Libano: siriani o qaedisti dietro l’attentato

 
admin
12 dicembre 2007
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LE IPOTESI

Siriani o qaedisti dietro l’attentato

In Libano è sempre difficile indicare con certezza i «colpevoli» di una strage: troppi intrighi e troppe manovre

WASHINGTON – In Libano è sempre difficile indicare con certezza i «colpevoli» di una strage. Troppi intrighi, troppe manovre per far cadere la colpa sullo schieramento avversario e, soprattutto, troppo attori decisi ad avere un ruolo. Sulla scena e dietro le quinte. Dunque, con la prudenza del caso, possiamo solo fare ipotesi sulla base degli indizi.

I SIRIANI – I siriani: sono i «soliti» colpevoli. Dall’omicidio dell’ex premier Hariri, gli 007 di Damasco sono accusati di tramare per destabilizzare il paese. Una lunga serie di delitti eccellenti – nove, con quello del generale Al Hajj – hanno tolto di mezzo personaggi dichiaratamente ostili all’influenza di Damasco sul Libano. Un’influenza che in passato era una vera e propria occupazione. I servizi di intelligence siriani hanno i mezzi per agire: dispongono di un formidabile network, rinforzato dopo il ritiro delle truppe di Damasco dal Libano; hanno rapporti tattici con le principali formazioni estremiste. Non è un problema per loro trovare un attentatore locale in modo da non essere coinvolti direttamente. Damasco ha sempre respinto ogni accusa ed ha invece invitato a indagare sul possibile coinvolgimento di Israele.

I QAEDISTI – Il generale Al Najj aveva guidato le operazioni contro il misterioso gruppo Fatah Al Islam, un movimento composto da militanti qaedisti stranieri ma che è stato a lungo sospettato di fare il gioco della Siria. E’ possibile che gli islamisti, presenti in diversi campi profughi e nell’area di Tripoli, possano aver cercato una vendetta. Nei mesi scorsi sono stati sventati numerosi complotti attribuiti dalle autorità alla nebulosa qaedista. Una realtà che si sta rapidamente espandendo, con l’afflusso di volontari dall’Iraq e da altri paesi. I radicali – Fonti cristiane hanno rivelato l’intenso dinamismo di formazioni radicali palestinesi, vicine alla Siria. Il gruppo di Jibril, insieme a movimenti armati minori, si sarebbe trasformato in una cinghia di trasmissione per alimentare spinte oltranziste. Chi appartiene a questa area ha due «requisiti»: una buona esperienza nell’organizzare attentati e la disponibilità a giocare per conto di altri.

Guido Olimpio
12 dicembre 2007

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