Hamas: “No ai colloqui di pace. Abu Mazen non rappresenta i palestinesi”

 
Emanuel Baroz
21 luglio 2013
4 commenti

Hamas: “No ai colloqui di pace. Abu Mazen non rappresenta i palestinesi”

“Abu Mazen non è legittimato a negoziare”

ripresa-colloqui-pace-israeliani-palestinesi-kerry-intrafada-focus-on-israelGaza, 20 Luglio 2013 – Ennesima puntata dell’Intrafada tra Hamas e ANP, questa volta spostata in ambito più politico che militare: il movimento islamico al potere nella Striscia di Gaza (dopo un sanguinoso golpe di qualche anno fa) infatti ha contestato la ripresa dei negoziati di pace con Israele negando che il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), abbia la legittimità di rappresentare i palestinesi.

Lo ha affermato il portavoce Sami Abu Zuhri, dopo l’annuncio del segretario di Stato Usa, John Kerry, di un’apertura per il riavvio dei colloqui: “Hamas rifiuta l’annuncio di John Kerry – ha dichiarato alla AFP Zuhri – e Abu Mazen non ha alcuna legittimità per negoziare a nome del popolo palestinese sulle questioni fondamentali”. Sulla stessa lunghezza d’onda il portavoce del “governo” di Hamas a Gaza, Ihab al-Ghossein, che ha dichiarato quanto segue “il popolo palestinese non accetterà coloro che negoziano per suo conto senza mandato”, con un chiaro riferimento al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese.

(Fonte: Ansa.it, Israele.net)

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  • #1Emanuel Baroz

    Netanyahu: «L’accordo di pace, se raggiunto, sarà sottoposto a referendum»

    Se i colloqui di pace con i palestinesi arriveranno a una conclusione, i loro risultati saranno sottoposti alla ratifica di un referendum nazionale. Lo ha detto domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu introducendo la riunione settimanale del governo che si è tenuta presso il Menachem Begin Heritage Center, a Gerusalemme, per celebrare i cento anni dalla nascita di Begin. “Credo che sarebbe un passaggio fondamentale – ha spiegato Netanyahu – Non penso che decisioni di questa portata, se si arriva a un accordo, possano essere adottate da questa o quella coalizione di governo, bensì che debbano essere sottoposte alla decisione della nazione”. Israele, ha sottolineato Netanyahu, vuole la pace e si appresta a riavviare le trattative con onestà e integrità morale, e si augura che i negoziati vengano condotti in modo responsabile, serio e pertinente e che, almeno in una prima fase, siano condotti nella riservatezza. Netanyahu ha poi avvertito che i negoziati non saranno facili, ma ha sottolineato che la ripresa del processo di pace è un interesse essenziale dello stato d’Israele.

    L’obiettivo dei negoziati sarà quello di raggiungere un accordo definitivo che ponga fine una volta per tutte al conflitto israelo-palestinese. Per ora i termini di riferimento esatti per la ripresa dei colloqui restano piuttosto opachi, in quanto né gli israeliani né i palestinesi sono disposti a divulgare la formula precisa che hanno accettato.

    Venerdì sera, il segretario di stato Usa John Kerry, che è stato nella regione sei volte nel corso degli ultimi quattro mesi, ha tenuto una conferenza stampa ad Amman, prima di rientrare negli Stati Uniti, durante la quale ha annunciato il rilancio dei negoziati israelo-palestinesi. “Sono lieto di annunciare – ha detto – che abbiamo raggiunto un accordo che pone le basi per la ripresa dei negoziati diretti sullo status finale tra palestinesi e israeliani. Si tratta di un significativo e auspicato passo in avanti”.

    Dopo i complimenti di rito al primo ministro israeliano e al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per la loro “coraggiosa leadership”, Kerry ha detto che, “se tutto va come previsto”, i negoziati israelo-palestinesi inizieranno a Washington “più o meno entro la prossima settimana”, ma funzionari israeliani hanno specificato che ragioni logistiche potrebbero richiedere un’ulteriore settimana di preparazione. All’incontro iniziale Israele sarà rappresentata dal ministro della giustizia Tzipi Livni e dall’inviato speciale di Netanyahu, Yitzhak Molcho, mentre la parte palestinese sarà rappresentata dal capo negoziatore per l’Autorità Palestinese, Saeb Erekat.

    Secondo l’annuncio ufficiale, i negoziati dureranno fra nove mesi e un anno. I palestinesi siederanno al tavolo negoziale senza pre-condizioni (quali il riconoscimento preventivo da parte di Israele delle linee pre-‘67, dichiarazioni su Gerusalemme o congelamenti delle attività edilizie ebraica in Cisgiordania). Tuttavia due aiutanti di Abu Mazen, parlando in forma anonima, hanno detto a Times of London che il presidente palestinese ha ricevuto la garanzia scritta da parte di Kerry che la base per i negoziati sarebbero state le linee del ‘67. La circostanza è stata smentita da rappresentanti israeliani secondo i quali, invece, i palestinesi si sarebbero impegnati a non agire contro Israele per i prossimi nove mesi presso le istituzioni internazionali. L’ufficio del primo ministro ha sottolineato che si tratta di elemento significativo, dal momento che i palestinesi avevano precedentemente annunciato l’intenzione di rilanciare a settembre la loro campagna alle Nazioni Unite per il riconoscimento unilaterale del loro stato (senza negoziato né accordo con Israele).

    Fonti israeliane hanno detto che senza dubbio Erekat avanzerà la richiesta che i colloqui si basino sulle linee pre-‘67 e la richiesta di un congelamento degli insediamenti, ma saranno temi oggetto di trattativa e non pre-condizioni.

    La principale concessione da parte israeliana è piuttosto il consenso alla scarcerazione di 85 detenuti palestinesi, compresi diversi colpevoli di reati di sangue, le cui sentenze di condanna risalgono a prima della firma degli Accordi di Oslo del 1993. Le scarcerazioni avverranno per fasi man mano che progrediscono i negoziati nel corso dell’anno. Nessuno dei terroristi verrà scarcerato prima dell’inizio dei colloqui. Il primo gruppo di 40 detenuti dovrebbe essere rimesso in libertà entro sei settimane dall’inizio dei negoziati.

    Sabato sera, Netanyahu ha diramato una dichiarazione in merito al riavvio dei negoziati. “Considero un interesse strategico vitale per Israele la ripresa del processo diplomatico in questo momento – ha scritto Netanyahu – Essa è importante di per sé, allo scopo di cercare di portare a termine il conflitto tra noi e i palestinesi, ed è anche importante alla luce delle sfide strategiche che si ci si parano davanti, innanzitutto da Iran e Siria. Ho in mente due precisi obiettivi – ha spiegato Netanyahu nella sua dichiarazione – Prevenire la nascita fra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano di uno unico stato bi-nazionale che metterebbe a repentaglio il futuro di Israele in quanto stato ebraico, e impedire la nascita di un altro stato terrorista sostenuto dall’Iran ai confini di Israele, il che sarebbe altrettanto pericoloso per la nostra esistenza. Dovremo trovare un equilibrio tra questi due principi” ha concluso Netanyahu, aggiungendo che “nel corso dei negoziati i palestinesi dovranno fare concessioni e scendere a compromessi che permettano a Israele di garantire la propria sicurezza e proteggere i propri interessi vitali”.

    Yasser Abed Rabbo, segretario generale dell’Olp, intervistato domenica da Voce della Palestina, la stazione radio dell’Autorità Palestinese, ha dichiarato che in realtà la dirigenza palestinese non ha ancora deciso di tornare al tavolo dei negoziati con Israele, spiegando che tale decisione è “condizionata a numerosi chiarimenti su questioni fondamentali”. Rabbo ha aggiunto che vi sono ancora molti “punti spinosi” che devono essere risolti.
    Mohamed Shtayyeh, ex negoziatore dell’Autorità Palestinese e alto esponente di Fatah, parlando domenica a Ramallah ha ribadito le pre-condizioni palestinesi per la ripresa dei colloqui di pace richiedendo “un impegno israeliano ad accettare le linee pre’67, il rilascio di detenuti e il blocco delle costruzioni negli insediamenti”.

    Il giornale ufficiale dell’Autorità Palestinese, Al-Ayyam, ha pubblicato un articolo dell’analista politico Hani Habib nel quale si accusa Kerry di essere un campione di “auto-inganno”. Sottolineando che i palestinesi non hanno ricevuto alcuna assicurazione scritta che i colloqui si baseranno sulle linee pre-’67, l’analista dell’Autorità Palestinese scrive: “Abbiamo scoperto che una delle caratteristiche di Kerry è la sua straordinaria capacità di ingannare non solo gli altri, ma innanzitutto se stesso. Quest’uomo si illude d’aver messo insieme negoziatori palestinesi e israeliani”.

    La decisione di Abu Mazen di riaprire i colloqui di pace con Israele, scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, ha attirato aspre critiche nel fine settimana praticamente da tutte le maggiori fazioni palestinesi, e alcune voci critiche anche dal suo partito Fatah. Mohamed Dahlan, esponente di Fatah avversario politico di Abu Mazen ed ex comandante della sicurezza dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza, domenica si è unito al coro delle critiche accusando il presidente dell’Autorità Palestinese di commettere “un suicidio politico” nel momento in cui accetta di tornare ai negoziati con Israele.

    (Da: Israel HaYom, Times of Israel, Jerusalem Post, 21.7.13)

    http://www.israele.net/articolo,3789.htm

    22 Lug 2013, 14:15 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    22/07/2013 Un razzo palestinese lanciato dalla striscia di Gaza si è abbattuto domenica sera su un terreno non edificato nella zona di Eshkol.

    22/07/2013 Secondo l’Iran i colloqui di pace israelo-palestinesi sono destinati a fallire per il carattere “guerrafondaio” del “regime di occupazione sionista”. Lo ha detto domenica il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Abbas Araqchi, citato dai mass-media locali. Teheran ha espresso la sua opposizione alla ripresa dei negoziati mediata dagli Usa e ad una soluzione a due stati.

    22/07/2013 Per voce del suo vice segretario generale per gli affari palestinesi, Mohammed Sabih, citato dalla AFP, la Lega Araba ha espresso domenica il suo sostegno alla posizione palestinese sulla ripresa dei colloqui di pace con Israele, e ha espresso scetticismo sulle reali intenzioni di Israele.

    22/07/2013 In un raro commento sulla crisi in Egitto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che la caduta del presidente Mohamed Morsi dimostra la debolezza dei movimenti politici islamisti. “Credo che nel lungo periodo questi regimi islamisti radicali siano destinati a fallire perché non offrono l’adeguata emancipazione che è necessaria per sviluppare un paese economicamente, politicamente e culturalmente” ha detto Netanyahu al settimanale tedesco Welt am Sonntag, aggiungendo: “Tornano al medioevo contro l’intero impulso della modernità, per cui nel corso del tempo sono destinati a fallire”.

    22/07/2013 Il Comitato ministeriale israeliano per gli affari legislativi ha approvato (7 voti a 1) un disegno di legge che estende le tutele previste dalla legge nei casi di assenza dal lavoro per maternità, gravidanza, adozione e trattamenti di fertilità a tutte le donne residenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania), sia israeliane che palestinesi, impiegate da imprenditori israeliani.

    22/07/2013 L’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (delle Nazioni Unite) ha pubblicato il rapporto Global Innovation Index per il 2013 da cui risulta che Israele si è classificato al 14esimo posto nel mondo. L’indice misura il grado di investimento dei paesi nei fattori che sostengono e promuovono l’innovazione tecnologica, esaminandone anche l’efficacia.

    22/07/2013 “Abbiamo avuto lunghi mesi di scetticismo e cinismo, ma finalmente quattro anni di impasse diplomatica stanno per finire”. Lo ha detto il ministro della giustizia e capo negoziatore israeliano Tzipi Livni, che ha aggiunto: “Nella stanza delle trattative affermeremo gli interessi della sicurezza nazionale di Israele come stato ebraico e come stato democratico”.

    22/07/2013 Incontro domenica fra il presidente israeliano Shimon Peres e la leader dell’opposizione Shelly Yachimovich (laburista). Peres ha espresso apprezzamento per il sostegno dato da Yachimovitch al processo di pace e ha auspicato una unione delle forze per permettere al primo ministro Benjamin Netanyahu di far avanzare il processo diplomatico. Shelly Yachimovich, accogliendo con favore l’annunciata ripresa dei negoziati, ha detto: ”Il processo in se stesso è benvenuto e gioverà subito a Israele nell’arena internazionale. Ma ricordiamoci che l’obiettivo non è il processo di per sé, ma arrivare a un vero accordo di pace”.

    22/07/2013 Attaccando il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), Hamas ha respinto al mittente l’annuncio del segretario di stato Usa, John Kerry, sulla prossima ripresa dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi: “Hamas rifiuta l’annuncio di John Kerry – ha dichiarato alla AFP il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri – e Abu Mazen non ha alcuna legittimità per negoziare a nome del popolo palestinese sulle questioni fondamentali”. Il portavoce del “governo” di Hamas a Gaza, Ihab al-Ghossein, ha detto che “il popolo palestinese non accetterà coloro che negoziano per suo conto senza mandato”.

    22/07/2013 “Abu Mazen ha meno controllo sui palestinesi di quanto ne abbia Assad sui siriani – ha dichiarato domenica mattina il ministro israeliano dei trasporti Yisrael Katz – Ci sono un milione e mezzo di palestinesi sotto il governo di Hamas e si oppongono a questo processo. Ciò nonostante, vi è spazio per una ripresa dei negoziati, cosa che migliora la situazione strategica. Resta tuttavia in dubbio che possano portare a risultati concreti”.

    22/07/2013 Secondo un reportage del Sunday Times, il presidente israeliano Shimon Peres “aveva aperto la strada” all’accordo annunciato dal segretario di stato Usa John Kerry per la ripresa dei colloqui di pace tra palestinesi e israeliani. Citando fonti sia israeliane che palestinesi, il Sunday Times riferisce che Peres avrebbe incontrato riservatamente il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ad Amman e lo avrebbe convinto “ad accettare il principio che coloni ebrei potrebbero continuare a vivere in Cisgiordania sotto un futuro stato palestinese”. Peres e Abu Mazen si sono ufficialmente incontrati lo scorso maggio a margine del World Economic Forum sul versante giordano del Mar Morto.

    21/07/2013 Il presidente israeliano Shimon Peres ha parlato con il segretario di stato Usa John Kerry e si congratulato con lui per il suo successo nella trattativa per rinnovare i negoziati tra Israele e palestinesi. Dopo una serrata spola diplomatica, venerdì sera, prima di rientrare da Amman negli Usa, Kerry ha annunciato l’imminente ripresa dei colloqui diretti. “Il modo migliore per dare una chance a questi negoziati è quella di tenerli riservati – ha aggiunto Kerry – Sappiamo che le sfide richiederanno scelte molto difficili nei prossimi giorni. Oggi, però, sono fiducioso”.

    21/07/2013 Egitto. Le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nell’ufficio al Cairo della tv satellitare iraniana in lingua araba Al Alam arrestandone il direttore. Ne ha dato notizia sabato l’emittente stessa. ”Le forze di sicurezza hanno anche sequestrato attrezzature e dispositivi della tv, senza dare alcuna spiegazione”, ha affermato Al Alam sul suo sito web.

    21/07/2013 La Germania ha preso le distanze dalle controverse “linee guida dell’Unione Europea” che vietano ogni cooperazione con organismi israeliani al di là della ex Linea Verde 1949-’67. In una dichiarazione rilasciata venerdì dal parlamentare Philipp Missfedler, portavoce nel Bundestag per il partito della cancelliera tedesca Angela Merkel, le linee guida vengono definite “pura ideologia e politica simbolica” che non contribuiranno a trovare una soluzione del conflitto israelo-palestinese. Missfedler ha aggiunto che le norme europee non sono ”requisiti obiettivi”. ”Israele – ha spiegato – è il soggetto riconosciuto che ha il compito di amministrare i territori [contesi] senza il quale i progetti di sviluppo approvati, come quelli per l’energia solare e le acque fognarie, non possono essere attuati”.

    (Fonte: Israele.net)

    22 Lug 2013, 14:16 Rispondi|Quota
  • #3Alberto Pi

    Dove ci porta Kerry?
    Cartolina da Eurabia, di Ugo Volli

    Cari amici,
    l’avete certamente letto tutti: con pressioni, minacce e lusinghe, con un lavoro indefesso di diplomazia personale, John Kerry è riuscito a far approvare un incontro preliminare a Washington fra i delegati israeliani e palestinesi, che dovrebbe servire a organizzare della trattative, che dovrebbero portare a incontri diretti fra i leader che dovrebbero realizzare una trattativa di pace. Che ci fossero problemi più urgenti da quelle parti, la guerra civile in Siria che continua anche se i giornali non ne parlano più e fa centinaia di morti al giorno con la prevalenza di Assad contro cui l’America aveva scommesso, l’instabilità in Egitto, anche qui con la sconfitta della Fratellanza Musulmana appoggiata da Obama, la repressione in Turchia, l’Iran che produce indisturbato la sua atomica, la confusione in tutto il Magreb… be’ non importa. Kerry voleva israeliani e palestinesi intorno a un tavolo e probabilmente li avrà, almeno per un paio di riunioni preliminari.

    Dico probabilmente, perché fra le condizioni per raggiungere la riunione ci sono stati probabilmente diversi equivoci voluti e bluff: agli israeliani Kerry ha detto che i palestinesi rinunciavano alle loro precondizioni (le “linee del ’67” assicurate prima della trattativa ecc.), mentre la riunione di Fatah aveva insistito proprio su questo e ai palestinesi aveva promesso la liberazione di ergastolani e il blocco delle costruzioni negli insediamenti oltre la linea verde, su cui le cose non sono affatto chiare nel sistema politico israeliano. Il fatto è che i bluff fanno parte della diplomazia, ma in un caso del genere sono certamente destinati a venir fuori all’inizio dei colloqui e quel che è facilitante ora renderà le cose più difficili dopo.

    Ha fatto bene Netanyahu ad accettare le proposte di Kerry? Non lo so. Certamente la pressione dev’essere stata fortissima, anche il boicottaggio europeo ne ha fatto parte. Ma soprattutto Israele ha bisogno di un atteggiamento non ostile degli Usa per quanto riguarda il problema iraniano, che sta arrivando al punto decisivo e non poteva permettersi di snobbare la sua iniziativa diplomatica principale. Non sappiamo e probabilmente non sapremo per decenni come è andata per davvero la partita diplomatica fra lui e Obama, che è il vero protagonista dell’iniziativa che porta il nome di Kerry. Certamente Obama non è diventato un amico di Israele ottenendo la rielezione, sapevamo che non dovendo affrontare un nuovo passaggio elettorale avrebbe cercato di far prevalere la sua ideologia in Medio Oriente e nonostante l’evidente sconfitta della sua politica in tutto il mondo e in particolare da quelle parti evidentemente continua a voler passare alla storia come l’artefice dello stato palestinese.

    Per Israele piegarsi davanti a una pressione fortissima e anche compiere alcuni atti contro il proprio interesse, come liberare degli assassini che verranno onorati come eroi al ritorno a casa e molto probabilmente torneranno al terrorismo come hanno fatto molti di quelli che hanno avuto lo stesso percorso prima di loro, è ragionevole. In fondo lo stato ebraico si era piegato due anni fa al ricatto di Hamas, solo per salvare la vita di un suo cittadino tenuto ostaggio dai terroristi e ha ragioni più importanti per mostrarsi flessibile ora.

    Ma non porteranno più vicini alla pace questi colloqui, ammesso che avvengano davvero? Io non credo. Innanzitutto, come dimostrano anche le acrobazie di Kerry, perché il minimo accettabile (anche sul piano tattico, non come obiettivo finale) dai palestinesi è di gran lunga più di quel che Israele può concedere senza mettere in crisi la sua sicurezza (per esempio sul piano dei confini e del loro controllo). Poi perché le due parti sono convinte che lo status quo convenga a entrambi: i palestinesi possono fare le vittime, ottenere finanziamenti e si affidano, probabilmente sbagliando, a una spinta demografica in grave declino. Gli israeliani sanno che le terre contese sono la loro sede naturale e pensano, probabilmente con un certo grado di illusione, che prima o poi il mondo voglia accettare il potere israeliano su Gerusalemme e dintorni, come ha preso atto dopo il 1870 della conquista italiana di Roma e di tutti i cambiamenti avvenuti in Europa dopo la prima guerra mondiale o dopo il 1989.

    Ma soprattutto c’è l’odio. Pensate che solo pochi giorni prima dell’annuncio del pre-accordo, c’erano state delle dimostrazioni a Ramallah contro gli incontri fra Olp e politici israeliani che cercavano il dialogo, motivate dal rifiuto della “normalizzazione” (http://www.jpost.com/Middle-East/Palestinians-protest-against-meetings-between-PLO-officials-Israeli-politicians-319888). E sempre pochi giorni fa i palestinesi avevano approfittato del Ramadan per vandalizzare le tombe dei patriarchi a Hebron, che pure dovrebbero far parte dell’eredità condivisa
    http://elderofziyon.blogspot.it/2013/07/new-arab-head-of-cave-of-patriarchs.html). Pensate al continuo rifiuto di riconoscere il legame fra il popolo ebraico e Gerusalemme (come se nel 1870, i francesi che difendevano il papa avessero detto che non c’era nessun rapporto fra il popolo italiano e Roma, che pure, a differenza di Gerusalemme, per un millennio e passa era stata la capitale dello stato vaticano… Trovate un esempio fra i tantissimi del negazionismo arabo qui: http://elderofziyon.blogspot.it/2013/04/miftah-attacks-judaism.html? ). Pensate all’esaltazione dell’omicidio che infesta la televisione palestinese, le sue scuole, la sua toponomastica, pensate all’odio che si continua a coltivare in tutto il mondo arabo. Insomma, qui non si tratta di fare la pace coi nemici, come spesso si sentre ripetere, ma con nemici che continuano a predicare il genocidio, che indicano gli ebrei come alleati del diavolo (guardate un esempio dedicato ai bambini qui:
    http://www.youtube.com/watch?v=OdfGKrPafSA&feature=em-uploademail ).

    No, non credo che senza una preventiva descalation questi colloqui possano portare alla pace. Anzi, c’è una buona probabilità che portino alla guerra, o almeno a un’ondata terroristica furiosa, come accadde con i colloqui di Oslo, con le trattative fra Arafat e Barak con la cosiddetta seconda intifada, come accadde a Gaza e nel Libano del Sud dopo l’uscita israeliana. Gli arabi interpretano i gesti di pace israeliani come debolezza e attaccano per approfittarne. Speriamo che non accada anche questa volta.

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=49984

    22 Lug 2013, 18:38 Rispondi|Quota
  • #4HaDaR

    Han ragione.
    Il mandato di Abu Mazen è scaduto dal 2010 e lui ha sempre rifiutato d’indire nuove elezioni perché SA che perderebbe.

    23 Lug 2013, 22:28 Rispondi|Quota