Gaza: condanna a morte di tre membri di al-Fatah
Portavoce, si rischia di innescare una catena di ritorsioni
GAZA, 12 dic – Sale la tensione fra le correnti politiche palestinesi dopo la decisione di Hamas a Gaza di condannare a morte 3 membri locali di al-Fatah.
Una corte li ha trovati responsabili della uccisione dell’Imam Mohammed Rafati, durante gli scontri armati del giugno 2007, in seguito ai quali Hamas espugno’ il potere nella Striscia ed espulse le forze fedeli al presidente Abu Mazen.
Un portavoce di Al Fatah ha detto che le condanne sono inaccettabili e rischiano di innescare una catena di ritorsioni.
(Fonte: ANSA, 12 dicembre 2010)
Nella foto: Mahmoud Abbas (Abu Mazen), Presidente dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) e alle sue spalle Khaled Meshaal (leader di Hamas che vive a Damsco, protetto dalla Siria)
#1barbara
Tanto poi tutti i palestinesi morti vengono comunque messi in conto a Israele.
#2סרג’ו הדר טזה
Tre terroristi in meno.
Non importa chi li fa fuori.
#3Alberto Pi
Le condanne a morte di Hamas, nel silenzio dei finti pacifisti
di Francesco Battistini
Altri quattro. Appesi a un filo, in attesa d’essere appesi a un cappio. Un tribunale militare di Hamas, nei giorni scorsi, ha condannato a Morte un gruppetto di «collaborazionisti al servizio dei sionisti» . Non si sa esattamente che cos’abbia combinato il quartetto. Si sa che ci vuol poco a passare da spia, da quelle parti. E che «Hamas usa spesso giudici privi delle necessarie qualifiche» (rapporto 2010 di Amnesty International). «Progettavano rapimenti e uccisioni» , dice la sentenza. Forte del fatto che le condanne sono state pronunciate in absentia dei difensori e, soprattutto, nell’assenza d’una reazione internazionale. Con la pena di morte, va così. Ci s’indigna a seconda di chi la commina. La piccola Gaza, prigione a cielo aperto, produce una percentuale di sentenze capitali da far invidia alla Cina e agli Usa. Con la differenza che tutti se ne infischiano. Molte Ong che sono sempre pronte a firmare (sacrosanti) appelli ai governatori americani, a Pechino o ad Ahmadinejad, e che sostengono finanziariamente usa spesso giudici privi delle necessarie qualifiche» (rapporto 2010 di Amnesty International). «Progettavano rapimenti e uccisioni» , dice la sentenza. Forte del fatto che le condanne sono state pronunciate in absentia dei difensori e, soprattutto, nell’assenza d’una reazione internazionale. Con la pena di morte, va così. Ci s’indigna a seconda di chi la commina. La piccola Gaza, prigione a cielo aperto, produce una percentuale di sentenze capitali da far invidia alla Cina e agli Usa. Con la differenza che tutti se ne infischiano. Molte Ong che sono sempre pronte a firmare (sacrosanti) appelli ai governatori americani, a Pechino o ad Ahmadinejad, e che sostengono finanziariamente e politicamente Hamas, chissà perché diventano afone se si tratta di salvare i «servi d’Israele» . C’è una ventina di condannati, in attesa nel nuovo braccio della morte. Nessuno sa dire con precisione se e quanti finiranno davanti al boia: l’anno scorso li abbiamo visitati e almeno uno di quei detenuti, ha fatto sapere radiocarcere, là dentro non c’è più. Hamas — che in venti mesi ha ammazzato sommariamente una trentina di «spie» — finora non ha mai dato notizia di esecuzioni. Dice Amnesty che le condanne, al momento, restano sulla carta. «Noi siamo pronti in ogni momento» , dice il direttore del penitenziario: «Fucilazione per gli ex militari, impiccagione per gli altri, e una ghigliottina da restaurare nello scantinato» . Se nessuno deve toccare Caino, specie in queste terre bibliche, prima o poi a qualcuno toccherà dire qualcosa su questi Caini dimenticati dal mondo.
(Fonte: Corriere della Sera, 14 dicembre 2010)