Hamas, la svastica e le bandiere palestinesi: tutto torna

 
Emanuel Baroz
9 aprile 2018
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La svastica di Hamas

di Niram Ferretti

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Una bandiera palestinese garrisce al vento al di qua del confine di Israele dalla parte di Gaza, enclave costiera a sud di Israele, dal 2007 sotto dominio del gruppo integralista islamico Hamas, costola palestinese dei Fratelli Musulmani.

La bandiera ha al suo centro una svastica, ed è assai più eloquente di quanto sappiano esserlo molte parole su quello che è accaduto venerdì scorso e questo venerdì, durante la cosiddetta Marcia del Ritorno messa in piedi al di qua della barriera che divide Gaza dallo stato ebraico. C’è infatti una continuità di idee, una sovrapposizione di intenti che lega il simbolo nazista alla lotta jihadista di Hamas per liberare la Palestina tutta dall’”entità sionista”.

Si riannodano i fili che lungo il loro dipanarsi ci riportano al passato, a quando, negli anni ’30, Amin Al Husseini, l’allora Mufti di Gerusalemme, la più alta autorità religiosa islamica in Palestina si offriva come ausiliario di Adolf Hitler in Medioriente per risolvere anche lì, la “questione ebraica”.

Khaibar, Khaibar, o ebrei, l’armata di Maometto ritornerà”, cantavano in coro i pacifici manifestanti della “Marcia per il Ritorno”, evocando l’oasi dell’Hegiaz prevalentemente abitata da ebrei che Maometto conquistò nel 628. Luogo che ha assunto un significato simbolico nella prospettiva islamista di una soggiogazione finale degli ebrei. Bandiera e canto jihadista si saldano vicendevolmente, compongono embrici resistenti, da una parte l’odio per gli ebrei di matrice musulmana figliato dal Corano, dall’altra quello di importazione nazista figliato a sua volta dai Protocolli dei Savi di Sion. Lo Statuto di Hamas del 1988 ne offre un compendio inequivocabile abbinando complottismo, antisemitismo e jihadismo.

“Nella Carta di Hamas”, scrive Matthias Küntzel, “il jihad contro Israele è presentato come il primo passo in una guerra antiebraica di annichilimento”. Questa guerra, condivisa anche da Hezbollah, è la stessa guerra che Adolf Hitler combatteva contro la grande chimera che lo ossessionava, quello del “superpotere” ebraico: “Credeva davvero…alla congiura dell’ebraismo internazionale, era persuaso che le responsabilità obbiettive della guerra fossero ebraiche e finì per concepire l’intera guerra come l’eroica sortita di un popolo assediato contro un diabolico avversario”, scrive Sergio Romano. Come Hitler voleva liberare la Germania e il mondo dagli ebrei “infettivi”, nemici dell’umanità, il jihad di Hamas si prefigge lo stesso scopo in Medio Oriente.

Le ombre fosche di Haj Amin Al Husseini e di Hassan Al Banna, fondatore nel 1929 in Egitto della Casa Madre del jihadismo moderno, i Fratelli Musulmani da cui Hamas discende, si allungano sul corteo di “pacifici” manifestanti radunati davanti alla barriera di metallo. La svastica dipinta sulla bandiera è un talismano culturale, un monito. Si tratta di sottolineare come il compito finale, quello ideale e irrealizzabile, sia la rimozione degli ebrei dal Medioriente, la distruzione di Israele. Era quello che nel 1941, il solerte Mufti promise al Fuhrer quando lo incontrò a Berlino. Se Rommel avesse vinto in Africa, il Mufti si sarebbe offerto come suo ausiliario. Dall’estate del 1942 una speciale unità delle SS era di stanza ad Atene pronta a implementare la Shoah in Palestina. Le camere a gas mobili erano già predisposte.

Venduta all’Occidente, e in modo specifico all’Europa, come una marcia per promuovere diritti denegati di un popolo creato ad hoc nel 1967 dopo la vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni, imperdonabile vittoria per il mondo arabo, la manifestazione di Gaza è in realtà il teatro in cui gli eredi morali del Mufti filonazista rappresentati da Hamas hanno dato sfogo alla loro inesorabile ossessione.

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