Gaza: così Hamas utilizza il denaro del proprio popolo

 
Emanuel Baroz
22 dicembre 2009
4 commenti

Gaza Palloncini, pullman, marce per celebrare i «22 anni di resistenza». Onu e ong: con quei soldi nella Striscia vivono 100 mila persone per un mese

La festa di Hamas lascia un conto da 1,4 milioni

La fuga del ministro Un ministro è fuggito negli Emirati arabi con 200 mila dollari. Poi ha fatto perdere le proprie tracce Tunnel e scandali L’ indotto dell’ economia deriva dai tunnel, gestiti da Hamas. Scandali e scandaletti si moltiplicano, ma il consenso per gli islamici è al 60%

di Francesco Battistini

focus on israel hamasGERUSALEMME – Mettete dei fiori nei vostri cannoni: dieci centesimi a stelo. Fate un cielo verde di palloncini: non ha prezzo. Niente alcol, ma bevete quel che vi va: tanto paga Hamas. Il Gaza party è stato senza risparmio. Cinque giorni di feste in piazza, marcette militari, folla precettata e plaudente, truci slogan. Passerà alla piccola storia della Striscia, il ventiduesimo anniversario della fondazione del movimento islamico, celebrato la prima decade di dicembre. E non perché il capo storico, Khaled Meshaal, avesse annunciato fiero dalla Siria: «Ci sarà una dichiarazione importante» (e tutti a chiedere: la liberazione del soldato Gilad Shalit? L’ accordo coi rivali del Fatah? «No – aveva alla fine spiegato un suo fido -, vogliamo soltanto dichiarare che la lotta continua»). La storia è tutta in un piedilista che una manina ha passato giovedì alla stampa israeliana: i conti delle celebrazioni dell’ anniversario. Un milione e 400 mila euro. Per pagare pullman, striscioni, coreografie, costumi, bandiere. «Una cifra – s’ indigna il capomissione di un’ ong – che da sola basterebbe a mantenere centomila persone di Gaza per un mese».

«Una spesa folle – s’arrabbia un funzionario dell’ Unrwa, l’ organizzazione Onu per i profughi -: molta gente qui non ha una casa, né il cibo. Dipende in tutto dal soccorso internazionale». Il costo della festa l’ ha sostenuto la Banca Islamica, che è stata aperta qualche mese fa e pratica la finanza religiosamente corretta. Soldi che arrivano dall’economia dei tunnel, in gran parte controllati da Hamas. In piazza, dicono fonti diplomatiche, c’erano soprattutto rifugiati dei campi. In gran maggioranza obbligati a partecipare, pena il ritiro del coupon che dà diritto alla distribuzione degli aiuti umanitari: «C’ è da sperare che una parte del denaro sia servito, almeno, a pagare la claque». Sarebbe il minimo. Perché il malcontento cresce, nella Striscia, e pure i racconti su un certo andazzo. Tutti per esempio conoscono Ziad Harara, il ministro dei Trasporti, un fedelissimo del gran capo Ismail Hanyieh. Un mese fa, Ziad è uscito per il tunnel dei Vip ed è partito per gli Emirati arabi, in missione politica. Il problema è che ancora non è tornato: e qualcuno s’ è accorto che, con lui, sono spariti dalle casse pubbliche pure duecentomila dollari. Potessero acciuffarlo, finirebbe in prigione. Com’ è accaduto al suo collega di governo che, in primavera, quasi veniva linciato per strada: piccolo Madoff, aveva inventato un sistema piramidale di facile guadagno, raccogliendo dollari e promettendo formidabili «futures» sulle merci che passano per i tunnel. Piccolo particolare: non aveva calcolato fra gl’ imprevisti le bombe israeliane che a lungo hanno fatto collassare il sistema (e adesso pure il muro, che l’ Egitto vuole costruire per bloccare il contrabbando sotterraneo). Scandali e scandaletti non intaccano il consenso di Hamas. La sua migliore assicurazione resta il blocco israeliano, col regime di ferro instaurato.

Secondo il Centro palestinese per la politica, che ha fatto un sondaggio sul gradimento dei leader, il movimento islamico nella Striscia ha ancora il 60 per cento dell’ appoggio popolare. Ma nei Territori, dov’ era considerato in ascesa, ora non supererebbe il 38. Un problema lontano, visto che le elezioni di gennaio non si faranno e che comunque, a Gaza, senza Hamas non si muove foglia. E nemmeno macchina: l’ ultima denuncia di malcostume riguarda le patenti di guida, costo medio 7-800 dollari, che nell’ Hamastan ormai si possono avere per un centone. E senza fare l’ esame. Basta pagare l’ uomo giusto.

(Fonte: Corriere della Sera, 21 Dicembre 2009, pag. 15)

Articoli Correlati
Così Hamas utilizza gli aiuti umanitari provenienti da Israele

Così Hamas utilizza gli aiuti umanitari provenienti da Israele

Dove è finito tutto il cemento? Un mese fa il governo israeliano ha autorizzato l’incremento di camion (da 100 a 350) che ogni giorno trasportano nella Striscia di Gaza cemento, […]

Il denaro a Gaza arriva. Ma finisce sempre nelle stesse tasche…

Il denaro a Gaza arriva. Ma finisce sempre nelle stesse tasche…

Le tasche di Hamas GAZA – Si conosce già quasi tutto dei beni e del denaro in entrata a Gaza. Un flusso ininterrotto che scorre attraverso più di 800 tunnel […]

Allerta Sinai, Hamas chiude i tunnel di Gaza su pressione del Cairo

Allerta Sinai, Hamas chiude i tunnel di Gaza su pressione del Cairo

Allerta Sinai, Hamas chiude i tunnel di Gaza su pressione del Cairo Gaza, 14 Aprile 2010 – Il governo di fatto di Hamas, al potere nella striscia di Gaza, ha […]

Gaza: ecco come Hamas utilizza il denaro ricevuto

Gaza: ecco come Hamas utilizza il denaro ricevuto

Gaza – Folla di fans per il primo film di Hamas “Emad Akel” racconta la storia di un comandante del gruppo Gaza, 18 Luglio 2009 – Folla di fans e […]

Striscia di Gaza: Hamas continua a riempire il proprio arsenale

Striscia di Gaza: Hamas continua a riempire il proprio arsenale

Striscia di Gaza: Hamas continua a riempire il proprio arsenale Gaza, 18/02/2009 – Hamas si è impadronita di 7 tonnellate di armi e munizioni, residuati della controffensiva israeliana del gennaio […]

Lista Commenti
Aggiungi il tuo commento

Fai Login oppure Iscriviti: è gratis e bastano pochi secondi.

Nome*
E-mail**
Sito Web
* richiesto
** richiesta, ma non sarà pubblicata
Commento

  • #1Emanuel Baroz

    Giustizia per gli ebrei profughi dai paesi arabi (Finalmente!)

    Testata: Il Foglio
    Data: 19 dicembre 2009
    Pagina: 3
    Autore: La redazione del Foglio
    Titolo: «Israele solleva il caso dei suoi profughi al tavolo del negoziato»

    Con il titolo ” Israele solleva il caso dei suoi profughi al tavolo del negoziato”, sul FOGLIO di oggi, 19/12/2009, a pag.3, una importante analisi di un problema che finora è rimasto fra le pieghe della storia. E che Israele avrebbe fatto bene a sollevarer sin dall’inizio. Il fatto che il milione di profughi ebrei dai paesi arabi sia stato affrontato e risolto senza tante lamentele non è sufficiente per non valutarlo nella sua importanza storica, soprattutto quando i profughi palestinesi, peraltro mai cacciati da Israele, vengono sempre branditi come una clava contro lo Stato ebraico.
    Ecco l’articolo:

    Gerusalemme. Sinagoghe in fiamme, vetrine di negozi in frantumi, folle che si danno al linciaggio al grido di “morte agli ebrei”, profughi che fuggono con poco più che i vestiti che indossano. Il copione è quello dei pogrom della Russia zarista o della Notte dei cristalli nella Germania di Hitler, ma lo scenario è più vicino nel tempo. Si è ripetuto dal Nordafrica al Medio Oriente, dal Marocco all’Iran, e ha portato negli ultimi sessant’anni all’esodo di quasi un milione di ebrei dal mondo arabo, una pulizia etnica che ha cancellato comunità millenarie e che prosegue silenziosamente fino a oggi. In questi giorni in Israele, meta della maggior parte di quei profughi, il Parlamento sta esaminando una legge che rivendica diritti e risarcimenti per le vittime di questa tragedia che va ad intrecciarsi con la delicata questione dei rifugiati palestinesi, il problema forse più spinoso del conflitto mediorientale. La legge, che a novembre è stata approvata a larga maggioranza in prima lettura, imporrebbe al governo di sollevare la questione dei profughi ebrei in qualsiasi negoziato riguardante futuri accordi di pace. Inizialmente la norma poneva il riconoscimento dei diritti degli esuli come condizione per la firma di un accordo di pace, ma il suo promotore, Nissim Zeev, ha dovuto emendare il testo, che avrebbe legato le mani al governo e reso ancora più accidentate le trattative. Zeev non nasconde i risvolti politici della proposta, tesa a bilanciare le rivendicazioni dei profughi palestinesi, che reclamano il cosiddetto “diretto al ritorno” alle case abbandonate nel 1948, durante il conflitto che ha segnato la nascita dello stato d’Israele.

    “I negoziati non possono essere a senso unico”, dice Zeev al Foglio. “I palestinesi chiedono miliardi di dollari ad Israele, ma anche noi abbiamo perso tutto”. Il deputato è membro del partito ortodosso Shas, il cui elettorato è composto principalmente da ebrei fuggiti dai paesi arabi, oggi circa il 40 per cento della popolazione israeliana. La sua famiglia fuggì da Baghdad in quella che allora era la Palestina sotto mandato britannico dopo i tumulti antisemiti che accompagnarono il colpo di stato filonazista del 1941 in Iraq. Sebbene avessero attraversato tutto il Novecento, gli attacchi contro gli ebrei del mondo arabo raggiunsero il culmine tra il 1948 e la Guerra dei sei giorni del 1967. Quei decenni videro sparire o ridursi a poche decine di membri comunità che spesso precedevano di secoli la nascita di Maometto Il grado e le modalità delle persecuzioni variavano, e potevano includere sommosse popolari e attacchi terroristici, arresti per accuse di spionaggio seguiti da processi farsa e pubbliche esecuzioni, nonché leggi che toglievano la cittadinanza agli ebrei e ne limitavano i diritti. Laddove i governi arginarono i furori popolari e le discriminazioni oggi vivono ancora alcune migliaia di ebrei – un esempio è il Marocco, che pure ha visto una forte emigrazione. Ma da Egitto, Siria, Iraq e altri paesi sono del tutto spariti, fuggendo a decine di migliaia, in clandestinità attraverso il deserto o con ponti aerei verso Israele, l’Europa e gli Stati Uniti. A ottobre il dipartimento di stato americano ha rivelato di aver fatto uscire segretamente dallo Yemen una sessantina di ebrei, su circa 300 rimasti, minacciati da ribelli sciiti nel nord del paese. Il salvataggio ha replicato su scala ridotta l’operazione “Tappeto volante”, che portò quasi 50 mila persone dallo Yemen in Israele tra il 1949 e il 1950. Nel 1967 fu l’Italia ad accogliere gli ultimi 6.000 ebrei della Libia. Liliana Fadlun ricorda la fine della comunità di Tripoli, in balia di una piazza prima galvanizzata dalle vittorie arabe proclamate dalla propaganda allo scoppio della Guerra dei sei giorni e poi inferocita alla notizia della sconfitta.

    “C’era questo mare di gente in strada. Gridavano, bruciavano tutto, negozi, sinagoghe. Per anni ho sognato queste folle di arabi che urlavano”, dice Fadlun, che oggi vive a Roma. Suo marito, Rahmin Buhnik, spiega che la legge libica impediva agli ebrei di lasciare il paese. “Se c’era un ebreo per strada lo massacravano”, ricorda Buhnik. “Abbiamo passato un mese chiusi in casa, quasi senza cibo”. Le pressioni diplomatiche convinsero infine re Idris a concedere agli ebrei di abbandonare “temporaneamente” la Libia, permettendo loro di portare con sé una valigia e 20 sterline a testa. Della florida attività di costruzioni e importazioni dei Buhnik non rimase nulla. “Si sente solo parlare dei palestinesi. E’ giusto che si metta anche la nostra storia sul tavolo del negoziato,” dice Fadlun a proposito della proposta di legge israeliana. Nei paesi arabi, l’esodo degli ebrei è considerato generalmente il frutto di pressioni da parte di agenti sionisti. Ma anche nello stato ebraico, e fra gli esuli stessi, se ne parla poco, in parte per pudore nei confronti delle vittime della tragedia ancor più atroce dell’Olocausto. “Non puntiamo ai risarcimenti” Il Congresso degli Stati Uniti ha anticipato Israele, approvando nel 2008 una risoluzione che appoggia i diritti dei profughi ebrei. LOrganizzazione mondiale degli ebrei dai paesi arabi, con sede a New York, stima che i beni confiscati valgano miliardi di dollari e che le proprietà terriere ammontino a 100 mila chilometri quadrati, quasi cinque volte la superficie d’Israele. Secondo Heskel Haddad, presidente dell’associazione, ci sono poche speranze di ottenere un risarcimento e il vero scopo di tali iniziative legislative è convincere i paesi arabi a dare la cittadinanza ai profughi palestinesi che sono nati o vivono da decenni sul loro territorio. “I profughi palestinesi non vogliono veramente tornare nelle loro case, vogliono solo avere uno status riconosciuto”, sostiene Haddad. “Se i paesi arabi accettassero di dare loro la cittadinanza sarebbe un passo fondamentale per la pace

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=32524

    24 Dic 2009, 00:52 Rispondi|Quota
  • #2ross

    24 Dic 2009, 12:52 Rispondi|Quota