L’insostenibile leggerezza del razzismo arabo

 
admin
17 dicembre 2007
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L’insostenibile leggerezza del razzismo arabo

Da un articolo di Jackie Levy

Nonostante tutte le dichiarzioni cerimoniali, la mia attenzione ad Annapolis è stata catturata da una piccola vicenda relativa agli organizzatori incaricati di pianificare i posti a sedere. Giacché si trattava di colloqui di pace, e giacché tutti noi vogliamo la pace, gli organizzatori vennero avvertiti della necessità di garantire che nessun rappresentante saudita o siriano avesse ad incontrare per sbaglio qualche nocivo essere sionista.

Si trattava in effetti di un ambiente molto grande, e tuttavia la gente talvolta deve andare al bagno o lavarsi le mani. Per farla breve, c’era il rischio che dovessero attraversare un corridorio piuttosto stretto dove, non si può mai dire, avrebbero potuto incontrare – e qui bisogna mettere tutto il disprezzo nella voce – uno di quei “sionisti”.

Le ragioni per cui la Siria ha partecipato alla conferenza sono piuttosto chiare. Venne per guadagnare punti e districarsi il più posibile dall’asse dei paesi canaglia. In breve, venne per questioni siriane: tutto il resto non li interessava minimamente e dunque per loro non fu facile già presentarsi. Ma imbattersi in un israeliano? In un ebreo? Magari faccia a faccia, senza una Condoleezza o una marea di funzionari nel mezzo? Soli? Doversi magari guardare negli occhi o addirittura borbottare qualche parola. Questo sarebbe stato davvero troppo.

Dopotutto gli arabi sono gente d’onore e gli israeliani, oltre a tutti gli altri difetti, hanno anche questo sgradevole vizio di voler sfruttare sempre queste occasioni accidentali per mostrarsi immediatamente amichevoli, dire qualche spiritosaggine e poi andarlo a raccontare a tutti. Anni dopo Annapolis qualche ex ministro o consigliere israeliano potrebbe raccontare nelle sue memorie di quella volta che buttò là quella battuta al rappresentante siriano su quanto fosse cattivo il caffè americano e di come, ebbene sì, gli parve di vedere un accenno di sorriso sul viso del siriano: per un attimo in quel momento, scriverà l’israeliano, fummo capaci di superare il furibondo conflitto ed essere solo due uomini, Khaled ed io, desiderosi di un buon caffè…

Insomma, la morale della favola è che è stato complicatissimo sistemare le sedie nella sala della conferenza di Annapolis. Si è dovuto fare ricorso a sofisticati algoritmi e a manovre finora conosciute solo in astronomia per garantire che in nessuna circostanza potesse accadere che le orbite di un arabo e di un israeliano si incrociassero o che dovessero condividere una qualche fuggevole foma di prossimità che avrebbe seriamente ferito I sentimenti della nazione araba.

Per dirla in parole povere, I nostri nemici, fra le altre cose, sono un tantino razzisti. A differenza di certi stereotipi, è saltato fuori che l’arroganza non è una prerogativa israeliana. Ed è stupefacente come il mondo arabo sia riuscito a convincere l’occidente che il disprezzo razzista sia, nel caso loro, semplicemente una legittima forma di sensibilità religiosa che merita il dovuto rispetto.

E bisognerebbe anche considerare per un momento il fatto che ormai noi consideriamo queste cose alla stregua di sciocche facezie, e ci si ride su come si ride sul rifiuto degli atleti arabi di gareggiare con atleti israeliani, o dei cantanti arabi di competere con quelli israeliani.

Nessun israeliano, salvo pochi pazzi, prova alcun imbarazzo ad incontrare un arabo, stringergli la mano, mostrargli simpatia. Ma il fatto è che, sul loro versante, la cosa è terribilmente seria. È impossibile immaginare che a qualcuno nei mass-media arabi venga in mente di scherzare sui posti a sedere della conferenza di Annapolis. (…)

E infatti non si tratta di questioni minori. In realtà, quand’anche venissero tolti tutti I posti di blocco, non vi sarà pace quaggiù finché gli arabi musulmani non considereranno gli ebrei come esseri umani.

(Da: YnetNews, 3.12.07)

La Livni ai colleghi arabi: “Perché ci trattate come paria?”

Sogni e incubi

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