La sinistra europea e le sue difficoltà con gli ebrei

 
Emanuel Baroz
5 dicembre 2012
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Proponiamo oggi il seguente articolo tratto dal NY Times del 28 Ottobre scorso, per la cui traduzione dobbiamo ringraziare più di un amico. Buona lettura

La sinistra europea e le sue difficoltà con gli ebrei

di Colin Shindler

La scorsa settimana Twitter ha chiuso un popolare account, famoso per la pubblicazione di messaggi antisemiti in Francia. Ciò è avvenuto poco dopo il rogo dei banchi di una sinagoga nei pressi di Parigi, la scoperta di una rete di islamisti radicali che avevano gettato una bomba a mano in un ristorante kosher e l’uccisione di un insegnante e di giovani allievi di una scuola ebraica a Tolosa all’inizio di quest’anno. Gli attacchi erano parte di una crescente campagna di violenza contro gli ebrei in Francia.

Oggi, una parte considerevole della sinistra europea è riluttante a prendere una posizione chiara, quando l’anti-sionismo deborda nell’antisemitismo. A iniziare dal 1990, molti esponenti della sinistra europea hanno cominciato a considerare le minoranze musulmane in crescita dei loro paesi come un nuovo proletariato e la causa palestinese come un meccanismo di reclutamento. La questione della Palestina s’è rivelata particolarmente seducente per i figli degli immigrati, abbandonati tra differenti identità.

Il capitalismo è stato descritto come una minaccia contro una perfetta società islamica, mentre l’imperialismo culturale corromperebbe l’Islam. La tattica ha un illustre pedigree rivoluzionario. In effetti, il grido: “Viva il potere sovietico, viva la Shariah,” fu già udito in Asia centrale nel corso del 1920, dopo che Lenin cercò di coltivare i nazionalismi musulmani nell’Oriente sovietico una volta che il suo tentativo di diffondere la rivoluzione in Europa era fallito. Ma la domanda rimane: perché gli odierni socialisti europei si identificano con degli islamisti la cui visione del mondo è anni luce distante dalla loro?

Negli ultimi anni, vi è stato un crescente offuscamento della distinzione tra ebreo, israeliano e sionista. Hassan Nasrallah, il leader del gruppo militante Hezbollah, ha notoriamente commentato: “Se cercassimo in tutto il mondo la persona più vile, spregevole, debole e fragile nella psiche, nella mente, nell’ideologia e nella religione, non troveremmo nessuno come l’ebreo. Si noti che non dico l’israeliano “.

Mentre storicamente l’Islam è stato spesso più benevolo nei confronti degli ebrei, confrontato al cristianesimo, molti islamisti contemporanei hanno evocato l’idea dell’ “eterno ebreo”. Ad esempio, la battaglia di Khaybar nel 629, combattuta dal profeta Maometto contro le tribù ebraiche, viene evocata nei canti di vittoria alle manifestazioni di Hezbollah: “Khaybar, Khaybar, oh ebrei, l’esercito di Maometto tornerà” e a volte il nome Khaybar adorna i razzi di Hezbollah tirati su Israele.

Molti islamisti contemporanei vedono ben poca differenza tra gli avversari ebrei del profeta nell’Arbia del VII secolo e gli attuali ebrei. L’importazione degli antichi simboli dell’antisemitismo europeo – la rappresentazione degli ebrei come nemici di Dio o i proclami di una cospirazione ebraica mondiale – hanno aiutato a consolidare questo tipo di immagini. Se vi era una distinzione tra l’anti-ebraismo islamico e l’antisemitismo moderno, questa è ormai andata perduta tra gli islamisti francesi.

La paura del dominio degli ebrei del Medio Oriente è diventato un tema ripetitivo nei media islamisti – che sono diventati più influenti da quando i partiti religiosi hanno guadagnato terreno sulla scia della primavera araba. Questo è uno dei fattori del generale rifiuto dei gruppi militanti di Hezbollah e di Hamas a incontrare pubblicamente i membri del campo della pace israeliano – una bella distanza dai tempi in cui i nazionalisti palestinesi volentieri negoziavano con le colombe israeliane, prima della stretta di mano del 1993 tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca.

La vecchia sinistra in Europa era stata forgiata nella lotta contro i fascisti locali negli anni ’30. La maggior parte dell’Europa ha conosciuto la brutale occupazione nazista e ha testimoniato le atrocità dell’Olocausto. La sinistra europea si era fortemente identificata con la sofferenza ebraica e quindi accolse con favore la nascita dello stato di Israele nel 1948. Alcuni videro la lotta per Israele nella stessa luce della lotta per la libertà nella guerra civile spagnola.

Ma la successiva generazione della sinistra europea non ha più visto le cose in questo modo. Il suo quadro di riferimento è stato la lotta anticoloniale – in Vietnam, Sud Africa, Rhodesia e in una miriade di altri posti. La sua icona sacra non è più stata il soldato delle Brigate Internazionali che aveva combattuto contro Franco in Spagna, ma Che Guevara – la cui immagine adorna innumerevoli camere di studenti. L’anticolonialismo ha ulteriormente influenzata miriade di cause, dalle Pantere Nere americane nel 1960 alla rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez nell’odierno Venezuela.

Si è iniziato con l’esclusione di Israele dai ranghi delle nazioni non allineate più di 50 anni fa, quando gli stati arabi rifiutarono di partecipare a una conferenza dei paesi non allineati, in Indonesia nel 1955, se un delegato israeliano fosse stato presente. Lo Stato ebraico è stato snobbato a favore di regni feudali come l’Arabia Saudita, la Libia e lo Yemen. E la collusione di Israele con poteri imperiali come la Gran Bretagna e la Francia durante la crisi di Suez l’anno successivo cementarono l’ostracismo nei suoi confronti.

Dato il profondo rimorso per le malefatte del colonialismo, è stato più facile per la Nuova Sinistra degli anni ’60 identificarsi con l’emergente movimento nazionale palestinese che con un socialdemocratico Israele già stabilito. Questa sempre più profonda ostilità nei confronti di Israele era presente in Europa già prima della guerra arabo-israeliana del 1967 e prima della corsa a costruire insediamenti in Cisgiordania.

In mezzo a questa ostilità crescente nei confronti di Israele, il filosofo e attivista politico francese Jean-Paul Sartre aveva proposto un modo diverso di porsi. Egli era stato segnato dal ricordo di ciò che era accaduto agli ebrei della Francia durante la seconda guerra mondiale – la discriminazione, i tradimenti, le deportazioni e gli stermini. Capì la legittimità della guerra di Israele per l’indipendenza e commentò che la creazione dello Stato di Israele era stato uno dei pochi eventi “che ci permette di conservare la speranza.” Eppure Sartre aveva anche fortemente sostenuto la lotta per l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Questo doppio retaggio, nel sostenere sia Israele che la lotta algerina, simboleggiava la situazione di tutta la sinistra europea del dopoguerra. Sartre sostenne che la sinistra non deveva scegliere tra due cause morali e che stava solo agli ebrei e agli arabi risolvere il loro conflitto attraverso la discussione e la negoziazione. Sartre cercò di creare uno spazio per il dialogo, prestando il suo nome e il suo prestigio a riunioni private e pubbliche tra le due parti, come il Comitato israelo-palestinese nel 1970. Il suo approccio raggiunse il suo apogeo con i numerosi quieti incontri tra israeliani e palestinesi in Europa, che alla fine portarono agli accordi di Oslo. Ma la visione di Sartre fu ostacolata dagli insediamenti israeliani che proliferavano dopo il 1977, rafforzando nella sinistra la caricatura di un’Israele come una potenza imperialista e degli insediamenti come di un’impresa coloniale. Alcune voci di primo piano a sinistra europea, nel loro desiderio di apparire solidali alla causa palestinese, hanno dato fiato ad antichi tropi antisemiti. Ken Livingstone, direttore di un quotidiano ed ex sindaco di Londra, ha una lunga carriera di affermazioni insensate sugli ebrei – pubblicò una vignetta nel 1982 con Menachem Begin, allora primo ministro di Israele, in uniforme da Gestapo, in cima a una pila di teschi palestinesi, paragonando un famoso giornalista ebreo a “una guardia del campo di concentramento” 20 anni dopo. Oggi, contribuisce a Press TV, organo in lingua inglese del governo iraniano.

A volte la sinistra distingue tra i vulnerabili ebrei europei che sono stati perseguitati e gli attuali “prussiani” in Israele. Ma spesso si dimentica che alla maggioranza degli israeliani capita proprio di essere degli ebrei e che quindi essi temono che ciò che inizia con la delegittimazione di uno Stato si concluderà con la delegittimazione di un popolo.

Tale Israelofobia, enunciata dalle sezioni della sinistra europea, si accoppia perfettamente con l’ascesa dell’islamismo tra i palestinesi e in tutto il mondo arabo. L’obnubilamento islamista per l’ “ebreo” è rispecchiato nella cecità di molti marxisti europei. Nonostante gli sforzi ben intenzionati di molti ebrei e musulmani a mettere da parte le loro diverse prospettive sul conflitto israelo-palestinese, l’immagine offensiva dell'”ebreo” ha persistito in molte comunità di immigrati in Europa occidentale. Gli islamisti erano disposti a condividere programmi e piattaforme con i socialisti e gli atei, ma non con i sionisti.

La profonda opposizione della Nuova Sinistra al potere americano e la convergenza dei reazionari islamisti e della sinistra acritica si sono riflesse nel corteo di protesta da un milione di persone a Londra contro l’invasione dell’Iraq del 2003. Fu organizzata dall’Associazione Musulmana della Gran Bretagna (MAB, Muslim Association of Britain), dai trotskisti del Socialist Workers Party e dal Partito comunista stalinista della Gran Bretagna. Quando alcuni musulmani hanno espresso la loro apprensione la partecipare alla protesta assieme a dei non-musulmani, la leadership del MAB ha decretato che era religiosamente ammissibile a patto che venisse fornito del cibo halal e che agli gli uomini e allle donne venissero dedicate aree separate. Tali manifestazioni di “clericalismo reazionario”, come i primi bolscevichi lo avrebbero definito, sono state alllegramente ignorate.

Sartre capì che il conflitto non era semplicemente tra israeliani e palestinesi, ma tra coloro che sostengono la pace su entrambi i lati e i loro negazionisti. Questo conflitto all’interno del conflitto è qualcosa che molti a sinistra in Europa, loro stessi alleandosi a delle forze assai sgradevoli, ancora non riescono a comprendere.

Al contrario, in entrambi i campi della pace, israeliani e palestinesi, la marea della polarizzazione politica ha accelerato la chiusura di una mentalità progressiva. E uno statico fatalismo ha permesso agli aggressori dei frequentatori di una sinagoga e al killer di bambini di riempire il vuoto.

Colin Shindler è professore emerito presso la scuola di Studi Orientali e Africani dell’Università di LondraLondon School ad è l’autore di “Israele e la sinistra europea: tra solidarietà e delegittimazione”.

Una versione di questo editoriale è apparsa sulla stampa il 28 ottobre 2012, a pagina SR5 dell’edizione di New York de The New York Times con il titolo: The European Left and Its Trouble With Jews.

Thanks to Progetto Dreyfus

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