Spagna: la disciminazione antisraeliana colpisce anche gli omosessuali!

 
Emanuel Baroz
10 giugno 2010
3 commenti

No al Gay Pride per gli omosessuali israeliani. Le proteste della comunità gay

gay-pride-spain-focus-on-israelMADRID, 8 Giugno 2010 – Il gruppo di omosessuali israeliani non sarà presente alla sfilata del Gay Pride a Madrid, prevista nel mese di luglio. El Mundo parla di effetto del tragico evento della Flottiglia. Le voci sono state confermate stamane dagli organizzatori che hanno annullato l’invito agli omosessuali israeliani. “Potrebbe essere messa a rischio la loro sicurezza”, hanno affermato, “la loro presenza potrebbe provocare disordini e problemi”.

L’associazione di gay e lesbiche in Israele e il Ministero degli Esteri ha criticato la decisione affermando che questa esclusione è come una “vittoria per gli estremisti”. “E’ molto triste che gli organizzatori del Gay Pride a Madrid mescolino questioni che nulla hanno a che fare con la nostra comunità. Siamo stati invitati come associazione e non come organizzazione politica. Si è sprecata un’occasione di dialogo e convivenza”, afferma Mike Hamel, uno dei leader della comunità gay in Israele.

Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yossi Levy, è indignato. Inoltre l’associazione gay in Israele sottolinea di ricordare che Israele è l’unico Paese del Medio Oriente a celebrare il Gay Pride, affermando: “E’ inutile ricordare la situazione degli omosessuali nei Paesi limitrofi “. Levy parla di resa alla violenza in contraddizione con tutti i valori che intende rappresentare una parata gay. Infine nel suo comunicato, esprime la speranza di un ripensamento affichè anche i gay israeliani possano essere presenti a Madrid.

Mediterraneo.it

Madrid – Anche la cantante israeliana Dana International (l’unica cantante transessuale ad avere mai vinto sinora un Eurofestival), che doveva esibirsi a Madrid nel quadro del Gay Pride, ha visto tutti i suoi impegni all’estero annullati a causa di pressioni e minacce esercitate dai gruppi palestinesi e filo-palestinesi.

(Fonte:Israele.net, 10 Giugno 2010)

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  • #1Emanuel Baroz

    09/06/2010 Gli organizzatori della parata Gay Pride di Madrid dei primi di luglio hanno comunicato all’ambasciata israeliana che intendono cancellare l’invito alla delegazione israeliana, adducendo “motivi di sicurezza”. Numerose organizzazioni palestinesi e pro-palestinesi avrebbero esercitato pressioni e minacce in questo senso. “Eravamo stati invitato come organizzazione non politica – ha detto Mike Hamel, della Unione LGBT israeliana, esprimendo vivo disappunto – E’ un’altra occasione di dialogo mancata”.

    “Una vergogna – è stato il commento di Yossi Levy, del ministero degli esteri israeliano – Israele è l’unico paese in tutto il Medio Oriente dove si tengono parate Gay Pride, dove gli omosessuali sventolano le loro bandiere e godono di diritti e rispetto. Questa politicizzazione primitiva e questa sfacciata capitolazione alla violenza e al terrorismo degli anti-israeliani cozza coi valori e i principi di non discriminazione tipici del Gay Pride”.

    (Fonte: Israele.net)

    11 Giu 2010, 19:04 Rispondi|Quota
  • #2Alberto Pi

    Gay Parade in Israele, in corteo anche i palestinesi che nei loro territori sono uccisi per questo

    La Gay Parade di Tel Aviv quest’anno si è arricchita dei temi più importanti dell’attualità politica. Ieri sono stati tre i cortei che hanno attraversato la città costiera israeliana, uno dei quali ha denunciato con forza la «politica di apartheid» che viene attuata nei Territori occupati palestinesi e le recenti operazione in mare che hanno visto i soldati israeliani assaltare le navi pacifiste della Freedom Flotilla e uccidere nove cittadini turchi.

    Lungo Rotschild Boulevard, LGBTQ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer), ossia la comunità gay degli attivisti della sinistra radicale israeliana, ha raccolto un centinaio di attivisti provenienti da Gerusalemme e da Tel Aviv che ha dato vita a un corteo colorato, l’«Alternative Radical Parade», per ribadire il «NO» alla politica di apartheid, all’occupazione dei Territori, ai crimini di guerra, all’appropriazione da parte di Israele della terra del popolo palestinese. «Noi non festeggiamo mentre altri soffrono», è stato slogan che si poteva leggere sullo striscione posto alla testa del corteo. Nel suo appello di lancio della manifestazione, LGBTQ ha accusato il governo Netanyahu di utilizzare la Gay Parade come un’occasione per mostrare al mondo che Israele è un paese liberale, illuminato e progressista, una vera e propria «operazione di facciata e di marketing» dopo i tragici fatti della Freedom Flotilla. Mentre il corteo sfilava per le strade di Tel Aviv, non sono mancate le contestazioni di gruppi sparsi di ultrasionisti che muniti di bandiere con la stella di David, hanno urlato slogan nazionalistici e a sostegno dell’ Israeli Defence Force (le Forze Armate).

    Più «tradizionale» il corteo al quale hanno partecipato un migliaio di persone che si riunite al Meir Garden assieme ad esponenti politici e parlamentari. Tra questi il capo dell’opposizione Tzipi Livni (Kadima), da un lato pronta a lottare per i diritti degli omosessuali israeliani e dall’altro nazionalista accanita quando si tratta di negare i diritti dei palestinesi sotto occupazione. «L’identità sessuale non è un’identità politica. Ci sono gay anche nella comunità ortodossa, araba, di immigrati…la tutela della comunità gay è una responsabilità di una società libera e della sua leadership che deve assumerla con fermezza e senza arrendersi». E’ intervenuta sul palco anche la madre di uno dei tre ragazzi che l’anno scorso hanno perso la vita nell’attentato compiuto da un omofobo in un call centre per la tutela dei diritti dei gay nei pressi del Rotschild Boulevard, nel pieno centro di Tel Aviv.

    Una terzo corteo, «Marching for Social Change», è partito da Levinsky Garden nei pressi della stazione centrale dagli autobus, luogo simbolo degli immigrati e dei migranti che vivono a Tel Aviv. In questo caso i partecipanti hanno voluto ribadire quanto sia importante per la comunità gay lottare per un radicale cambiamento sociale senza dimenticare i diritti dei migranti, vittime di politiche repressive da parte del governo. (foto di Emilia Sorrentino).

    Nena News

    http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/2010/06/14/gay_parade_in_israele_in_corte.html

    14 Giu 2010, 17:01 Rispondi|Quota
  • #3Alberto Pi

    Due parole con Munir, gay palestinese rifugiato in Israele, sulla esclusione di Israele dal Gay Pride

    Munir è il suo vero nome, il cognome non vuole che lo pubblichiamo perché, dice lui, ha ancora parenti nella Striscia di Gaza e non vorrebbe che fossero fatti oggetto di ritorsioni da parte degli sgherri di Hamas. Munir è un ragazzo omosessuale palestinese rifugiato in Israele, fuggito a metà del 2009 dalla Striscia di Gaza verso Israele dove sta ottenendo lo status di rifugiato.

    Incontro Munir di fronte alla sede della associazione “Aguda”, la più grande associazione per gay, lesbiche, bisessuali e transgender israeliana. Aguda si occupa da diversi anni dei Diritti degli omosessuali israeliani e palestinesi. In particolare per questi ultimi l’associazione è molto attiva nell’assistenza verso coloro che sono entrati illegalmente in Israele e sono quindi irregolari. I gay palestinesi irregolari, per sopravvivere, sono costretti ad andare a prostituirsi vendendosi spesso a uomini arabo-israeliani che in molte occasioni abusano di loro e della loro condizione di clandestini. I volontari di Aguda girano nei luoghi dove questi ragazzi si prostituiscono e, oltre a rifocillarli e a donare loro del denaro, cercano di convincerli a chiedere asilo politico a Israele e, quindi, a regolarizzare la loro posizione. Ma la paura di essere rispediti a Gaza o in Cisgiordania però è troppo forte e supera di gran lunga il miraggio di una posizione regolare anche se, bisogna dire, la polizia e l’esercito israeliano sono molto tolleranti verso questi ragazzi palestinesi, sanno che se li arrestassero dovrebbero essere espulsi e questo vorrebbe dire, per loro, una sicura condanna a morte. Per questo motivo molti di loro preferiscono la condizione di clandestinità piuttosto che rischiare di essere rispediti indietro.

    Munir è invece uno di quelli che ha avuto il coraggio di emergere, di venire allo scoperto e di chiedere asilo politico a Israele. Quando è stato interrogato per verificare se ci fossero i presupposti per la concessione dello status di rifugiato, ha letteralmente fatto impallidire i suoi interlocutori raccontando come viveva lui, omosessuale, a Gaza. Pestaggi, insulti per strada, sberleffi alla sua famiglia, ai suoi amici e infine l’arresto come collaborazionista di Israele. E si, perché è questa la tecnica usata dalla polizia di Hamas per incarcerare gli omosessuali, gli accusa di essere collaborazionisti di Israele. Una volta in carcere vengono seviziati, torturati e dati in pasto agli altri detenuti. A Munir hanno dato una infinità di punti all’ano, seviziato con un bastone dai poliziotti di Hamas. I suoi genitori hanno dovuto pagare l’equivalente di 600 dollari per farlo uscire dalle carceri di Hamas. Altrettanto hanno dovuto pagare per il trasbordo in Egitto e di li in Israele.

    Quando è arrivato in Israele, Munir ha fatto quello che fanno gli altri ragazzi palestinesi omosessuali riusciti a sfuggire ad Hamas o ai poliziotti di Fatah, in Cisgiordania, si è prostituito. Una sera incontra i volontari di Aguda che si aggiravano per il quartiere della vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv, zona rinomata per la prostituzione omosessuale. I volontari, non si sa come, lo convincono ad emergere e a chiedere asilo a Israele. Lo avvisano che la battaglia sarà lunga perché lo Stato ebraico non vuole dare un appiglio legale per chiedere asilo politico in Israele. Non si vuole creare un precedente altrimenti qualsiasi palestinese potrebbe ottenere asilo definendosi semplicemente omosessuale e quindi perseguitato per ragioni di genere. Nonostante le difficoltà, Munir decide di correre il rischio. Inizia così una lunga battaglia portata avanti dalla associazione Aguda, una battaglia fatta di Diritto umanitario e di Diritti Umani, fatta di visite mediche a volte imbarazzanti, di colloqui con gli psicologi e con la sicurezza interna. Oggi Munir ha un permesso provvisorio che non è un vero e proprio riconoscimento di status di rifugiato, ma è quanto di più simile.

    “I miei genitori sono stati molto comprensivi con me, non avrei mai creduto che mio padre avrebbe capito la mia situazione e che mi avrebbe aiutato a fuggire” mi dice Munir. “Anche i miei fratelli, passata l’iniziale vergogna, hanno capito e questo è una cosa molto rara nella cultura palestinese. Conosco dei ragazzi omosessuali palestinesi che verrebbero uccisi dai loro fratelli se solo si presentassero a casa”. Munir non capisce come gli organizzatori del Gay Pride spagnolo abbiano voluto escludere la partecipazione di una delegazione di omosessuali israeliani quando proprio Israele è uno dei Paesi più tolleranti con l’omosessualità. “Non capisco come gli spagnoli abbiano potuto rendersi colpevoli di una così grande discriminazione, loro che lottano ogni giorno proprio contro le discriminazioni. Non può che esserci una ragione politica dietro a tutto questo” dice con foga mista a rabbia, Munir. “Perché allora non dicono una sola parola sulle persecuzioni alle quali sono sottoposti i miei fratelli in Palestina? Perché non parlano delle uccisioni dei gay in Iran e nei paesi arabi? Un Gay Pride deve essere l’occasione per ricordare al mondo le persecuzioni contro gli omosessuali non diventare una manifestazione politica e discriminante”. E poi continua, “se voleva essere un messaggio di solidarietà al popolo palestinese è il messaggio più sbagliato che potevano concepire, di una stupidità grandiosa, perché gli omosessuali palestinesi devono rifugiarsi in Israele se vogliono sopravvivere”.

    Munir convive con un ragazzo israeliano da tre mesi e non ha mai subito, da quando è in Israele, alcuna forma di discriminazione, né per la sua razza, né per la sua sessualità e ieri ha partecipato al Gay Pride di Tel Aviv. Lavora come barista e quando può da una mano come volontario alla associazione Aguda. “La discriminazione è insita nell’uomo malvagio, questo lo sappiamo, ma che a fare discriminazione fossero i più discriminati (i gay n.d.r.) è davvero un enorme paradosso”. Parola di Munir, gay palestinese rifugiato in Israele.

    Noemi Cabitza

    http://www.secondoprotocollo.org/?p=1112

    14 Giu 2010, 17:04 Rispondi|Quota
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