

Il Velino

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