“Perchè Israele va difeso”

 
admin
9 dicembre 2007
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“PERCHE’ ISRAELE VA DIFESO”

di JOSÉ MARIA AZNAR

Ci fu un tempo in cui la sinistra, in special modo quella europea, guardava con profonda ammirazione all’esistenza di Israele. Da un lato si trattava di recuperare una giustizia storica nei confronti del nazismo che non si era mai riusciti a ottenere con i propri mezzi; dall’altro, c’era il romanticismo dei kibbutz che in pieno deserto creavano frutteti secondo i principi di un autentico socialismo egualitario.

Ma l’ammirazione ben presto svanì quando Israele fu costretto a difendersi dai propri vicini facendo ricorso alle armi, a volte preventivamente come in occasione della guerra dei sei giorni. La sinistra, inoltre, impegnata a portare dalla sua parte un proletariato che in Europa le voltava le spalle, vide nei palestinesi il protagonista rivoluzionario della sua storia. E via via che Israele veniva considerato un’appendice degli Stati Uniti, l’antiamericanismo viscerale finiva per confondersi con l’avversione per lo stato ebraico. Oggi, di fatto, essere antiamericano e antisemita è praticamente la stessa cosa.

Sono in tanti a rallegrarsi ogni volta che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta una risoluzione di condanna nei confronti dello stato d’Israele, a prescindere dalla motivazione o dalla sua legittimità. Così come sono in tanti a preferire di non dare ascolto alle minacce che, un giorno sì e l’altro pure, lancia contro l’esistenza di Israele l’attuale presidente iraniano Mohamed Ahmadinejad. Costoro, tuttavia, non si rendono conto del gravissimo errore che stanno commettendo. La sinistra non può ammettere che nel mondo di oggi vi siano personaggi politici che parlano apertamente, sinceramente e senza mezzi termini dei propri obiettivi e delle proprie intenzioni.

Eppure, sappiamo fin troppo bene che di individui così ce ne sono stati e ce ne sono tuttora. Uno è stato Hitler, che espresse in maniera inequivocabile il suo piano d’azione nel ben noto Mein Kampf, anche se nessuno al momento gli prestò soverchia attenzione; un altro è Bin Laden, al quale il mondo non credette quando dichiarò unilateralmente guerra all’America e continua ancora a non credere quando dice di volere farla finita col mondo occidentale e instaurare un nuovo Califfato. Personalmente non metto in dubbio le parole di Ahmadinejad, che ritengo più che capace di dare attuazione ai propri piani il giorno in cui riterrà di disporre dei mezzi necessari per realizzarli.

Proprio un anno fa, il leader iraniano apriva a Teheran una conferenza con un’immagine che fece il giro del mondo: una clessidra sulla cui base si era infranta una palla con i colori della bandiera americana, mentre un’altra, con quella d’Israele, stava per andare in pezzi. Non meno famose furono le sue parole: «Occorre cancellare Israele dalla carta geografica». A un anno di distanza – un anno durante il quale, non va dimenticato, si è preso gioco della comunità internazionale riguardo al programma nucleare iraniano – ecco che è celebrato un altro convegno internazionale nella capitale iraniana, questa volta per negare l’esistenza stessa dell’Olocausto, ossia il genocidio hitleriano che ha rischiato di sterminare completamente il popolo ebraico.

Quella sua provocazione di un anno prima restò impunita. Gli europei desideravano che l’Iran si aprisse al dialogo e al negoziato, per cui scelsero di non reagire. Proprio per questo, perché le sue parole non suscitarono se non flebili rimostranze, il presidente iraniano si permette di tornare a minacciare Israele. Non contento di negare l’Olocausto e di contestare in tal modo la legittimità della nascita d’Israele, il dirigente della repubblica islamica ha augurato la fine dello stato ebraico. «I giorni di Israele sono contati», ha esclamato.

In quella circostanza, le sue parole hanno provocato non più di qualche tiepida condanna diplomatica nelle principali cancellerie europee. Nei confronti di Ahmadinejad, però, serve ben altro che mere espressioni di disapprovazione. Da anni si discute su come contrastare un Iran chiaramente intenzionato a dotarsi di armi atomiche, e tuttavia continuiamo a disquisire su quali possano essere le strategie da seguire per raggiungere il consenso all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Bene: se la comunità internazionale non riesce a mettersi d’accordo sul programma nucleare, si continui pure a parlare, ma questo non significa che le provocazioni di Ahmadinejad debbano passare senza conseguenze.

Il mio buon amico Bibi Netanyahu ha lanciato un’iniziativa che merita di essere presa in considerazione: accusare il presidente iraniano di incitamento al genocidio. Non è uno scherzo. E’ imprescindibile che i leader e gli ayatollah iraniani sappiano che si devono rispettare certe regole e che, in caso contrario, se ne debbano subire le conseguenze. Possiamo discutere sul tipo di sanzioni economiche da imporre a un Iran avviato sulla strada del nucleare, ma le sanzioni che hanno sempre effetto sono quelle messe in atto nei confronti dei leader politici. La proposta di perseguire Ahmadinejad a livello internazionale ha il merito di cominciare ad applicare questo tipo di sanzioni limitate, ma molto efficaci.

Invocando la dissoluzione di uno stato sovrano senza aver ricevuto alcuna provocazione da parte di Israele, se non la sua stessa esistenza, Mohamed Ahmadinejad sta commettendo un errore gravissimo secondo il diritto internazionale. Egli non solo si richiama a principi contrari a quelli stabiliti dalla Carta delle Nazioni Unite, ma si rende anche colpevole di una palese violazione della Convenzione contro il genocidio. Si potrebbe poi aggiungere che le sue affermazioni contrastano con le disposizioni dello statuto del Tribunale Penale Internazionale. Di fatto, se Ahmadinejad invece di essere il presidente dell’Iran fosse un leader serbo, sarebbe già stato messo in stato d’accusa dalla Corte dell’Aia.

Dobbiamo renderci conto che invocare la distruzione d’Israele non deve restare impunito. Se le parole di oggi non avranno una risposta forte, da sole intenzioni si trasformeranno in dura realtà. Cosa potranno pensare del nostro silenzio i nemici d’Israele? Una sola cosa, cioè che Israele è oggi più solo che mai e di conseguenza più debole. Ad ogni nostro segno di debolezza, gli avversari diventano più forti. Ma si sbagliano, e di molto, coloro che credono che tutto finirà per risolversi entro i confini del Medio Oriente. Oggi Israele è sottoposto a troppe minacce. I palestinesi e i terroristi suicidi; l’islamismo di Hezbollah a nord; Al Qaeda a sud, e sempre più presente in Giordania; senza contare il fondamentalismo iraniano. E un elemento li accomuna tutti: l’antioccidentalismo. Ahmadinejad non pensa al destino del popolo palestinese quando proferisce le sue minacce, ma pensa all’Islam e all’America, il Grande Satana. Pensa a Israele come al nemico occidentale alle sue porte.

Per questo è così importante difendere Israele. Perché, pur trovandosi in Medio Oriente, è una nazione pienamente occidentale e la sua sparizione significherebbe la perdita della nostra posizione in quest’area del mondo e, con tutta probabilità, l’inizio di un attacco contro di noi. Abbandonare Israele alla propria sorte equivarrebbe a chiudere gli occhi davanti ai vincoli morali, politici, economici, culturali, storici e strategici che ci uniscono. Oggi più che mai.

(Fonte: Il Messaggero, 23 Gennaio 2007)

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