Ecco le prove che la Siria ha organizzato le proteste del “Nakba day”
di Sharon Levi
La Siria ha organizzato le proteste del Nakba day nel tentativo di distogliere l’attenzione dei media internazionali dalla durissima repressione in corso nel territorio siriano. Il Daily Telegraph avrebbe trovato le prove, un documento che se dovesse risultare originale accuserebbe Damasco di aver mandato deliberatamente i palestinesi contro le postazioni israeliane.
Il documento, di cui in seguito ne pubblichiamo l’immagine, è venuto in possesso di Michael Weiss che però ammette di non sapere se sia originale oppure no. Tuttavia è altamente probabile che ci si trovi di fronte a un documento originale anche perché la fonte di Weiss è quella che viene definita “fortemente attendibile”.
Il documento è firmato da Khalil Mashhadieh, sindaco di Quneitra, e porta la data del 14 maggio. Vi si riferisce di una riunione segreta tra il Vice Capo di Stato Maggiore delle forze armate siriane, generale Asef Shawkat, e i capi delle filiali dei servizi segreti militari siriani delle provincie lungo il confine israelo-siriano. In questa riunione si è stabilito di organizzare 20 autobus per trasportare i palestinesi lungo il confine che separa la Siria da Israele. Nel documento c’è l’autorizzazione a far entrare questi 20 autobus nella zona controllata dalle forze armate siriane, solitamente sottoposta a restrizioni.
“La sicurezza militare e le autorità di polizia (contingenti) delle provincie di Ain-el-Tina e di al-Qunaitera, hanno l’ordine di concedere il permesso di passaggio ai 20 autobus il cui arrivo è previsto per domenica 15 maggio 2011 alle ore 10 senza alcuna interruzione e senza interrogare i passeggeri. Gli autobus sono autorizzati a raggiungere le posizioni di difesa lungo la frontiera”. Questo, più o meno, è quello che si legge nel documento anche se il bello viene dopo. Infatti si legge che “viene accordato alla folla di attraversare la linea di cessate il fuoco verso il territorio occupato di Majdal-Shamms e di impegnarsi fisicamente con gli agenti delle Nazioni Unite posizionati lungo il confine. Non vi sono obiezioni se alcuni colpi vengono sparati in aria dagli agenti di frontiera”. Il documento sottolinea infine che “i civili dovranno essere disarmati al fine di inscenare una protesta pacifica”.
Se fosse provata l’autenticità di questo documento ci troveremmo di fronte alla prova schiacciante che a organizzare le proteste del Nakba day fu direttamente il Governo siriano e non, come venne detto, la conseguenza di una manifestazione spontanea. Il documento prova che l’azione fu coordinata e organizzata addirittura con l’impiego di autobus per trasportare i civili lungo il confine con Israele, fatto questo gravissimo in quanto è categoricamente proibito ai civili di avvicinarsi alla linea di confine tra Israele e Siria. Insomma, siamo di fronte a una messa in scena con l’uso di “carne da macello palestinese” al solo scopo di distogliere l’attenzione internazionale da quello che avviene in Siria. La stessa cosa sarebbe successa in occasione del successivo “Naksa Day” quando decine di palestinesi pagati 1000 dollari ciascuno dal regime di Damasco cercarono, sempre nella stessa zona, di attraversare il confine del Golan.
Secondo Michael Weiss questo documento è originale e proverebbe il tentativo del regime di Damasco di manipolare i media stranieri al fine di distogliere l’attenzione sui fatti che avvengono in Siria e sulla brutalità della repressione sulla popolazione indifesa.
Nella foto in alto: il documento pubblicato dal Daily Telegraph
#1Emanuel Baroz
Testimonianza di un vero dissidente siriano
In prima linea per combattere le bugie di Assad. Si chiama Abdulsattar Attar ed è un attivista siriano, espatriato in Belgio, da dove coordina le attività del gruppo Syrian Revolution 2011, in costante contatto con i manifestanti che protestano contro il regime di Damasco. Fondato da dieci ragazzi, di cui tre emigrati all’estero e sette che vivono in Siria, il gruppo ha raggiunto i 200mila iscritti e attualmente vi lavorano a tempo 400 persone, musulmane, cristiane, curde e alauite, divise in vari gruppi. Uno per esempio tiene i contatti con la stampa, un altro ristabilisce la connessione a Internet ogni volta che il regime la fa saltare, un altro ancora importa clandestinamente telecamere in Siria per documentare quanto sta avvenendo e smascherare la propaganda di Assad. Grazie ai suoi continui contatti con la Siria, Attar rivela per esempio che gli scontri al confine con Israele, nei quali hanno perso la vita 20 palestinesi, sono stati architettati dal governo di Damasco. Documentando inoltre che la notizia della tv ufficiale, secondo cui bande di rivoltosi avrebbero ucciso 120 soldati a Jisr al-Shughour, è solo un’invenzione.
Attar, partiamo dalla notizia dei militari uccisi. Ritiene che sia autentica?
Guardiamo ai fatti. Dall’inizio delle proteste lo scorso 15 marzo il regime ha affermato che 900 soldati sono stati uccisi da parte di «bande criminali» che operano nel Paese. Di queste presunte vittime, sono stati riconsegnati alle famiglie i corpi di 95 soldati. Il governo inoltre non ha mai reso nota la lista con i nomi dei soldati uccisi e l’indicazione del luogo dove sarebbero morti. I servizi in onda sulla tv siriana continuano a raccontare di violenze compiute dalla popolazione contro le forze armate. Si tratta di video manipolati, che raccontano solo bugie. Non dico che non sia avvenuto nessun atto di violenza, in alcuni casi i parenti dei civili uccisi dal regime, soprattutto se si trattava di bambini, hanno deciso di vendicarsi. Ma si tratta di azioni individuali, e non di bande armate che girano per il Paese. Dagli anni ’80 infatti nessuno ha armi in Siria, tranne il regime.
Perché il bilancio delle vittime diffuso dai ribelli dovrebbe essere più credibile di quello del regime?
Noi abbiamo dichiarato che dall’inizio delle proteste sono state uccise più di 1.300 persone, e abbiamo reso noti i nomi, il luogo della morte, la data e il luogo di nascita di ciascuno di loro. Sappiamo tutto di loro. Le autorità affermano invece che le vittime civili non sarebbero più di 200. Proprio per questo, il mio gruppo sta documentando tutte le violenze che il regime compie contro la popolazione.
Che cosa ne pensa degli scontri costati la vita a 20 palestinesi al confine tra Siria e Israele?
Quando avvenuto ha rattristato profondamente tutti i siriani, perché sappiamo che è stato il regime di Assad a spingere i palestinesi a morire in quel modo. Per oltre 40 anni mai nessuno ha attaccato quei confini. Perché quindi Assad ha deciso di farlo proprio ora? Per ricordare a tutto il mondo che la Siria è l’unico Paese arabo a contrapporsi a Israele. Lanciando quindi a Israele un chiaro messaggio: «Se io cado, questo è ciò che accadrà». Non a caso Assad continua a rivendicare che i palestinesi espatriati devono poter tornare nel loro Paese d’origine. Ma si tratta di una falsificazione della realtà. E’ di lunedì infatti la notizia che i palestinesi che vivono nel campo profughi siriano di Yarmouk hanno manifestato contro il regime siriano e contro i leader palestinesi di Damasco, accusandoli di essere loro i veri responsabili di quanto è avvenuto al confine con Israele.
Ma qual è la posizione dei ribelli nei confronti di Israele?
A noi giovani siriani, che abbiamo organizzato la rivoluzione, in questo momento non importa di Israele. Ciò che vogliamo è una Siria democratica, dove tutti i cittadini siano uguali, e siamo consapevoli del fatto che questo richiederà molti anni. Ma se osserva i video delle manifestazioni postate sulle nostre pagine di Facebook, vedrà che non c’è alcun riferimento di nessun tipo nei confronti di Israele.
Ritiene però che tra Siria e Israele in futuro possa esserci una convivenza pacifica?
Sono convinto che la pace tra siriani e israeliani è possibile, perché i Paesi civili hanno come unico obiettivo il rafforzamento della democrazia. Noi stiamo cercando innanzitutto di costruire il futuro della Siria, e proprio per questo la pace con tutti gli Stati confinanti, incluso Israele, è un bene prezioso. Noi giovani siriani non nutriamo alcuna forma di odio nei confronti di Israele. Certo ci sono alcuni problemi, ma ritengo che la Siria possa giungere senza difficoltà a siglare la pace con Israele. Del resto basta vedere l’esempio degli altri Paesi arabi confinanti. La Giordania, che per noi è un modello positivo, ha rapporti pacifici con gli israeliani, e lo stesso vale per l’Egitto. Perché quindi non dovrebbe avvenire lo stesso anche per noi? Lasciateci diventare un Paese solido, in cui la gente può condurre una vita dignitosa, e tutto potrà essere risolto attraverso i negoziati.
Esercito e polizia sono ancora fedeli ad Assad, o stanno iniziando a sfuggirgli di mano?
I casi di defezioni sono sempre più numerosi. Lunedì Al Jazeera ha intervistato un tenente che ha dichiarato di essersi ribellato al regime. A Jisr al-Shughour 90 militari si sarebbero rifiutati di eseguire l’ordine di uccidere dei civili, sollevandosi contro il loro comandante. Lo stesso è avvenuto a Daraa, dove il mio gruppo ha realizzato dei filmati, alcuni dei quali trasmessi anche da Al Jazeera, di in cui si vedono le forze di sicurezza che sparano ai soldati. L’aspetto interessante è che è tutto documentato dai video, abbiamo diversi militari che si sono fatti riprendere dalle telecamere, mostrando la loro carta d’identità e i loro gradi, e raccontando che il regime aveva ordinato loro di uccidere i manifestanti e che, per questo motivo, avevano deciso di disertare.
Il regime però è ancora saldamente al potere. Come pensate di farlo cadere?
I giovani che vivono in Siria e noi siriani all’estero siamo pronti a liberare il nostro Paese in modo pacifico. Finora sono morti 1.300 manifestanti, ma noi siamo pronti a seppellire 100mila dei nostri pur di conquistare la libertà. Continueremo quindi a organizzare manifestazioni, perché questa è la strada che abbiamo intrapreso di nostra spontanea iniziativa. Senza commettere violenze, ma bloccando l’intero Paese fino a che Assad cadrà. Abbiamo fermato l’economia, prima o poi il regime non avrà più il denaro per pagare le forze di sicurezza e queste lo abbandoneranno. E’ una guerra di nervi tra la gente e il regime e alla fine vincerà chi sarà più paziente.
Che cosa ne pensa della posizione di Ue, Usa e Onu?
La posizione che noi siriani ammiriamo e apprezziamo di più in assoluto è quella dell’Unione Europea. Francia e Regno Unito hanno negato legittimità al regime siriano, imponendo sanzioni molto significative. Per noi le pressioni politiche della comunità internazionale sono fondamentali, e quindi dall’Europa ci aspettiamo che vada avanti. Per quanto riguarda gli Usa invece, hanno alternato dichiarazioni di condanna nei confronti di Assad a prese di posizione in cui si parlavano di concedergli un’altra chance. Queste dichiarazioni discordanti hanno creato una certa confusione. Dal’Onu invece ci aspettiamo una presa di posizione forte per proibire al regime di uccidere altri civili.
http://esperimento.ilcannocchiale.it/2011/06/10/testimonianza_di_un_vero_dissi.html
#2esperimento
Grazie per la citazione. Anche il tuo post è una “testimonianza importantissima”!
Peccato non sia venuto ieri alla presentazione di Nissim, è stata molto molto interessante…
#3Emanuel Baroz
si, ho saputo! la citazione era dovuta!!!! 😉
#4Emanuel Baroz
16/06/2011 – “Nei giorni della Nakba (15 maggio) e della Naksa (5 giugno) le forze di sicurezza siriane sono state a guardare i dimostranti palestinesi che violavano la frontiera israeliana senza fare nulla per fermarli”. Lo afferma un rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon relativo alle Forze Onu di Disimpegno UNDOF (che dal 1974 monitorano il cessate il fuoco sul Golan), citato mercoledì dall’agenzia di stampa AFP. Secondo alcuni diplomatici europei, il rapporto Onu conferma ancora una volta che il regime di Bashar al-Assad ha incoraggiato gli incidenti al confine con Israele per deviare la protesta popolare, sanguinosamente repressa.
(Fonte: Israele.net)
#5Alberto Pi
Giorno del disastro, ecco i video dell'”invasione” palestinese
Leonard Berberi – 16 maggio 2011
Eccolo qui l’assalto dei confini israeliani nell’Altura del Golan. Il video – di poco meno di dieci minuti – l’hanno girato i ragazzi del sito baladee.net e mostra migliaia di palestinesi e siriani mentre superano le recinzioni e il filo spinato che delimita i due paesi.
Dalla parte israeliana – dove vengono fatte anche le riprese – sono in molti a chiedere di tornare indietro perché c’è il pericolo di incrociare qualche mina anti-uomo, ma nessuno se ne preoccupa.
Una volta finito l’assalto e messo piede nel Golan israeliano, scattano i baci e gli abbracci liberatori. Qualcuno è incredulo. Qualcun altro si lascia scappare anche un “Allora è così che ci si sente nel momento della liberazione”.
http://youtu.be/ekgkuAaTjPg
In quest’altro filmato – pubblicato sul sito jawlany.com – si vedono decine di soldati israeliani intenti a respingere l’assalto dei palestinesi appena entrati illegalmente nel pezzo di territorio amministrato dallo Stato ebraico. Molti di loro cantano “Filastin Arabiyeh wal Jawlan Suriyeh” (“La Palestina è araba e il Golan siriano”), assaltano i militari lanciando pietre e ogni altra cosa a portata di mano. A un certo punto la svolta: i soldati israeliani iniziano a sparare. Fino a quando non arrivano i rinforzi e i palestinesi (non tutti) sono costretti a ripiegare in terra siriana.
http://youtu.be/Dcboe0RlOqM
http://www.linkiesta.it/blogs/falafel-cafe/giorno-del-disastro-ecco-i-video-dell-invasione-palestinese
#6Emanuel Baroz
Sconfitte
di Francesco Lucrezi, storico
Abbiamo imparato, quindi (a parte coloro che già parlano l’arabo), che, oltre alla ‘naqba’ (la “catastrofe”, ossia la nascita di Israele), c’è anche la ‘naqsa’ (la “sconfitta” degli eserciti arabi nel 1967). Anche questa ricorrenza, naturalmente, va adeguatamente celebrata, con le marce ‘pacifiche’ dei profughi, i tentativi di violare il confine, l’esercito israeliano che lo impedisce, i feriti, i morti ecc. ecc. La cosa, oltre a essere terribilmente seria e drammatica, ha anche, indubbiamente, dei profili grotteschi, se non comici. Solo in Medio Oriente accadono cose che apparirebbero surreali in qualsiasi altro contesto. Senza scomodare la pace, la guerra e il diritto internazionale, torniamo ai nostri ricordi scolastici. Tutti abbiamo assistito, da bambini (dalla parte degli aggressori, delle vittime o, più spesso, degli spettatori), a delle angherie perpetrate ai danni di qualcuno considerato debole, isolato, diverso (ai miei tempi, ricordo che veniva definito un “tipo soggetto”). Per il branco dei ‘bulli’, un bersaglio facile, obbligato, per manifestare la loro forza e superiorità. La vittima designata, ovviamente, le prendeva. Qualche rara volta, però, poteva anche capitare che i bulli avessero fatto male i calcoli, e che il presunto “tipo soggetto” non fosse poi tale, sicché i bulli potevano anche essere loro, a prenderle. Ma li abbiamo mai visti celebrare, anno per anno, la loro “sconfitta”?
Naturalmente, come sempre, quando si tratta di Israele, non ci sono da commentare solo i fatti che accadono là, ma anche il modo in cui essi vengono rappresentati sulla nostra stampa. E, anche qui, il mondo appare alla rovescia, con la gente che cammina con la testa in terra e i piedi in aria. Spicca, per esempio, per la propria lucidità e coerenza, il fondo di Michael Walzer riportato su la Repubblica di lunedì 6 giugno, ove, a proposito dei disordini al confine tra Siria e Israele, se ne attribuisce la responsabilità principale al premier israeliano Netanyahu, il quale sarebbe responsabile di collocare il proprio Paese in una “condizione di paria della comunità internazionale”, facendo aumentare ovunque l’ostilità contro di esso, conducendolo così sull’orlo del baratro, “camminando a occhi chiusi verso la rovina”.
La motivazione di questo severo giudizio, naturalmente, risiede nel fatto che Netanyahu non crederebbe nel processo di pace (“non gli interessa, non creda nemmeno che esista”), e penserebbe soltanto al proprio personale successo politico. Walzer non è certo il solo a pensarla così, anche moti cittadini israeliani sono, più o meno, di questo avviso, ma la cosa curiosa è che l’articolista non mostra di credere che la controparte palestinese (diversamente da quanto Netanyahu riterrebbe, e come invece altri pensano) sarebbe invece disponibile a un serio negoziato, ma confessa di pensarla esattamente come il detestatissimo premier: infatti “i leader palestinesi accoglierebbero con favore il ritiro di Israele dalla Cisgiordania, ma non sono assolutamente pronti a chiudere il conflitto. …Non sono abbastanza forti da poter compiere una scelta del genere, ma ho il sospetto che non ne abbiano neppure la volontà. Il loro obiettivo strategico è… la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico che non riconoscono e verso il quale nutrono ostilità”. Dunque, se abbiamo capito bene: i palestinesi vogliono il loro Stato non per fare la pace con Israele, ma per continuare a fare la guerra, con strumenti più efficienti; il premier israeliano lo sa, ma non li aiuta a progredire in questo percorso bellicoso e, così facendo, conduce il suo Paese verso la rovina.
Perché Walzer non accusa Netanyahu anche di non volere fornire all’Iran tecnologia nucleare?.
Ma è inutile stupirsi. Testa in terra, piedi in aria, va bene così.
http://moked.it/blog/2011/06/15/sconfitte/