I terroristi della “nuova” Intifada seguono le direttive ricevute dalle leadership palestinesi

 
Emanuel Baroz
19 novembre 2014
5 commenti

L’Intifada dei coltelli e i pifferai del terrore. Pogrom a Gerusalemme

Radio, giornali, tv. Non solo Hamas, così i “moderati” di Abu Mazen incitano i palestinesi a uccidere gli israeliani.

di Giulio Meotti

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Qualche giorno fa sulla prima pagina di al Hayat al Jadida, il quotidiano ufficiale dell’Autorità palestinese, campeggiava un’esortazione: “Spingi il gas fino a 199 km orari. Fallo per al Aqsa”. Si incitava a lanciare automobili sui passanti ebrei. Due attacchi simili sono stati compiuti nelle ultime due settimane a Gerusalemme. Ieri, alla Kehilat Bnei Torah di Gerusalemme, due cugini palestinesi della zona orientale della capitale israeliana hanno usato le mannaie per uccidere quattro ebrei raccolti in preghiera. Nell’attentato ha perso la vita il rabbino Moshe Twersky, il nipote del grande Joseph Soloveitchik, il padre dell’ebraismo ortodosso americano.

Il fondatore delle unità religiose di pronto soccorso, Yehuda Meshi Zahav, ha detto che il massacro di ieri, “con gli ebrei uccisi con i filatteri, i libri sacri, il sangue, ricorda l’Olocausto“. L’attacco ha avuto luogo a tre chilometri dal memoriale della Shoah, Yad Vashem. La chiamano “l’Intifada dei coltelli”. Idbah al Yahud. Uccidete gli ebrei. “Idbah” è un termine arabo mutuato dal vocabolario dei macellai. Sia Hamas sia il Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno rivendicato la strage. Ieri il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha condannato l’attacco, ma è stata la sua prima e unica presa di posizione contro il terrorismo che sta insanguinando Gerusalemme, Tel Aviv e la Cisgiordania (Giudea e Samaria). Per questo, da Londra, il capo della diplomazia americana John Kerry ha chiesto a Ramallah di fermare la propaganda d’odio contro Israele.

Le mani che hanno impugnato le asce erano dei terroristi, ma la voce è di Abu Mazen“, ha detto il ministro degli Affari strategici d’Israele, Yuval Steinitz, braccio destro del premier Benjamin Netanyahu. “Chiunque chiami i musulmani a difendere la moschea di al Aqsa con tutti i mezzi contro gli ebrei ha la diretta responsabilità per il pogrom alla sinagoga di Har Nof“.

Da settimane Abu Mazen ha impugnato la bandiera della moschea di al Aqsa al grido di “difendete i luoghi santi islamici” con “tutti i mezzi” dagli ebrei, da lui definiti “mandrie di bestiame“.

Era dai tempi di Yasser Arafat che non si vedeva così tanto incitamento all’odio sui media palestinesi, lautamente finanziati dall’Unione europea. Non soltanto Hamas e Jihad islamico, ma soprattutto Fatah e gli organi di informazione dell’Autorità palestinese del presidente Abu Mazen. Ieri il Congresso ebraico europeo ha chiesto a Bruxelles di vincolare gli aiuti economici a Ramallah con la fine della propaganda antisemita.

La scorsa settimana, in un video per la televisione palestinese, Abu Mazen ha detto che la presenza degli ebrei sul Monte del Tempio, sacro sia agli ebrei sia ai musulmani, lo “contamina” e deve essere impedita “in ogni modo”. Nella funerea pubblicistica palestinese, espressioni come “in ogni modo” e “con tutti i mezzi” indicano il ricorso al terrorismo. Così, mentre una bambina israeliana di tre mesi veniva uccisa in un attentato a Gerusalemme, l’ex premier palestinese Ahmed Qurei dichiarava che Israele pianifica “una invasione su larga scala” della moschea di al Aqsa.

Il volto di Muataz Hijazi, il terrorista che ha attentato alla vita del rabbino Yehuda Glick, oggi campeggia sulla pagina Facebook di Fatah, il partito di Abu Mazen. Sorride il terrorista, con la cupola della Roccia alle spalle. In una vignetta, Fatah presenta come cani rabbiosi gli ebrei israeliani attorno alla moschea di al Aqsa. Alla televisione ufficiale palestinese, il dirigente di Fatah Muhammad al Biqa’i ha detto che “Gerusalemme ha bisogno di sangue per purificarsi degli ebrei“. Poi è passato all’elogio degli ultimi attentatori. Intanto, dal carcere, il più popolare leader palestinese, il dirigente di Fatah Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, incita i palestinesi a compiere altri attentati. E’ lo stesso Barghouti che in Europa si vede intitolare strade in suo onore (è appena successo a Valenton in Francia).

Il professore israeliano Elihu Richter ha scritto che le mannaie e le pistole sono l'”hardware del terrore”. Ma l’indottrinamento e l’incitamento all’odio sono il “software dei terroristi”. Non è la prima volta che un capo palestinese invita la popolazione a “difendere” al Aqsa. Accadde anche nell’ottobre del 2000, quando l’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon fece una visita sul Monte del Tempio (concordata con l’Autorità palestinese) e Arafat la usò a pretesto, definendo una “profanazione” la presenza di ebrei in quel sito, per scatenare la violenza contro Israele. Seguirono cinque anni di terrorismo, linciaggi e attentati suicidi, in cui persero la vita 1.200 israeliani.

(Fonte: Il Foglio, 19 Novembre 2014)

Nell’immagine in alto: scene dell’attentato a Gerusalemme di ieri

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  • #1Emanuel Baroz

    La risposta “ebraica” all’attentato in sinagoga

    http://www.progettodreyfus.com/la-risposta-ebraica-allattentato-in-sinagoga/

    19 Nov 2014, 21:51 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    “Gerusalemme esige sangue per purificarsi dagli ebrei”

    Nei giorni precedenti la strage alla sinagoga, incessante campagna di odio e menzogne ad opera di mass-media e dirigenti palestinesi

    http://www.israele.net/gerusalemme-richiede-sangue-per-purificarsi-dagli-ebrei

    19 Nov 2014, 21:52 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Anche l’Occidente è responsabile della carneficina in Israele

    Il folle attacco terroristico contro la sinagoga a Gerusalemme, deriva anche dall’atteggiamento sconclusionato di Ue e Usa. Anche loro hanno sulla coscienza i quattro rabbini uccisi ieri dagli islamici,la cui azione è stata rivendicata da Hamas, ovvero da quell’organizzazione che una parte dell’Occidente legittima. Ma non si può combattere da una parte le decapitazioni dell’Isis, e dall’altra continuare ad accettare gli attacchi terroristici.

    di Fiamma Nirenstein

    Quei due cugini palestinesi con gli occhi annegati nel sangue, che sono entrati nella sinagoga di via Agassi per sparare alla gente che pregava e farla a pezzi con le mani brandendo coltelli da cucina non sono squilibrati, ma il risultato di una campagna cinica e fanatizzante che ha al suo centro la Moschea di AI Aqsa e Gerusalemme; ma al loro gesto ha contribuito, dispiace dirlo, l’atteggiamento sconclusionato e spastico dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Non si può combattere da una parte le decapitazioni dell’Isis, e dall’ altra seguitare a considerare gli attacchi terroristici contro gli ebrei di queste ultime settimane come una conseguenza pressoché logica del comportamento israeliano. Le condanne odierne, stanno a zero.

    La condanna di Abu Mazen strappatagli da una telefonata di John Kerry non parla di «terrorismo»: si è limitata a condannare «l’accaduto» e quanto legato all’odio religioso. Dà da pensare la curiosa parentela concettuale fra la dichiarazione di AlaaAbu Iarnal, familiare dei due assassini nel quartiere gerusalemitano di Iabael Mukabaer (in gran festa per l’attacco compiuto mentre i siti sociali si riempivano di immagini di asce insanguinate e di ebrei terrorizzati col naso curvo e lo zucchetto) e le cose dette in queste giorni dai rappresentanti dei Paesi europei. Ha detto Abu Jamal a nome della sua gente: «L’attacco è avvenuto a causa della pressione delle forze occupanti del governo israeliano sul popolo palestinese e specialmente sulla Moschea di Al Aqsa, L’atto compiuto è normale per chiunque sia connesso al suo popolo, al coraggio, all’islam».

    Se si guarda per esempio alle dichiarazioni dei ministri degli esteri dell’Unione europea riunitisi lunedì, fa impressione come per bloccare la violenza a Gerusalemme, invece di concentrarsi sull’enorme mole di bugie propagate anche da Abu Mazen stesso sull’ atteggiamento israeliano rispetto alla Moschea di Al Aqsa, cioè che Israele voglia cambiare lo status quo della spianata delle Moschee per cacciarne i fedeli musulmani, i ministri abbiano insistito nel condannare Israele per le costruzioni nei territori; non si chiede ai palestinesi che seguitano a compiere giorno dopo giorno mortali attacchi terroristici a Gerusalemme di «trattenersi da atti che peggiorino la situazione, da incitamento, da provocazioni e dall’eccessivo uso della forza» ma a Israele.

    Intanto la fuoriuscita di notizie su un documento dell’Ue di applicare sanzioni a Israele deve avere confortato la linea della colpevolizzazione senza sosta di Israele. Adesso, Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di notizie vecchie e infondate. Ma l’aria che sale dall’Europa verso Israele non placa gli animi, li convince che i gesti aggressivi verranno compresi, forse giustificati, e che alla fine lo Stato Palestinese nascerà non come una forma di compromesso, ma come una forma di compensazione dovuta. Lo confermano i riconoscimenti dello Stato Palestinese da parte del governo svedese, del parlamento inglese, della mozione per il parlamento italiano e della mozione proprio di ieri al parlamento spagnolo. La scelta difensiva rispetto a un mondo fanatizzato e ostile con cui Israele non cede a facili compromessi territoriali dovrebbe ormai essere chiara anche ai ministri dell’Ue che ieri si sono affrettati a condannare. Se possiamo parafrasare il parente dei due assassini, gli attacchi odierni sono in parte frutto dell’atteggiamento compiacente e debole del nostro mondo verso i palestinesi e Abu mazen, compagno di governo di Hamas, come una vacca sacra.

    (Fonte: il Giornale, 19 Novembre 2014)

    19 Nov 2014, 21:53 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    Nella roccaforte araba dell’Est: “Ora sogniamo altri martiri”

    A Jabel Mukaber, il quartiere degli attentatori, sono tutti con loro. Netanyahu: “Questa è la battaglia per la città, vogliono cacciarci”.

    di Maurizio Molinari

    GERUSALEMME – Bandiere palestinesi sui pali elettrici, scritte inneggianti alla Jihad sui muri scrostati, resti di spazzatura data alle fiamme per protesta e una grande tenda con tappeti verde-rossi per celebrare il lutto come una festa collettiva. Siamo al numero 3 di Salman Al Farisi di Jabel Mukaber, ovvero nella casa della famiglia Abu Jamal a cui appartengono Oday e Ghassan, 22 e 32 anni, autori dell’attentato alla sinagoga di Har Nof. Parenti e amici portano tendaggi e sedie per adornare il luogo della celebrazione della morte.

    A ringraziare tutti a nome della famiglia è Aladin Abu Jamal, 32 anni. «Sono il cugino dei due shahid – dice – e a differenza da quanto dicono tutti non credo che siano morti, sono diventati dei martiri, rendendo onore a chi li ama». Kefiah bianconera attorno al collo, maglietta nera e jeans, Aladin parla attorniato da una piccola folla. «Oday e Ghassan amavano questa terra, lo hanno fatto per la moschea di Al Aqsa e per far capire al mondo che questa è casa nostra e gli ebrei ce l’hanno usurpata». Parla a getto, riscuotendo plausi rumorosi e sguardi ammirati dagli «shabab» – i giovani – che poche ore prima hanno fato battaglia proprio a Jabel Mukaber contro i soldati israeliani, arrivati per arrestare altri famigliari degli attentatori. È Mahmud, zio di Oday e Ghassan, che accusa i militari di «aver portato via 14 parenti, inclusa la moglie di Oday». Gli agenti dello «Shin-Beth», il controspionaggio, cercano informazioni su possibili complici dei due «lupi solitari» ma basta guardarsi attorno per rendersi conto che il sostegno per gli attentatori è ovunque.

    Una donna, sui 40 anni, vestita di nero, si avvicina ai reporter alzando le mani al cielo per gridare «Oday e Ghassan sono tutti nostri figli, speriamo che Allah ce ne dia molti come loro». Siamo a cinque minuti di auto dal cuore della Gerusalemme ebraica, gli Abu Jamal come tutti i 14 mila residenti del quartiere arabo di Jabel Mukaber hanno documenti israeliani e fra questa roccaforte nazionalista palestinese e il quartiere ebraico di Talpiot Est non ci sono barriere né posti di blocco. Basti pensare che i pullman turistici sostano a 800 metri da qui per far vedere ai visitatori il panorama mozzafiato della Città Vecchia. Gli oltre 300 mila palestinesi di Gerusalemme Est costituiscono un vulnus per la sicurezza dello Stato Ebraico perché vivono mischiati agli altri 600 mila residenti ebrei.

    Yoav Nissim, tassista di Talpiot Est, conosce Aladin Abu Jamal e ogni sabato porta i figli a giocare sul prato verde, attorno a una sede dell’Onu, che accomuna il quartiere ebraico a Jaber Mukaber. «Questo sabato non ci andrò, perché il clima in città è cambiato», spiega il tassista, riflettendo il timore per le violenze in crescita. D’altra parte proprio da Jaber Mukaber veniva Naif El-Jaabis, che alla guida di un trattore il 4 agosto scorso si è scagliato contro un bus di linea, uccidendo un 29enne.

    Se durante la Prima e Seconda Intifada i palestinesi di Gerusalemme Est hanno mantenuto un profilo più basso negli scontri con gli israeliani, rispetto agli arabi in Cisgiordania e Gaza, ora sono in prima fila. Mahmud lo dice così: «Se volete sapere perché ho due nipoti martiri, chiedetelo a Netanyahu che vuole strapparci la moschea di Al Aqsa». È proprio Benjamin Netanyahu a dire che «questa è la battaglia per Gerusalemme, vogliono cacciarci ma non ce ne andremo». Quando riportano ad Aladin queste frasi, risponde di getto: «Siamo tanti, abbiamo energia e fede in Allah, armi imbattibili per sfidare chi ci occupa». Dunque, la battaglia per Gerusalemme può iniziare. Anche perché a dare sicurezza agli Abu Jamsl c’è la processione di famiglie che gli rendono omaggio, snodandosi lungo le strade del quartiere, fino a pochi metri dal piazzale dove i militari israeliani hanno creato la loro base. Fra i loro mezzi anti-sommossa c’è un aerostato: è considerato più efficiente dei droni.

    (Fonte: La Stampa, 19 Novembre 2014)

    19 Nov 2014, 21:54 Rispondi|Quota
  • #5Emanuel Baroz

    L’esultanza dei palestinesi di Rafah per l’attentato alla sinagoga

    Le immagini riprendono un gruppo di palestinesi di Rafah, nel sud di Gaza, mentre celebrano con asce e pistole e a volto coperto, l’attacco terroristico di martedì alla Sinagoga di Gerusalemme. L’attentato, avvenuto di mattina presto, ha visto due palestiniesi armati di pistole e asce irrompere nella sinagoga sparando all’impazzata e uccidere quattro persone prima di essere feriti a morte dalla polizia. L’evento rischia di riaccendere il conflitto mai sopito tra palestinesi ed ebrei.

    (Fonte: la Repubblica, 18 Novembre 2014)

    19 Nov 2014, 21:55 Rispondi|Quota