Massima guida religiosa palestinese: “Uccidere gli ebrei è un dovere”

 
Emanuel Baroz
22 gennaio 2012
5 commenti

Mufti Muhammed: “Uccidere gli ebrei è un dovere”

Gerusalemme – Introdotto dalle parole di un cosidetto “moderatore” che ha affermato di fronte ad un pubblico in festa come sia un “dovere” dei palestinesi “combattere gli ebrei ed uccidere quei discendenti delle scimmie e dei maiali”, il Mufti Muhammad Hussein la massima guida religiosa dei palestinesi, ha nuovamente ribadito durante una manifestazione organizzata da Fatah il proprio odio antiebraico dichiarando quanto segue: “La resurrezione dei morti non avverrà fintanto che non sarà stata realizzata la prima fase di un vasto processo, ossia che i musulmani non abbiano ucciso quanti più ebrei possibile”. Il tutto è andato in onda il 9 Gennaio scorso sulla Tv dell’ANP.

Immediate le reazioni di alcuni politici israeliani: il ministro dell’energia Uzi Landau (del partito Israel Beitenu) ne ha chiesto l’incriminazione. “Occorre che la polizia conduca indagini e, se necessario, che ordini la sua incriminazione” ha detto alla radio militare.

Secondo Israel ha-Yom, il quotidiano gratuito che ultimamente sta vendendo sempre più copie,  il Mufti Muhammed Hussein “si è messo sullo stesso piano del suo predecessore Haj Amin al-Husseini, che durante il Mandato britannico in Palestina (1922-48,ndr) cooperò con i nazisti“. Il giornale ha appreso che il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha dato istruzione agli ambasciatori del suo Paese che diano ampio rilievo alle parole del religioso palestinese.

(Fonte: Palestinian Media Watch, 15 Gennaio 2012 e Tiscali news, 22 Gennaio 2012)

Nella foto in alto: un estratto del video pubblicato da PMW e disponibile anche su Youtube (nonostante fosse stato rimosso a causa delle segnalazioni effettuate da chi evidentemente non ha a cuore la verità)

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  • #1Emanuel Baroz

    The following is an excerpt from the Fatah ceremony broadcast on PA TV:

    Moderator at Fatah ceremony:
    “Our war with the descendants of the apes and pigs (i.e., Jews)
    is a war of religion and faith.
    Long Live Fatah! [I invite you,] our honorable Sheikh.”

    PA Mufti Muhammad Hussein comes to the podium and says:
    “47 years ago the [Fatah] revolution started. Which revolution? The modern revolution of the Palestinian people’s history. In fact, Palestine in its entirety is a revolution, since [Caliph] Umar came [to conquer Jerusalem, 637 CE], and continuing today, and until the End of Days. The reliable Hadith (tradition attributed to Muhammad), [found] in the two reliable collections, Bukhari and Muslim, says:
    “The Hour [of Resurrection] will not come until you fight the Jews.
    The Jew will hide behind stones or trees.
    Then the stones or trees will call:
    ‘Oh Muslim, servant of Allah, there is a Jew behind me, come and kill him.’
    Except the Gharqad tree [which will keep silent].”
    Therefore it is no wonder that you see Gharqad [trees]
    surrounding the [Israeli] settlements and colonies..”
    [PA TV (Fatah), Jan. 9, 2012]

    22 Gen 2012, 17:27 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Restituzione e pulizia etnica

    Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

    Cari amici,
    durante una discussione con un lettore di IC, non proprio d’accordo con la nostra linea, è emerso un argomento importante, che mi accorgo di non aver mai trattato a sufficienza. Cerco di esporvelo qui, perché mi sembra che non solo io non ne parli abbastanza, ma sia proprio rimosso.

    Il fatto è questo. Durante le trattative, e la propaganda infinitamente ripetuta che praticano secondo la ricetta di Goebbels (“mentite, mentite, alla fine vi crederanno tutti”), i “moderati” dell’Autorità Palestinese ripetono che precondizione delle trattative (che hanno appena abbandonato di nuovo “definitivamente”, lo sapevate? http://www.haaretz.com/print-edition/news/palestinians-peace-negotiations-with-israel-have-ended-1.409229) la “restituzione” dei “territori occupati” da Israele nei “confini” del “67”.

    Ora, sappiamo tutti che non si tratta di “confini”, ma di linee armistiziali, come gli stessi stati arabi vollero precisare esplicitamente negli accordi armistiziali del ’49, evidentemente con l’idea di cercare presto la rivincita per cancellarli. E sappiamo anche che non sono del ’67, ma del ’49, non la premessa di una guerra di conquista di Israele, che non c’è mai stata, ma la conclusione di una durissima e sanguinosissima autodifesa contro la “guerra di sterminio e di massacro” (così definita dal segretario della Lega Araba d’allora, ‘Abd al-Rahmān ‘Azzām Pascià: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Israele).

    Ma vale la pena di concentrarsi sull’altro elemento propagandistico: “restituzione”. Si restituisce una cosa a qualcuno che l’aveva. Ma fra il ’49 e il ’67 chi aveva quei territori era uno stato che si chiamava Transgiordania, ritagliato abusivamente dagli inglesi nel ’22 dal mandato che era stato loro affidato dalla conferenza di San Remo allo scopo di realizzarvi “la patria nazionale ebraica” (Jewish National Home). La Transgiordania si annesse la “Cisgiordania” e si fece chiamare da allora Giordania. Ma anche se la maggioranza dei suoi cittadini è più o meno parente o ha origini analoghe a quelli degli arabi che vivono dall’altra parte del Giordano, ha sempre rifiutato, ora come cinquant’anni fa, di dichiararsi “stato palestinese”. Sono “hashemiti”, dicono, legati a origini arabe (il che è vero per la dinastia regnante) e alla cultura beduina. Hanno anche rinunciato a ogni pretesa sulla “Cisgiordania” e stanno cercando di togliere la cittadinanza ai “palestinesi”, stanziati lì da sempre.

    E allora perché “restituzione”? Perché sono arabi anche loro, com’erano arabi anche gli egiziani che occuparono Gaza nello stesso periodo, senza però annetterla. Si tratta dunque di “restituire” agli arabi una terra che come arabi non avevano più governato dal tempo delle Crociate (quando era passata di mano dal califfato di Baghdad, arabo benché lontano) ai Mammelucchi e poi agli ottomani, entrambe dinastie turche). La richiesta della “restituzione” getta dunque molte ombre sull’autonomia nazionale “palestinese”. Quel che conta è un governo arabo o anche solo islamico – tant’è vero che i “palestinesi” non hanno mai fatto “resistenza” contro giordani ed egiziani, certamente occupanti e con minor titolo degli israeliani, visto che col mandato internazionale di Palestina non avevano a che spartire.

    Ma c’è di più, qualcos’altro che la dirigenza “palestinese” rimpiange e cui vuole con tutte le sue forze ritornare. Durante l’occupazione giordana, la situazione era questa: nella “Cisgiordania” non c’erano ebrei, non uno solo, non era loro permesso neanche venire in visita alle tombe, tanto meno pregare nei luoghi sacri. In Israele invece gli arabi c’erano, stavano bene e crescevano. Insomma, la situazione ideale, la stessa che ora vorrebbe Abu Mazen: un territorio “judenrein” (per dirla coi nazisti) in mano agli arabi, se non ai palestinesi, e una Israele che sarebbe stata prima o poi “conquistata dal ventre delle donne”, come si espresse Arafat, se non dale armi. Perché non c’erano ebrei nella “Cisgiordania” occupata dai giordani? Perché erano stati cacciati a suo tempo dai Romani, dai bizantini, dagli Abbassidi, dai Crociati, dai Mammelucchi ecc. ? Tutte queste cacciate erano avvenute, ma gli ebrei non si erano mai del tutto staccati dalla loro terra (che più delle pianure costiere che formano buona parte dello stato di Israele erano state proprio le colline di Giudea e Samaria). Ci erano sempre ostinatamente tornati.

    No, c’era stata un’altra cacciata, una vera e propria pulizia etnica, l’ultima (o nelle speranze di Abu Mazen e dei “pacifisti”, la penultima). Quella realizzata dai Giordani (e dai loro “consiglieri” britannici che ne inquadravano l’esercito secondo le tipiche modalità colonialiste). Durante la Guerra d’Indipendenza i giordani “ripulirono” sistematicamente tutte le antichissime residenze ebraiche (Gerusalemme, Hebron ecc.) e naturalmente anche i numerosi insediamenti moderni, le fattorie e i villaggi (buona parte dei quali è stata di nuovo popolata dopo il ’67 diventando nel gergo arabo e “pacifista” le “colonie”). Si trattò di un’azione molto violenta che comportò per esempio la distruzione di tutte le sinagoghe del quartiere ebraico di Gerusalemme, la devastazione di tutte le case ebraiche ecc. (http://www.zionism-israel.com/his/Hadassah_convoy_Massacre-4.htm)

    Fu un caso? Il frutto delle cieche violenze della guerra? Niente affatto. Il colonnello Abdullah el Tell, comandante locale della Legione Araba giordana, ha descritto la distruzione del quartiere ebraico, nelle sue Memorie: “Le operazioni di distruzione calcolati furono messe in moto. . . . Sapevo che il quartiere ebraico era densamente popolato da ebrei. . . . Ho iniziato, pertanto, il bombardamento del quartiere con mortai, attuando danni e distruzione. . . . Solo quattro giorni dopo il nostro ingresso in Gerusalemme il quartiere ebraico era diventato il loro cimitero. Morte e distruzione regnavano su di esso. . . . All’alba di venerdì 28 Maggio 1948, il quartiere ebraico emerse distrutto in una nera nuvola, una nuvola di morte e agonia. . . . ” Il comandante giordano riferì ai suoi superiori:” Per la prima volta in 1.000 anni, non un singolo Ebreo rimane nel quartiere ebraico. Non un singolo edificio rimane intatto. Questo renderà impossibile agli ebrei tornare qui ‘” (http://www.israpundit.com/archives/38787). Insomma fu una vera e propria deliberata pulizia etnica. Guardate qui alcune foto: http://proisraelbaybloggers.blogspot.com/2011/11/ethnic-cleansing-of-jerusalem.html.

    “Anche se solo il Pakistan e la Gran Bretagna riconobbero la sovranità di Hussein su quello che i media mondiali continauano a chiamare, secondo l’ottica giordana “West Bank” “Cisgiordania” e “Gerusalemme Est”, la parte orientale di Gerusalemme e il resto di Giudea e Samaria fu oggetto di una vera e propria pulizia etnica dei suoi ebrei.
    Ebrei vissero in tutte le parti di Gerusalemme da secoli, tutt’intorno al Monte del Tempio, fino al 1948 quando i soldati di re Hussein ne uccisero molti e costretto il resto fuori. Per 19 anni il re Hussein di Giordania non solo ha reso la parte orientale di Gerusalemme (la sola su cui aveva potere, lo avrebbe fatto dappertutto se avesse potuto)”judenrein”, ma ha sradicato i simboli ebraici. I cimiteri furono vandalizzati. Lapidi ebraiche furono utilizzate per strade e servizi igienici. 58 sinagoghe ebraiche nella Città vecchia distrutte o trasformate in stalle per cavalli. Il tentativo giordano di cancellare ogni traccia di presenza ebraica e quasi riuscì, ma fu sconfitto dagli israeliani nel giugno del 1967.” (http://www.palestinefacts.org/pf_independence_jerusalem.php). Per questo è sbagliato parlare di occupazione israeliana di Gerusalemme e bisogna capire che fuy una liberazione.

    Il paradosso vuole che i “nuovi storici” israeliani hanno attentamente analizzato ogni traccia di un presunto tentativo israeliano di fare pulizia etnica nel ’48-49 dai territori su cui avevano potere (trovando tracce di qualche incidente, ma nulla di più, come provano le centinaia di migliaia di arabi che non accolsero l’appello degli eserciti arabi a fuggire dalle loro case e sono rimasti indisturbati da allora, moltiplicando numeri e ricchezza. E oggi i palestinesi e i loro amici all’Onu e nei giornali di sinistra accusano Israele di voler “giudeizzare” Gerusalemme. Ma la pulizia etnica giordana non è ricordata, né indagata dagli storici. E soprattutto non si parla del progetto “palestinese” di ripeterla sui territori che saranno loro assegnati e possibilmente su tutta Israele.

    La questione delle “colonie” è tutta qui, un affare di pulizia etnica, la riproduzione oggi di quel che avvenne in passato, di quel che progettava instancabilmente Amin Al Husseini, il muftì di gerusalemme amico di Hitler (http://blogs.jpost.com/content/same-message-different-mufti-rhetoric-1940s-2012). Non dimentichiomolo, la restituzione della terra vuol dire per gli arabi la sua pulizia etnica.

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=43184

    31 Gen 2012, 16:15 Rispondi|Quota
  • #3Samuel

    Massima autorità religiosa palestinese per un nuovo Olocausto

    Di fronte ad un pubblico che scandiva slogan inneggianti al “dovere” dei palestinesi di “combattere gli ebrei ed uccidere quei discendenti delle scimmie e dei maiali”, il Mufti Muhammad Hussein, la massima guida religiosa dei palestinesi, introdotto da un moderatore (sic!), ha ribadito in diretta Tv che: “La resurrezione dei morti non avverrà fintanto che non sarà stata realizzata la prima fase di un vasto processo, ossia che i musulmani non abbiano ucciso quanti più ebrei possibile”.
    Il tutto è andato in onda il 9 Gennaio scorso sulla Tv dell’ANP .

    (Giustizia Giusta, 13 febbraio 2012)

    15 Feb 2012, 17:04 Rispondi|Quota
  • #4Samuel

    Il gran muftì di Gerusalemme parla di “uccidere gli ebrei”

    Il mese scorso, rivolgendosi alla folla in occasione dell’anniversario della fondazione di Fatah, il gran muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Hussein, ha citato in maniera ambigua un hadith (una tradizione attribuita a Maometto) sostenendo che “l’Ora non verrà finché non si combatteranno gli ebrei, che si nasconderanno dietro le pietri e gli alberi. Ma saranno le stesse pietre e alberi a chiamare i musulmani, dicendo loro “O servo di Allah, c’è un ebreo dietro di me, vieni a ucciderlo””.

    In seguito alle polemiche immediatamente scaturite, scrive il New York Times, il gran muftì si è difeso affermando che stava soltanto citando le parole del profeta dell’islam. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha definito le parole come “moralmente odiose” e ha ulteriormente rilanciato, paragonando Hussein al suo predecessore, Haj Amin al-Husseini , che il secolo scorso si alleò con Adolf Hitler. Nel frattempo le autorità giudiziarie hanno aperto ufficialmente un’indagine sulla vicenda.

    (UAAR Ultimissime, 14 febbraio 2012)

    15 Feb 2012, 17:05 Rispondi|Quota
  • #5Emanuel Baroz

    È cambiato il mufti, non è cambiata la volontà genocida

    di Petra Marquardt-Bigman

    Quando lo sceicco Muhammad Hussein, mufti di Gerusalemme, la più alta carica religiosa nell’Autorità Palestinese, durante una recente cerimonia in occasione del 47esimo anniversario della creazione di Fatah ha declamato un testo della tradizione islamica che esorta i musulmani a “combattere e uccidere gli ebrei”, senza volerlo ha svelato quanto poco siano cambiati i messaggi dei leader religiosi palestinesi sin dai tempi di un altro mufti di Gerusalemme, che di nome faceva Husseini. Questa deplorevole continuità retorica serve anche a farci opportunamente ricordare che le parole di solito vengono pronunciate per ispirare le azioni.

    I palestinesi, imitati con entusiasmo da molti loro sostenitori in giro per il mondo, amano sostenere di non aver avuto alcun ruolo nella Shoà e di considerarsi pertanto vittime indirette degli ebrei in fuga dall’Europa. Questa “versione”, particolarmente popolare fra le élite progressiste europee, richiede che vengano completamente ignorati i trascorsi storici di Amin al-Husseini, il predecessore dell’attuale mufti palestinese.

    Se è vero che entrambi i mufti hanno invocato l’uccisione degli ebrei, va ricordato che Husseini cercò e colse l’opportunità per contribuire concretamente all’impresa genocida nazista volta ad assassinare il più alto numero possibile di ebrei. Recensendo un libro di Klaus Gensicke sul collaborazionismo di Husseini, John Rosenthal sottolinea che il mufti non collaborò con i nazisti soltanto sul piano dell’attività di propaganda rivolta al pubblico di lingua araba, ma anche organizzando in Bosnia la divisione di SS musulmane “Handzar”. In effetti, la scoperta più scioccante della ricerca di Gensicke riguarda i ripetuti sforzi che fece il mufti dopo il 1943 per assicurarsi che nessun ebreo d’Europa sfuggisse ai campi. Così, ad esempio, il piano bulgaro inteso a permettere che emigrassero in Palestina circa 4.000 bambini ebrei e 500 loro accompagnatori adulti spinse il mufti a scrivere una lettera al ministro degli esteri bulgaro per chiedere di bloccare l’operazione. Nella lettera, datata 6 maggio 1943, Husseini evocava un “pericolo ebraico per il mondo intero e specialmente per i paesi dove vivono degli ebrei”. Una settimana più tardi, il mufti mandava altre “lettere di protesta” ai ministeri degli esteri sia tedesco che italiano, pregandoli di intervenire in materia. Il ministero tedesco inviava immediatamente un cablogramma all’ambasciatore tedesco a Sofia in cui si sottolineava “il comune interesse tedesco e arabo ad impedire l’operazione di salvataggio”. In verità, stando alle memorie nel dopoguerra di un funzionario del ministero degli esteri, “il mufti si presentò dappertutto ad inscenare proteste: nell’ufficio del ministro, nell’anticamera del viceministro e in altri dipartimenti come gli interni, l’ufficio stampa, il servizio radiodiffusione ed anche dalle SS”. “Il mufti – concludeva il funzionario – era un nemico giurato degli ebrei e non faceva mistero del fatto che avrebbe voluto vederli tutti uccisi”. Alla fine di giugno, i ministri degli esteri rumeno e ungherese ricevettero appelli analoghi da parte del mufti. Il governo rumeno aveva intenzione di permettere a 75-80.000 ebrei di emigrare in Medio Oriente, mentre l’Ungheria, che era diventata il rifugio di ebrei fuggiti dalle persecuzioni in altre parti d’Europa, pare che si apprestasse a lasciare emigrare in modo analogo 900 bambini ebrei coi rispettivi genitori.

    Anche in quell’occasione il mufti ebbe a ribadire il suo parere: che gli ebrei venissero mandati piuttosto in Polonia, dove sarebbero stati sotto “efficiente sorveglianza”. “E’ particolarmente atroce – conclude Gensicke – il fatto che el-Husseini si opponesse anche a quei pochissimi casi in cui i nazisti sembravano disposti, per un qualsiasi motivo, a lasciar emigrare un gruppo di ebrei. Per lui, solo la deportazione nei campi in Polonia era accettabile, giacché sapeva perfettamente che là, per loro, non vi sarebbe stato scampo”.

    Qualcuno necessariamente tenderà a pensare che Husseini, quando impediva l’immigrazione di ebrei dall’Europa, stava solo difendendo gli interessi nazionali degli arabi palestinesi. Ma, come ha dimostrato Gensicke, Husseini era davvero convinto che vi fosse un “pericolo ebraico per il mondo intero e specialmente per i paesi dove vivono degli ebrei”, come scrisse nella sua lettera del maggio 1943. Pochi anni dopo, i regimi arabi si sarebbero impegnati a dimostrare quanto condividevano la sua opinione. La Lega Araba varò delle leggi in stile Norimberga volte a privare gli ebrei dei diritti civili e ad espropriarli, mentre gli stati arabi iniziavano a promuovere una vera e propria pulizia etnica delle antiche comunità ebraiche che esistevano da millenni in tutto il Medio Oriente. Centinaia di migliaia di ebrei, costretti a fuggire dai paesi arabi, trovarono rifugio nel giovane stato ebraico che gli arabi avevano giurato, e tentato, di spazzare via. A quel tempo le motivazioni potevano essere fatte risalire al nazionalismo arabo; ma, come hanno chiarito le recenti dichiarazioni del mufti palestinese, nell’Islam esiste una lunga e – per dirla con le sue parole – “nobile” tradizione di odio anti-ebraico, regolarmente invocata fino ai nostri giorni per inserire il rifiuto arabo e palestinese dell’esistenza di Israele come stato ebraico nel quadro di una lotta contro gli ebrei che fa parte integrante dell’identità islamica.

    Oggigiorno la retorica anti-ebraica in stile nazista trova espressione soprattutto in arabo e in persiano. E proprio come settant’anni fa, vi è una diffusa riluttanza a confrontarsi con questa propaganda e ad affrontare il fatto che essa è volta ad aizzare concreti comportamenti omicidi.

    (Da: Jerusalem Post, 27.1.12)

    http://www.israele.net/articolo,3349.htm

    15 Feb 2012, 18:02 Rispondi|Quota