Scrivo queste righe distrattamente mentre si avvicina un appuntamento importante. Il 24 Giugno 2010, sotto l’ombra del Colosseo, oscurato per l’occasione, al centro di Roma capitale, il sindaco e le autorità esprimeranno alla famiglia Shalit, il loro sostegno nella vicenda dolorosa del rapimento del loro giovane figlio Gilad, appena 22enne.
Le tristi occasioni come questa, sono lo spartiacque tra quel pugno di amici sinceri su cui può contare il popolo ebraico, e “gli altri”. Perché è ormai consuetudine arrivare a contare tra i nostri amici anche cittadini dotati semplicemente di buon senso, che semplicemente proclamano i fatti così come sono, visto che anche la sola equidistanza tra le parti è diventata una rarità. Elemosinare l’attenzione di media, autorità e organizzazioni per una giusta causa è diventato duro come una tappa di montagna, quando sono gli ebrei a chiederlo. E ricordiamoci che il buon 90% delle volte in cui si associa gli ebrei a qualcosa è perché si è tirati per la giacchetta per interessi di parte. Di ogni parte.
Ma la vicenda Shalit è chiara. Non c’è nulla di complesso da capire. Non c’è bisogno di essere esperti di geopolitica o di conoscere a fondo le ragioni del popolo di Israele o quelle dei movimenti palestinesi. Non siete obbligati a sapere chi è e cosa fa Hamas (anche se a dire il vero sarebbe interessante che lo sapeste), ricordare nomi complessi come quello del presidente iraniano (ma che ogni ebreo tristemente ormai conosce perfettamente) o saper indicare a memoria dove si trova in linea d’aria il muro di Gerusalemme. Non serve neppure guardarsi mezz’ora di video come nel caso della recente nave Marmara, per capire la risposta militare che ne è conseguita.
La vicenda Shalit è chiara, cristallina. C’è un ragazzo di 23 anni che è stato prelevato semisvenuto dopo un attacco ad un convoglio militare. Che è stato trascinato via da un gruppo di guerriglieri armati e che è segregato da 4 anni senza la possibilità di poter comunicare con l’esterno. Senza la possibilità di essere visitato da un organizzazione internazionale (tipo Croce Rossa, per capirci). Senza un processo. E senza un accusa. Tranne una. Quella di essere ebreo. E israeliano. Per i rapitori di Hamas essere ebreoisraeliano giustifica il fatto di essere un detenuto privo di condizioni e diritti (e sottoposto a chissà cos’altro – che D.o lo protegga – tipo di sevizie).
Che c’è da capire, dunque? Sei ebreoisraeliano, quindi non hai nessun diritto. Se Israele rapisse un giovane palestinese che passava “da quelle parti” e senza motivo lo tenesse lontano da madre e padre per 4 anni, io giuro andrei a manifestare. Per reclamare la sua libertà anche se io sono ebreosionista (anzi, forse proprio perché lo sono).
Quello che mi piacerebbe vedere – e so di essere un folle – sono altri arabi, musulmani, cristiani, buddisti, e quant’altro venire sotto al Colosseo. Tutti quanti a dire: quale che sia la mia idea sul governo d’Israele o sul conflitto mediorientale, un giovane 23enne rapito e rinchiuso senza lo straccio di un diritto non è una buona cosa. Vorrei che chiedessero il suo rilascio. E vorrei che manifestassero insieme a noi per la sua liberazione. Questo sarebbe davvero un gesto inatteso che potrebbe aprire scenari nuovi. Se non per la pace, almeno per una pacifica sopportazione lontano dal teatro della guerra.
Non so se verranno. Ma so già di certo chi non verrà. Non verranno organizzazioni come Amnesty International, Emergency, e tante altre come loro. O i pacifisti delle varie flotille che hanno sdegnosamente rifiutato anche l’offerta della famiglia Shalit solo di “consigliare” ai rapitori di lasciar libero il ragazzo, in cambio di sostegno. “Loro” sono per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Salvaguardia con qualche SE e qualche MA. SE si parla di ebreisraeliani, non ci sono diritti che tengano, e non valgono nemmeno le palesi violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo o delle varie convenzioni. Essere ebrei significa essere portatori di un marchio indelebile.
Se gli importasse anche solo rispondere, magari si nasconderebbero dietro al fatto che Gilad in fondo è un militare, e come tale responsabile delle forze di occupazione (quale occupazione poi, visto che Gaza è libera da qualche anno). E tralasceranno di dirvi che non hanno mosso un baffo d’indignazione nemmeno per Daniel Pearl, il giornalista ebreoamericano rapito e scannato come un vitello con un coltello da macellaio in Afghanistan in diretta video, o di Ilan Halimi, un commesso ebreofrancese rapito e torturato fino alla morte per tre settimane alla periferia di Parigi.
Tutti rei di possedere quel marchio d’infamia, non certo quello di essere soldati, giornalisti o commessi, ma quello di essere ebrei-qualcosa. Qualsiasi cosa. Quindi anche ebreisraeliani.
Il 24 Giugno alle 21,30 al Colosseo io ci sarò. E insieme a me ci saranno tutti gli uomini e le donne di buona volontà di qualsiasi preferenza sessuale, colore della pelle, religione e appartenenza politica. Tutti a gridare “Ora basta! Liberate un ragazzo senza colpe. Subito! “. Se saremo tanti la nostra voce sarà più forte. Se saremo pochi, noi ebrei – insieme a quel pugno di pochi amici su cui sempre contiamo – faremo come al solito tutto da soli. Come la nostra storia plurimillenaria ci ha allenato a fare.
di Alex Zarfati per FocusOnIsrael.org
NB: Per completezza si potrebbe dire che il convoglio militare è stato attaccato sul suolo sovrano d’Israele (e non nei territori contesi, per capirci) da un commando terroristico passato attraverso un tunnel, e che i sequestratori di Shalit fanno parte delle Brigate Izzedin al-Qassam, del Comitato di Resistenza del Fronte Popolare e della Jihad Islamica. Sodali dei guerriglieri di Hamas che dittatorialmente malgovernano la Striscia di Gaza infliggendo terrore tra gli stessi palestinesi. Ma questo è già roba per quelli che hanno il tempo di approfondire la cosa. Gli altri è già un miracolo se hanno letto fin qui.
#1anonimo
io ci sarò anche se fortemente critico verso la politica del governo israeliano e verso i settler e l’occupazione, vorrei che anche dall’altra parte diciamo ci fosse la stessa volontà di lottare, come gli attivisti israeliani, contro le palesi ingiustizie perpetrate dai settler ai danni dei palestinesi: è ora di uscire dai reciproci steccati e vittimismi i due popoli lo meritano
#2Emanuel Baroz
per la cronaca: Gaza non è più “occupata” da almeno 4 anni….
#3ioAlberto
Ma questo è un evento che non parla del conflitto mediorientale. E’ un’appuntamento a favore della vita e contro la barbarie. Punto. Andiamo tutti al colosseo, allora!
#4Emanuel Baroz
Gilad. Tutti facciano qualcosa, ogni giorno
di Ugo Volli
Giovedì prossimo, il 24 giugno, saranno quattro anni da quando Gilad Shalit è stato rapito dai terroristi di Hamas. Una prigionia che può sembrare una piccola cosa, in mezzo ai grandi disastri della guerra, alle persone uccise dai terroristi, alle bombe dell’11 settembre o alle esplosioni suicide nei ristoranti e nei centri commerciali di qualche anno fa. Eppure non ci stanchiamo di protestare, continuiamo a indignarci, sappiamo che non dobbiamo stancarci di chiedere la liberazione di Shalit. Lo facciamo ogni volta che possiamo, lo faremo ancora la sera del 24 con la manifestazione convocata dal Bené Berit con la Comunità ebraica e il Comune di Roma per questo anniversario alle 21.30 di fronte al Colosseo. (Segnalo un’altra iniziativa a Torino alle 20.30 in Corso Cairoli, angolo via dei Mille.)
Non si tratta solo della palese violazione della legge internazionale che il rapimento costituisce e neanche della ferita profonda che possiamo immaginare in un giovanissimo che ormai ha passato un quinto della propria vita da solo, prigioniero di nemici feroci, senza una visita o un conforto. Chi ha figli sente cosa devono voler dire quattro anni di prigionia solitaria per un ventenne. La ragione per cui tutti gli ebrei, senza distinzione di parte politica o di identificazione religiosa sentono una solidarietà profonda per Shalit e la sua famiglia è profondamente iscritta nella nostra identità collettiva. Noi siamo un piccolo popolo e ciascuno è un po’ parente di tutti gli altri, non solo astrattamente responsabile, ma concretamente vicino. La bellissima scoperta degli scienziati israeliani secondo cui vi è davvero un DNA comune al popolo ebraico mostra che dicendo di essere tutti fratelli, discendenti dai nostri patriarchi, non usiamo solo un simbolo, ma parliamo di qualcosa di molto concreto, una traccia materiale del nostro spirito, incisa nel nostro corpo come la milà. Quando qualcuno di noi muore, piangiamo tutti. Ma soprattutto quando qualcuno è tenuto prigioniero come Shalit, siamo tutti prigionieri. Giorno dopo giorno, una parte di noi, da qualche parte nel nostro inconscio o nelle nostre viscere, soffre in una cantina di Gaza, incatenata da carcerieri inumani. Non è un sentimento nuovo: lo studio delle carte della Genitzà del Cairo, per esempio, ha mostrato come si impegnasse quella comunità quando ottocento anni fa era diretta dal Rambam e dalla sua famiglia per liberare i prigionieri che anche allora erano rapiti da pirati islamici crudeli e avidi.
In mezzo alle immense difficoltà che vive in questo momento Israele e con esso tutto l’ebraismo, nonostante i tentativi di legittimare il regime sanguinario di Gaza, lottare perché Shalit sia sottratto al gruppo criminale che lo trattiene schiavo, che lo ha ridotto al ruolo di cosa da scambiare, di prezzo di un riscatto, è un impegno comune. Ognuno di noi faccia qualcosa ogni giorno per la liberazione di Gilad Shalit, parte di noi stessi che ci è stata rubata.
(Fonte: Notiziario Ucei, 20 giugno 2010)
#5Alberto Pi
Nonostante il sindaco abbia rifiutato la proposta dalla Comunità Ebraica di spegnere per 15 minuti le luci della Mole Antonelliana e ritardare di 5 minuti i fuochi artificiali previsti per la festa di San Giovanni
APPUNTAMENTO A TORINO IL 24 GIUGNO ALLE ORE 20,30 IN CORSO CAIROLI ANGOLO VIA DEI MILLE.
http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2010/06/21/torino_per_gilad_shalit.html
Leggere e diffondere il più possibile, grazie.
b
#6Jack Luzon
Io ci sarò!
Bravo Alex! Hazak!
Jack
#7Ruben DR
MO: A MILANO CASTELLO SFORZESCO SENZA LUCI PER GILAD SHALIT
(ANSA) – ROMA, 22 GIU – La Comunità Ebraica di Milano e il Comune di Milano spegneranno le luci del Castello Sforzesco giovedì 24 giugno per ricordare il quarto anniversario del rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero del movimento terroristico Hamas. Stessa iniziativa – ad opera della Comunità ebraica romana e del Comune – avverrà a Roma dove saranno spente le luci del Colosseo. “Ringraziamo il Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri e l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory – ha detto Daniele Nahum, Vice Presidente della Comunità Ebraica di Milano – per aver aderito al nostro appello a compiere un gesto di solidarietà nei confronti del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito il 24 giugno di quattro anni fa dal movimento terroristico Hamas. A Gilad Shalit vengono negati i diritti del prigioniero sanciti dalla Convenzione di Ginevra, infatti la sua famiglia non ha informazione sul suo stato di salute, né fisica né mentale”. “Anche la nostra città – ha aggiunto – farà un gesto concreto per dimostrare solidarietà a Gilad Shalit, spegnendo per quindici minuti, dalle ore 21:45 fino alle ore 22:00, le luci del Castello Sforzesco”. E’ prevista anche una fiaccolata davanti al monumento.
MO: GIOVANI EBREI, CITTA’ ITALIANE SENZA LUCI PER SHALIT L’APPELLO DOPO L’INIZIATIVA DI ROMA E MILANO
(ANSA) – ROMA, 22 GIU – “Rivolgiamo un invito a tutte le città d’Italia affinché seguano l’esempio di Roma e Milano spegnendo le luci del loro monumento simbolo il 24 giugno per Shalit”. Lo dicono, in una nota congiunta, Giuseppe Massimo Piperno e Angelo Moscati, rispettivamente presidenti dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia e del Bené Berith Giovani. “Siamo grati ai sindaci Alemanno e Moratti – spiegano – che hanno immediatamente accolto la nostra richiesta di spegnere le luci del Colosseo e del Castello Sforzesco per richiedere la liberazione di Gilad Shalit, ormai da quattro anni nelle mani dei terroristi di Hamas”. “A Roma alle ore 21.30 – ricordano ancora sottolineando l’adesione di Padl, Pd e molte altre associazioni ebraiche e non – è prevista una grande manifestazione sotto l’arco di Costantino che vedrà la presenza del ministro Ronchi, del sindaco Alemanno, del presidente della Provincia Zingaretti, dell’on. Cesa, del presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, del direttore del Foglio Giuliano Ferrara e del padre di Gilad, Noam Shalit”.