Quando l’Italia vendette gli ebrei ai terroristi
Roma, 9 Ottobre 1982, ore 11:55: un commando di terroristi palestinesi lancia granate e poi apre il fuoco contro gli ebrei che escono dalla Grande Sinagoga di Roma, in Lungotevere Cenci, dopo la funzione di Sheminì Azeret. Viene ucciso un bambino di due anni, Stefano Gay Tachè, mentre almeno altre trentacinque persone vengono ferite, alcune in modo molto grave.
Dopo 30 anni gli ebrei di Roma aspettano ancora che venga fatta giustizia per questo infame crimine
di Giulio Meotti
Nell’antico ghetto di Roma la memoria è ancora fresca della strage alla sinagoga del 9 ottobre 1982. Un commando palestinese di Abu Nidal lanciò granate e raffiche di mitra sugli ebrei all’uscita dalla sinagoga, il giorno dopo la festa delle capanne. Un bambino di tre anni, Stefano Gay Taché, rimase ucciso. E’ stato il primo ebreo assassinato in Italia in quanto tale dal 1945. All’epoca non c’era politico, dal presidente Pertini ai comunisti di Berlinguer, che non flirtasse con Arafat, mentre i giornali all’unisono paragonavano il sionismo al nazismo.
Quel giorno il quartiere ebraico venne lasciato misteriosamente senza protezione. L’unico terrorista condannato per l’eccidio, Abdel Al Zomar, oggi è a piede libero a Tripoli. Pochi giorni prima della strage, i sindacalisti di Luciano Lama lasciarono una bara vuota di fronte al tempio ebraico, mentre Pertini aveva esaltato la “resistenza” al fianco di Arafat, che sebbene avesse sulla coscienza qualche centinaio di ebrei uccisi in Israele o all’estero era stato anche appena ricevuto in Vaticano. I socialisti di Bettino Craxi erano soliti paragonare Arafat a Giuseppe Mazzini, mentre la cosiddetta giustizia italiana si sarebbe presto dimostrata molto lesta nel rilasciare i terroristi legati agli attentati (l’ultimo è Youssef al Molqi, l’unico condannato per l’uccisione sull’Achille Lauro dell’ebreo americano Leon Klinghoffer, che sebbene fosse su una sedia a rotelle venne gettato in mare come un cane).
Se il 16 ottobre 1943 è il giorno in cui gli italiani tradirono migliaia di connazionali ebrei diretti a Birkenau, il 9 ottobre 1982 deve essere ricordato come il giorno in cui l’Italia ha venduto gli ebrei ai terroristi.
Nella foto in alto: i primi interventisui feriti dell’attentato di quel terribile 9 Ottobre 1982
#1Emanuel Baroz
CRONACA DEI GIORNI DI PIOMBO. L’ATTENTATO ALLA SINAGOGA DI ROMA
da: Shalom, ottobre 1982
Sabato 9 ottobre. E’ circa mezzogiorno. Una di quelle giornate calde assolate tipiche dell’autunno romano. Molti ebrei stanno uscendo dal Tempio Maggiore sul lato di via Catalana. E’ sabato ma è anche Sheminì Azzereth, il giorno della benedizione dei bambini.
E’ un attimo: improvvisamente alcuni giovani sbucati nella strada estraggono da un tascapane qualcosa che lanciano in mezzo alla folla. Si sentono quatto esplosioni in rapida successione e poi i colpi di mitraglietta con cui gli attentatori si fanno strada per fuggire. Grida disperate e di terrore. Sull’asfalto i corpi dei feriti, occhiali rotti, borsette abbandonate, libri di preghiere calpestati e perforati e dappertutto macchie di sangue.
Comincia ad accorrere gente per portare i primi soccorsi. Nel vecchio ghetto tutti scendono in strada mentre si odono le sirene della polizia e delle ambulanze. Arriva di corsa il Rabbino Capo Toaff che questo sabato aveva accettato l’invito ad andare al Tempio askenazita di via Balbo. Dei ragazzi sono andati con la motoretta ad avvisarlo e il rabbino con il suo accompagnatore per non infrangere il sabato si sono precipitati a piedi per il lungo tragitto. Si portano via i feriti verso gli ospedali: il vicino Fatebenefratelli, il Nuovo Regina Margherita, il San Camillo… Per un bambino di due anni, Stefano Tachè, non c’è già più nulla da fare. Il fratellino Gadiel, quattro anni, è gravissimo e così molti altri dei circa quaranta feriti.
Mentre la polizia e i carabinieri compiono i primi rilevamenti lo stordimento, il dolore, la disperazione lasciano il posto alla rabbia. Si grida «basta, vogliamo la pace!». Si accusano i politici e i mezzi di informazione di essere i mandanti morali dell’attentato: sono loro che, prendendo spunto dalla guerra in Libano, hanno creato un clima di antisemitismo, loro che qualche giorno prima hanno ricevuto con tutti gli onori il capo dell’OLP, Arafat, facendo finta di dimenticare la strage di Fiumicino e il traffico di armi tra il Medio Oriente e le brigate rosse. Il Presidente del Consiglio Spadolini, che qualche minuto dopo l’attentato arriva con il ministro Darida, riceve applausi ma anche fischi. Il sindaco Vetere è costretto ad andarsene presto.
Alcuni giornalisti vengono insultati e cacciati via. La tensione sale sempre più.
Il Consiglio della Comunità ebraica di Roma si riunisce e invita gli ebrei a partecipare più numerosi del solito alla cerimonia di chiusura del sabato, nel tardo pomeriggio.
Poco prima delle 16 un corteo di due-tremila persone si stacca dalla folla che ormai da alcune ore staziona davanti alla sinagoga e si dirige verso via Arenula. Tutti i negozi del centro di proprietà di ebrei hanno le saracinesche abbassate, sopra una scritta: “Chiuso per strage”. Il corteo, non autorizzato, va verso via delle Botteghe Oscure e poi verso Piazza Venezia. L’intenzione è raggiungere il Quirinale per protestare con il Presidente della Repubblica ma la polizia blocca i manifestanti a via XXIV Maggio. La sede dell’OLP, in via Nomentana è presidiata dalla polizia ma non avviene nulla.
La sera, seguendo l’invito della Comunità, migliaia di persone celebrano la chiusura del sabato. Molta la commozione. Parecchi romani non ebrei vengono a pregare. Dopo la cerimonia ha inizio una veglia per le vittime. In Comunità stanno arrivando centinaia di messaggi di solidarietà e il “Comitato per l’ordine democratico” composto dai rappresentanti delle amministrazioni comunale, provinciale e regionale e dai sindacati, riunito in Campidoglio indice per lunedì pomeriggio due ore di sciopero e una manifestazione in Piazza SS. Apostoli. La Comunità ebraica si riserva di accettare di partecipare.
Domenica 10 ottobre. Domenica il ghetto è ancora sbigottito. Sulla cancellata del Tempio sono appesi indumenti insanguinati: un golf, una giacca, un talleth, lo scialle rituale per le preghiere.
Escono i giornali con i commenti sull’attentato. Da molte parti si sente imbarazzo, molti editoriali ammoniscono contro l’antisemitismo alcuni fanno autocritica.
Il Papa in San Pietro esprime “il suo dolore per il bambino ebreo ucciso”.
E’ la festa ebraica di Simchat Torà, la “gioia della Legge”, ma questa volta per le vie del ghetto, intorno alla sinagoga, non c’è festa né gioia ma solo dolore.
Nel tardo pomeriggio migliaia di romani, ebrei e non ebrei, sono presenti alla funzione nel Tempio. Dopo le preghiere, ricordano il piccolo ucciso e condannano l’attentato antisemita molti oratori: parlano, tra gli altri, il Rabbino Capo Toaff, Bruno Zevi e Arrigo Levi.
Al termine della cerimonia ancora una veglia di ricordo e di preghiera.
Lunedì 11 ottobre. In Campidoglio, nell’aula di Giulio Cesare, vi è una riunione congiunta dei consiglieri delle tre amministrazioni, comunale provinciale e regionale. Dolore per le vittime e condanna dell’antisemitismo. Parla, come rappresentante degli ebrei romani, Bruno Zevi, che dà voce alle accuse della Comunità contro chi doveva proteggere e non ha protetto e contro chi ha fomentato l’odio anti-ebraico.
Le scuole ebraiche sono chiuse e lo saranno anche martedì in segno di lutto.
Dalle 15 alle 17 Roma si ferma per uno sciopero proclamato dalle organizzazioni sindacali.
Alle 17,30 manifestazione in Piazza SS. Apostoli. Parlano il Presidente della Provincia, Lovari, il sindaco Vetere e il segretario della CGIL Lama. La Comunità non aderisce ma invia un comunicato (che non viene letto). Il sindaco non può non avvertire la frattura che si è creata tra cittadini della stessa città, tra ebrei e non ebrei, tanto che, tra l’altro, ricorda le lotte comuni contro i nazifascisti e dice: «Una cosa è certa: tutti quelli che sono qui non hanno nulla a che spartire con l’antisemitismo».
Martedì 12 ottobre. Alle 15 parte dall’ospedale Fatebenefratelli il corteo con la piccola bara bianca di Stefano Tachè. Si dirige verso la sinagoga a poche centinaia di metri. Il primo ad arrivare era stato Spadolini. Poi il sindaco Vetere, il ministro Darida, il prosindaco Severi e gli altri rappresentanti del governo. C’era un gran silenzio. Dalla macchina presidenziale scendeva Pertini. Un abbraccio con Toaff, quasi un segno di riconciliazione, poi assieme al rabbino si avviava alla camera ardente.
Nella sinagoga, sul Lungotevere, nelle vie Catalana e del Tempio, migliaia di romani salutano il piccolo Stefano. Si recita il kaddish, la preghiera ebraica dei morti e mentre suona lo shofar, il corno che da migliaia di anni chiama a raccolta il popolo d’Israele, molti piangono. Poi il corteo delle macchine si dirige verso il cimitero ebraico al Verano per i funerali privati.
Subito dopo la cerimonia un corteo organizzato dalle Associazioni Giovanili Ebraiche si dirige verso il Pantheon. Sono 10.000 persone che silenziosamente sfilano per le vie di Roma. I negozi del centro sono chiusi per lutto. Arrivati al Pantheon la manifestazione si scioglie dopo un canto religioso.
Nello stesso momento anche a Milano si conclude una manifestazione analoga. Dopo una cerimonia al Tempio, in cui il Rabbino Capo Laras ha pregato per le vittime dell’attentato, circa tremila persone sono sfilate in silenzio tenendo in mano ceri accesi.
Conclusi i funerali, a Roma il Rabbino Capo Toaff e una delegazione di rappresentanti della Comunità si incontra col sindaco Vetere e con gli amministratori comunali.
Mercoledì 13 ottobre. Nei locali della Comunità si tiene una conferenza stampa. Rispondono alle domande dei giornalisti Toaff e iI Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche, Ottolenghi, Sergio Frassineti e Enrico Modigliani (Comunità), Tullia Zevi (vicepresidente dell’Unione). «C’era stato un raffreddamento con il presidente Pertini – dice Toaff – ma questo raffreddamento, si è dileguato dopo un franco colloquio. Al presidente, che ieri ha partecipato con l’animo e l’affetto di sempre ai funerali, ho espresso la gratitudine della Comunità per la sua presenza».
Lunedì 18 ottobre. Il Presidente della Repubblica Pertini riceve al Quirinale una delegazione composta dal rabbino Toaff, Vittorio Ottolenghi, Tullia Zevi, Giorgio Sacerdoti e Giannetto Campagnano. Pertini si dichiara sdegnato degli episodi di antisemitismo verificatesi negli ultimi tempi, e parlando del suo incontro con il capo dell’OLP, Arafat, ricorda di aver detto che il popolo palestinese ha diritto ad una patria solo a condizione che l’OLP riconosca Israele. Arafat, aggiunge Pertini, si era detto d’accordo.
«L’incontro – scrivono i giornali – ha definitivamente chiuso un periodo di rapporti molto tesi».
http://www.memoriebraiche.it/sch_sto_11.htm
#2Emanuel Baroz
L’EDITORIALE
Attentato sinagoga, trent’anni dopo: un gesto per Stefano Gaj Taché
Il 9 ottobre 1992 i terroristi uccisero un bambino di due anni e ferirono 37 persone. Mercoledì 10 la commemorazione
di PAOLO CONTI
ROMA – Chi ha vissuto quella mattinata da cronista ricorda ancora la disperazione e il terrore di un pezzo di città. Anzi, di tutta Roma. Quel 9 ottobre 1982, quindi già trent’anni fa, l’attentato di un commando palestinese alla Sinagoga maggiore di lungotevere Cenci trasformò l’antico Ghetto ebraico romano in un brandello di Medio oriente. Furono ferite 37 persone. Soprattutto morì, davvero da vittima del terrorismo, il piccolo Stefano Gaj Tachè. Un crimine barbaro, ingiustificabile, inumano contro la più antica comunità ebraica della Diaspora: di fatto, contro i romani più «veri» e storicamente più radicati della Capitale.
Mercoledì 10 è prevista una grande cerimonia di commemorazione proprio nella Sinagoga maggiore, il teatro di quell’orribile attentato. Sarà l’occasione per misurare non poche temperature. Per esempio quella dell’antisemitismo, che troppo spesso si ritrova sui muri, nella viltà di certe scritte, nella bieca volgarità di talune esclamazioni. Per non parlare di quel saluto romano purtroppo sempre più visibile, con ignorante spavalderia, anche tra le giovani generazioni. Si fa molto nelle scuole, è vero: per esempio le frequenti partenze per i Campi di sterminio organizzate proprio dal Comune di Roma, anche sotto questa maggioranza, danno i loro frutti. Ma non sempre basta. E poi sarà interessante capire l’autentico rapporto che, al netto di inevitabili utilitarismi, lega le diverse forze politiche alla Comunità ebraica. C’è sempre l’inevitabile sospetto che un’amicizia troppo ostentata possa nascondere, appunto, un vantaggio immediato. E questo vale per tutti, nessuno escluso.
Infatti resta, in città, un interrogativo privo di risposta. Il 9 maggio scorso il Capo dello Stato ha nominato al Quirinale, nel suo discorso per la Giornata della Memoria dedicata alla Vittime del Terrorismo, proprio il piccolo Taché. Gesto atteso e nobilissimo.
Invece l’assemblea del Campidoglio non ha mai trovato il tempo (o la volontà politica?) di affrontare un dibattito su una proposta avanzata da più parti, e anche dal Corriere della Sera con diversi interventi di Pigi Battista. Cioè dichiarare il 16 ottobre giorno perenne di lutto cittadino. Non costa niente. Non comporta chiusure di uffici pubblici. Ma varrebbe molto. Tutti noi romani sappiamo cosa significhi quella data: la spaventosa razzia dei nostri concittadini ebrei, la loro deportazione da parte degli occupanti tedeschi. L’osceno frutto di quelle leggi razziali volute dal fascismo, in omaggio a Hitler, e controfirmate e quindi divulgate da Vittorio Emanuele III, l’unico sovrano in Europa ad aver tradito i propri sudditi di fede ebraica. Il sindaco Alemanno e la sua maggioranza hanno ancora tempo per compiere (raccogliendo l’unanimità del Consiglio comunale, che non mancherebbe) un gesto storico. Roma ha l’obbligo di ricordare quell’onta incancellabile. Deve saper trasmettere alle nuove generazioni la profonda consapevolezza di ciò che accadde per le nostre strade, tra la nostra gente, tra noi romani. Farlo è facile. Basta volerlo.
(Fonte: Corriere della Sera, edizione di Roma, Prima Pagina, 6 Ottobre 2012)
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_ottobre_6/attentato-sinagaoga-roma-ricordo-stefano-gaj-tache-2112136058059.shtml?fb_action_ids=4593528887350
#3Daniel
“La morte di mio fratello è rimasta senza giustizia”
Stefano Taché nel 1982 aveva solo due anni. Parla suo fratello Gadiel, testimone della tragedia, oggi a 34 anni continua a condannare quel terrorismo vigliacco e indiscriminato e torna a chiedere giustizia.
di Simona Casalini
Certamente volevano uccidere più persone, più piccoli ebrei. In quel giorno di festa, l’ultimo della Festa delle Capanne, quello dedicato alla maggiore età dei ragazzi, le raffiche di mitra e le schegge delle granate colpirono il piccolo Stefano Taché, di due anni e il suo fratellino Gadiel di 4 anni, insieme ad altre 37 persone ferite. Alcune portate a braccia al cattolico ospedale Fatebenefratelli dell’isola Tiberina proprio di fronte alla Sinagoga, altre con un elicottero che atterrò sulla banchina del fiume e altre in auto negli ospedali più vicini. Stefano morì dopo qualche ora, il fratellino di quattro anni rimase in condizioni critiche per settimane per i tanti frammenti di metallo che lo avevano investito. La mamma Daniela è una dolce signora che non ha mai voluto rendere pubblico il suo dolore e anche adesso dice “Scusate il mio riserbo, ma il mio è un ricordo e un dolore privato”. Sarà Gadiel Taché, che ora ha 34 anni, a parlare per la famiglia e domani in Sinagoga sarà nelle primissime file a ricordare quel giorno, a pregare ancora una volta per il fratello ucciso.
– Gadiel, lei il giorno dell’attentato era a festeggiare in Sinagoga con suo padre, sua madre e Stefano, fratellino più piccolo di due anni. Ricorda qualcosa di quello che accadde?
“No, di quel momento niente di niente, forse perché ero troppo piccolo o forse perché la mente di un bambino tende a rimuovere i traumi. Però mi ricordo le tante operazioni che ho dovuto subire per venirne fuori, ho avuto molte ferite, dentro e fuori. E ho sempre pensato a Stefano e mi piacerebbe moltissimo almeno poterlo ricordare”.
– Cosa pensa ancora oggi di quell’attacco?
“Prima di tutto che fu un’azione da gran vigliacchi. Quei terroristi sapevano che c’erano bambini e li hanno voluti colpire”
– Per la Memoria di suo fratello Stefano, per la prima volta il presidente Napolitano entrerà in Sinagoga. Come si sente?
“Per ora ho tanta tensione ma, certo, sono contento. Sì, credo che sarà qualcosa di molto bello”.
– Lei ha detto che qualche volta sente che suo fratello è un “bambino dimenticato”. A cosa si riferisce?
“Ancora non c’è stata nessuna giustizia per quell’attentato. Per la morte di Stefano nessuno ha pagato la colpa. Un bambino più fantasma di così?”
Spiegano dalla Comunità ebraica romana, che cambiò con il nome di largo Stefano Taché l’indirizzo istituzionale della Sinagoga: “Sulla storia e i retroscena di questo attentato rimangono molti interrogativi: su come fu organizzato, con quali aiuti interni al paese e sulla identità dei terroristi. Uno solo di loro è stato condannato in contumacia all’ergastolo, Osama Abdel Al Zomar. Fu arrestato in Grecia, subito estradato in Libia e non risulta che abbia mai fatto un giorno di carcere.”
(Fonte: la Repubblica – Roma, 9 ottobre 2012)
#4Emanuel Baroz
Attentato 9 ottobre 1982 alla Sinagoga Maggiore di Roma, l’elenco dei feriti
Enrica Amati Moscati
Lello Anav
Anna Arbib
Jacqueline Arbib
Fabio Calderoni
Lucia Correale
Benedetto Carucci Viterbi
Renata Conforty Orvieto
Sandro Di Castro
Giuseppina Di Castro Fiano
Ester Di Segni
Rosa Di Veroli
Leonardo Donati
Lucienne Durso Levaccare
Mario Funaro
Elia Gerbi
Daniela Gaj
Rita Jonas
Nessim Hazan
Jole Marino
Giacomo Moscati
Nereo Musante
Giuditta Orvieto Pacifici
Nathan Orvieto
Joram Orvieto
Shulamit Orvieto
Leone Ouazana
Emanuele Pacifici
David Pacifici
Jonathan Pacifici
Alberto Pavoncello
Eliana Pavoncello Hazan
Elena Pelosio
David Piazza
Laura Piperno
Alba Portaleone Anav
Gabriele Sonnino
Giuseppe Baruch Sermoneta
Max Shamgar
Gadiel Tachè
Joseph Tachè
http://www.romaebraica.it/attentato-9-ottobre-1982-alla-sinagoga-maggiore-di-roma-lelenco-dei-feriti/
#5Emanuel Baroz
Il dovere di non dimenticare
di Ugo Volli
L’attacco terrorista alla sinagoga di Roma fu un terribile momento di risveglio per l’ebraismo italiano e resta ancora un ammonimento per tutti noi. Che si colpisse la sinagoga più importante d’Italia, il simbolo dell’ebraismo italiano; che l’attacco avvenisse dunque su un obiettivo puramente religioso e non politico; che le istituzioni si fossero dimostrate incapaci di tutelare la vita degli ebrei e mostrassero una sostanziale indifferenza, che questo atto atroce fosse stato preceduto di pochi giorni da un corteo sindacale anti-israeliano con la simbologia truce di una bara portata a due passi dallo stesso Tempio poi insanguinato dai terroristi, in un modo che era inevitabile leggere come legittimante l’atto terrorista; che in breve giro di tempo altri attentati si succedessero, come quello particolarmente efferato di Fiumicino (1985) e altri gesti di distacco, come la scelta inedita di Pertini di registrare il messaggio di capodanno accompagnato da un bambino palestinese (1983): tutta questa costellazione di fatti aperta dall’assassinio del piccolo Stefano Gay Taché diede all’ebraismo italiano, o almeno a buona parte di esso, il senso del fallimento non del rapporto con la comunità nazionale in cui continuava ad essere bene inserito e bene accetto, ma della rappresentanza politica che aveva perseguito dalla Resistenza in poi.
Semplificando e radicalizzando un po’, si può dire che la lezione della Shoà era stata compresa finora dal vertice intellettuale e politico dell’ebraismo italiano nel senso che i pericoli per l’ebraismo e gli ebrei venissero tutti e solo da destra e dal clericalismo; che dunque lo schieramento di sinistra fosse la collocazione naturale degli ebrei, naturalmente anche per la sensibilità sociale della nostra tradizione, ma soprattutto perché “mai più” si ripetesse la Shoà. C’erano state avvisaglie: l’antisemitismo dell’ultimo periodo di Stalin, la posizione del “campo socialista” contro Israele nelle guerre del ’67 e del ’73, l’alleanza sovietica con la Siria e con l’Egitto. Ma ora si vedeva che qui, di fronte a un terrorismo diretto contro la vita degli ebrei, la politica non solo della destra e del centro cattolico era indifferente – e oscuramente si capiva già allora, più complice che indifferente, come sarebbe emerso dalle rivelazioni sul “lodo Moro”. Ma anche la sinistra lo era o peggio, si schierava coi terroristi “simili a Mazzini e Garibaldi”, come disse qualche anno dopo Bettino Craxi in un discorso applaudito da tutto il Parlamento salvo repubblicani, radicali e liberali. L’ebraismo italiano, naturalmente non tutto, ma nella sua maggioranza, capì allora che non poteva separare il proprio destino da quello di Israele, né delegare a un generico schieramento a sinistra la difesa della propria identità e della propria vita, che i nemici non stavano solo a destra. Lezioni apprese con il prezzo del sangue, che oggi rischiano di nuovo di andare confuse in un ritorno all’ideologia, ma che abbiamo il dovere di non dimenticare.
Questo articolo è uscito due settimane fa su “Pagine Ebraiche”, prima che Ugo Volli interrompesse la collaborazione.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=46407
#6Daniel
“…Chi sono i colpevoli?…..gli ebrei puntano l’indice contro il pesante clima antisionista dell’epoca. Neanche due ore dopo l’attentato viene distribuito un volantino redatto frettolosamente dagli studenti ebrei, intitolato ironicamente “Grazie!”. È un atto d’accusa contro Giulio Andreotti e Bettino Craxi che flirtano con Yasser Arafat, allora ancora sostenitore della distruzione di Israele; contro il Pci filo-sovietico schierato dalla parte degli arabi; contro quotidiani e settimanali dove fioccano i paragoni fra sionismo e nazismo confusi fra le critiche all’invasione israeliana del Libano; contro gli autonomi romani che avevano affisso lo striscione “Bruceremo i covi sionisti” sulla piccola Sinagoga di Via Garfagnana; contro i sindacati che avevano deposto una bara di fronte alla Sinagoga Maggiore fra sventolii di bandiere rosse; contro Sandro Pertini, capo dello Stato ed attento alle ragioni di tutti ma non degli ebrei, ai quali nel discorso di fine anno si sarebbe poi rivolto con tono brusco chiedendo “Ma che cosa vogliono questi ebrei”….“
#7David Pacifici
Nel corso della serata con cui abbiamo segnato a Gerusalemme i 30 anni dall’attentato al Tempio di Roma e ricordato la tragica morte di Stefano Michael Gaj Tachè z”l (l’audio della serata è qui: http://www.hevraitalia.org/attentato82.mp3), ho avuto modo di esporre come vittima e testimone la mia ricostruzione del terribile evento.
Visto che ho presentato alcuni elementi sfuggiti alla maggior parte delle persone e che costituiscono ancora oggi interrogativi angoscianti, vorrei condividerli con voi.
1) La totale assenza delle forze dell’ordine, vigili urbani inclusi, intorno al Tempio solo quella mattina è un fatto assodato. Meno noto che il presidente Cossiga abbia dichiarato a Menachem Ganz: “Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell’ambito di quell’accordo di cui mi hanno sempre negato l’esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente…”. Cioè non lo sapeva allora, lo ha saputo dopo. Chi ha dato l’ordine?
2) Le bombe a mano. In nessuno delle centinaia di attentati in Europa o in Israele compiuti da terroristi palestinesi sono mai state utilizzate le bombe a mano. Il motivo è semplice: in campo aperto se l’attentatore non trova immediato riparo resta colpito anche lui. Lanciare rimanendo in posizione eretta è contro ogni regola, ma è ciò che è avvenuto nel nostro caso con una distanza tra terrorista e vittime di soli 10 o 15 metri. E allora? I terroristi hanno evidentemente utilizzato bombe a carica ridotta da esercitazione lanciandole non tra la gente ma il più lontano possibile nel giardino, in zone dove non c’era nessuno: davanti al portone principale o verso il Tempio Spagnolo e questo posso affermarlo avendole viste volare sopra la mia testa. In pratica senza fare danni. Le bombe che ho seguito con gli occhi e che ho disegnato per i disinteressati inquirenti, avevano un manico: è un accorgimento che consente di lanciarle del 50% più lontano. Due bombe hanno causato il peggio: una ha colpito, probabilmente per un lancio errato, la colonnina dove oggi c’è la lapide ed è caduta per terra (dove ha lasciato un foro) tra le gambe di Stefano e Gadi e di alcuni dei feriti più gravi. La seconda lanciata verso il Tempio Spagnolo, quindi molto distante, è esplosa a mezz’aria colpendo e la famiglia Hazan che attraversava la strada. Queste considerazioni mi hanno convinto che l’attentato doveva essere dimostrativo, senza provocare vittime. Un maledetto imprevisto lo ha trasformato in tragedia.
3) I mitra. In tutti gli attentati in Europa di quell’anno i mitra sono stati utilizzati per finire senza pietà i feriti dell’esplosione di ordigni ad alto potenziale. Nel nostro caso i terroristi hanno sparato in aria solo per coprirsi la fuga. Due di essi erano appostati a protezione degli altri all’angolo tra via Catalana e Portico d’Ottavia, dove i feriti più leggeri ed i soccorritori improvvisati transitavano correndo per raggiungere l’ospedale, ma non hanno interferito. Ancora, non volevano uccidere, sarebbe stato facilissimo.
4) Il fotografo di via Catalana. Si chiama Roberto Barberini, ancora lavora. Si occupava di cronaca nera, spesso si univa alle “volanti”: cosa ci faceva in ghetto di sabato mattina, posto sempre tranquillo, e vicino al Tempio dal quale la nostra sicurezza lo avrebbe certamente allontanato? Aveva captato l’ordine dato alle forze dell’ordine di non presentarsi? O, visto che la sua seconda specializzazione era ed è la fotografia dei politici in pose casual, e quindi li frequentava, aveva ricevuto una dritta? Abbiamo sei o sette foto scattate da lui ai feriti con poco contorno e pubblicate dalle riviste. È facile capire dallo stato dei feriti che si è mosso da Portico d’Ottavia (prima foto a Shulamit Orvieto) verso le “tre palme” (ultima foto di Max Shangar caricato in un auto). In queste foto si vede che le forze dell’ordine non erano ancora arrivate, i soccorritori sono tutti ebrei: quindi ha iniziato a scattare subito dopo la fuga dei terroristi. Ma quante foto ha scattato senza pubblicarle? Un professionista che si trova in una circostanza del genere scatta un rullino dopo l’altro. Dove sono le altre foto, in particolare quelle a tutto campo? Possiede foto dei terroristi in azione? Qualche giudice ha disposto una perquisizione a sorpresa del suo studio? Non credo. Infine, perché non ha documentato il “dopo”, il dispiegamento dei soccorsi, le ambulanze, la rabbia di tutti noi ed è sparito nel nulla?
5) L’arrivo delle forze dell’ordine. Uscito dall’appartamento dove mi ero riparato ho assistito all’arrivo delle forze dell’ordine giunte quando tutti i feriti erano già stati evacuati, io sono salito sull’ultima ambulanza. Chi è arrivato? Di tutti i corpi possibili la Guardia di Finanza, in forze. Da dove, perché loro? Solo dopo sono arrivati poliziotti e carabinieri.
6) L’ospedale Fatebenefratelli. Di sabato le sale operatorie sono chiuse e le équipe chirurgiche fanno il weekend. Quel sabato invece erano state convocate all’ospedale per attività di “aggiornamento”. Quando i feriti arrivarono era pronta una struttura formidabile. Un caso?
7) Il fotografo di Lungotevere. Si chiama Massimo Capodanno. Sono sue le foto che ritraggono mio figlio Jonathan in braccio ad un vigile ed a una vigilessa nel breve momento in cui mi accomodavo nel posto di dietro di una 127 due porte della municipale e loro me lo passavano. Siamo quasi un’ora dopo l’attentato, avevo portato Jonathan al Fatebenefratelli ma visto il sovraccarico dei medici dopo un po’ ho deciso di spostarci al Bambino Gesù. Quali altre foto ha scattato prima? Possono aiutare la ricostruzione della tragedia?
Il lodo Moro. Grazie alle rivelazioni del presidente Cossiga finalmente sappiamo per certo ciò che abbiamo sempre sospettato: “In cambio di una ‘mano libera’ in Italia i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e l’immunità di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d’Israele”. Cioè esclusi gli ebrei. Dopo le leggi razziali ed il 16 ottobre, il primo tradimento del regno fascista, ecco come ci ha traditi la repubblica democratica. L’attentato del 9 ottobre dell’82 non infrangeva il patto, era uno scellerato “diritto” dei palestinesi. (Il lodo Moro a giudizio di Cossiga è ancora vigente, anche con gli Hezbollah in Libano: i caschi blu chiudono gli occhi, migliaia di missili vengono schierati contro Israele, ma il contingente italiano è salvo!)
9) Le indagini. Sono state una semplice formalità. Su imbeccata israeliana i Greci hanno fermato uno dei terroristi, l’Italia ha tentennato sull’estradizione e i greci lo hanno portato e liberato in Libia. L’Italia, ad oggi, non ha mai richiesto l’estradizione. Poi, sembra una presa in giro, lo ha condannato all’ergastolo, uccel di bosco.
Mettendo insieme tutti questi fatti arrivo ad una sola conclusione. Altissimi livelli politici (il “grande vecchio” degli anni di piombo?) o i servizi segreti deviati di piazza Fontana, Bologna ecc. hanno approvato una azione palestinese. Un attentato vetrina per Arafat, forse un modo traumatizzante di fermare l’escalation antiebraica in corso nel paese per l’Italia. Hanno tolto le forze dell’ordine intorno al Tempio, forse predisposto i soccorsi ospedalieri e dato luce verde ad una condizione: niente morti. I palestinesi hanno accettato e si sono attenuti: il lancio troppo basso di una bomba ha mandato letteralmente tutto all’aria. Stefano Michael z”l ha pagato con la vita.
#8Parvus
@David Pacifici:
Condivido pienamente l’articolo. Aggiungo che i patti con i palestinesi, non si rivelarono un buon “affare” per l’Italia. Agli uomini di Arafat bastava cambiare sigla per compiere due stragi a Fiumicino, oppure camuffarsi per fare la strage di Bologna.
#9Parvus
Più che l’Italia, direi la parte infetta e insana dell’Italia, con in testa i comunisti, e quei politici che saranno spazzati via da Mani Pulite. Una pagina vergognosa da affiancare a pieno diritto alle leggi razziali.
#10Micol
Non ero ancora nata nel 1982, ma di quella giornata e di quel periodo si è’ ovviamente parlato spesso a casa…come disse Cossiga in una famosa intervista qualche anno fa gli ebrei vennero abbandonati dallo stato italiano che preferì’ scendere a patti anche con il terrorismo palestinese
#11Cesare Pavoncello
Nella Foto mio Suocero David Di Segni ex-Deportato dei campi di sterminio. Grande Uomo e Grande Padre. Che KB Benedica lui ed il piccolo Stefano.
#12cico cichetti
bei tempi quelli !!!
qua ormai tra i vari gad lerner e david parenzo s’è fatta la fila di gente che andrebbe buttata a mare !!!
oh, che poi mica noi italiani vi obblighiamo a restare qui in italia.
mica nessuno vi vieta di fare aliah in israele.
solo che finchè state qua potreste anche non rompere i coglioni !!!
e non mi venite a dire che siete nati in italia perchè non c’entra niente.
Se c’avete la doppia nazionalità potete tranquillamente andarvene, non sentiremo la vostra mancanza. Oppure essendo ebrei potete richiederla.
Ma se dovete stare qua a sponsorizzare l’invasione di massa degli immigrati e rinfacciarci robe che sono successe 30- 70 anni fa… allora mi sa che ve la andate pure cercando !!!
#13Daniel
@cico cichetti: mavaffanculo idiota!
#14STINCONE GIACOMO DOMENICO
nessun commento, solo sentimento di vergogna e di rabbia, sapere che lavoro e pago le tasse in italia per ingrassare terroristi, parassiti e nemici giurati di israele. mi sento ostaggio del sistema. davvero se potessi, ma per vigliccheria non lo faccio, chiederei di andarmene in israele, e chiedere anche-se la accettano-, la cittadinanza.