Hamas ammette: “Durante il conflitto abbiamo usato scudi umani”

 
Emanuel Baroz
15 settembre 2014
7 commenti

Hamas ammette: “Durante il conflitto abbiamo usato scudi umani”

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Gaza, 12 Settembre 2014 – A due settimane dal conflitto che ha insanguinato la Striscia di Gaza, l’organizzazione estremista Hamas ammette di aver utilizzato scudi umani nelle scuole e negli ospedali per lanciare attacchi contro Israele.

Secondo quanto affermato da Ghazi Hamad, alto esponente di Hamas, i combattenti non avrebbero avuta altra scelta, se non quella di lanciare i missili contro i nemici dalle aree residenziali. Tali misure, secondo lui, era state compiute con l’intento di salvare vite umane, ma, ammette, “sono stati compiuti errori“.

Hamad, infine, ha incolpato Israele per le numerose morti verificatesi durante il conflitto: “Gaza, è una catena urbana ininterrotta“, ha infatti spiegato. “Gli israeliani sostenevano che i razzi venivano sparati da scuole o ospedali, quando in realtà i lanci sono stati effettuati a 200 o 300 metri di distanza“. “Certo“, ha comunque precisato, “devo ammettere che per errore alcuni attacchi sono stati compiuti in prossimità di aree residenziali“.

(Fonte: Articolotre.com, 13 Settembre 2014)

Per ulteriori dettagli sulla notizia cliccare qui, qui e qui

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  • #1Emanuel Baroz

    12 settembre 2014 – Il Jerusalem Post ha scritto giovedì d’aver ottenuto questa settimana nuove informazioni circa il fatto che Hamas ha usato violenza e minacce contro il personale delle Nazioni Unite a Gaza durante l’operazione “Margine protettivo”. Già si sapeva, scrive il giornale, che Hamas ha nascosto armi in strutture gestite dall’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi, e ha lanciato i suoi razzi nei pressi di scuole dell’Unrwa. Ora il Jerusalem Post ha appreso che il personale dell’Unrwa è stato oggetto di minacce da parte di uomini armati di Hamas. In un certo numero di casi, terroristi di Hamas hanno minacciato di morte i dipendenti Unrwa se avessero rivelato che il gruppo islamista stava usando le strutture Onu a scopi bellici, e per assicurarsi che non parlassero delle attività di Hamas. Sono anche emersi dettagli sul destino di forniture mediche e alimentari che avrebbero dovuto essere distribuite dall’Unrwa agli abitanti di Gaza bisognosi di aiuti umanitari. In diverse occasioni, miliziani armati di Hamas hanno confiscato con la forza le forniture, sequestrandole a loro uso e consumo. In alcuni casi, sia durante che dopo i combattimenti, i camion carichi di forniture destinate alle strutture dell’Unrwa sono stati intercettati e presi in consegna da terroristi di Hamas. Secca smentita da parte del portavoce dell’Unrwa, Christopher Gunness.

    (Fonte: Israele.net)

    15 Set 2014, 15:57 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    14 settembre 2014 – Il vice capo del politburo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha ribadito sabato che il gruppo islamista non accetterà mai di cedere le armi “in cambio della ricostruzione della striscia di Gaza o di qualsiasi altra cosa”. “Fino a quando la Palestina non sarà liberata – ha dichiarato Haniyeh in un discorso a Gaza – le armi della resistenza sono intoccabili”. Haniyeh ha anche affermato che il gruppo non condurrà mai negoziati diretti con Israele. La scorsa settimana l’esponente di Hamas, Mousa Mohammed Abu Marzook, aveva lasciato intendere che il gruppo potrebbe essere costretto a negoziare direttamente con Israele. Finora Hamas ha sempre rifiutato ogni negoziato formale con Israele. I colloqui sullo scambio ostaggio/detenuti e sul cessate il fuoco sono sempre stati condotti tramite terzi.

    (Fonte: Israele.net)

    15 Set 2014, 15:57 Rispondi|Quota
  • #3Mario

    Una bella notizia. Diagnosi: tumore prostatico.
    Tempo sei-otto mesi e Khamenei starà visitando la morada del Padreterno.
    Immagino la conversazione.
    K:”Padre. Avevo promesso di uccidere tutti i sionisti ma non m’hai dato il tempo necessario per farlo”
    P: ” Sai, ho pensato di fare un po’ di pulizia la giù e ho deciso di cominciare dagli insetti più molesti.”
    (Senza moralismi. Lui usa parole di molto più pesanti)

    15 Set 2014, 17:30 Rispondi|Quota
  • #4Giacomo

    Non mi sorprende, ma invito a leggere anche questo:

    http://bugiedallegambelunghe.wordpress.com/2014/08/21/dal-nostro-inviato-a-gaza/

    15 Set 2014, 20:25 Rispondi|Quota
  • #5Devid

    15 Set 2014, 20:26 Rispondi|Quota
  • #6Frank

    Se é vero con la loro ammissione, allora hanno inventato l’acqua calda.

    16 Set 2014, 13:33 Rispondi|Quota
  • #7Emanuel Baroz

    La guerra di Hamas contro i media

    Intimidazioni, minacce e violenze: come il movimento islamico ha usato il terrore per vincere la guerra mediatica.

    di Ariel David

    Ogni volta che il conflitto tra israeliani e palestinesi s’infiamma, i media diventano un campo di battaglia d’importanza quasi pari a quello reale, con entrambe le parti coinvolte in sforzi per mostrare le proprie ragioni e dipingersi in veste di vittima. L’ultima guerra tra Israele e Hamas non fa eccezione. Sugli schermi televisivi, sui giornali e sui social network si sono susseguite immagini di case bombardate e civili palestinesi morti, seguite dalla risposta israeliana che denuncia l’uso da parte dei terroristi di Hamas di scudi umani e di infrastrutture civili per immagazzinare e lanciare razzi contro la popolazione dello Stato ebraico. Entrambe le parti sono convinte che i media parteggino per l’altro: manifestanti filo-palestinesi protestano a Londra contro la BBC, mentre chi sta dalla parte d’Israele lamenta che l’attenzione dei media si concentra sulla risposta militare israeliana e non sulle azioni terroristiche di Hamas, che hanno scatenato il conflitto. Ma chi ha ragione? Da che parte stanno i media internazionali? Sicuramente israeliani e palestinesi hanno entrambi una folta tifoseria e ci sono giornalisti, analisti e opinionisti che hanno scelto ideologicamente di stare da una parte o dall’altra. Vi sono però almeno due elementi che pesano su tutti i media, anche sui più benintenzionati e votati all’imparzialità, e che inevitabilmente influenzano la copertura della guerra a Gaza.

    Questi due elementi rovesciano la tradizionale idea della sproporzione tra le forze in campo, spesso invocata a sostegno delle tesi palestinesi, e mostrano che, almeno nella guerra mediatica, il disequilibrio è tutto a sfavore d’Israele. Il primo punto riguarda la natura del lavoro giornalistico e delle fonti d’informazione. Nell’epoca dell’informazione immediata, ventiquattro ore su ventiquattro, i media devono scegliere se pubblicare subito una notizia, magari non verificata, o rischiare di essere battuti sul tempo dalla concorrenza. Non c’è tempo per un approfondimento o un controllo, e la pressione è resa ancor più insostenibile dai tanti tagli al personale operati da giornali e televisioni che attraversano un momento di forte crisi. Questo clima favorisce quei giornalisti che non mettono in dubbio le proprie fonti, anche quando si tratta d’informazioni provenienti da Hamas, e che non resistono alla tentazione di pubblicare immediatamente nuove immagini e notizie di morte e distruzione. Così, ad esempio, fonti palestinesi hanno potuto diffondere nel mondo la notizia che, durante l’offensiva su Gaza, dieci bambini erano stati uccisi da un raid israeliano mentre giocavano in un campo profughi. Quando, dopo lunghe verifiche, le più attente fonti dell’esercito israeliano hanno dichiarato che si era trattato invece di un missile difettoso di Hamas caduto all’interno della Striscia, era ormai troppo tardi: la notizia era già stata diffusa e i media erano già alla ricerca della prossima storia.

    A questa rapidità e spregiudicatezza nell’utilizzare la sete di notizie dei media, si aggiunge un secondo elemento che mina alla base l’attendibilità di quasi tutti i reportage provenienti dalla striscia di Gaza. È un segreto di Pulcinella che gli operatori dei media conoscono, ma che non rivelano quasi mai al proprio pubblico. Questo segreto è che Hamas, come ogni regime totalitario, mantiene un controllo totale sulle informazioni che escono dalla striscia, utilizzando intimidazioni e violenze per filtrare le notizie sfavorevoli. Solitamente i media sono restii a denunciare pubblicamente queste pressioni per il timore di troncare i rapporti con fonti importanti e soprattutto per paura di ritorsioni contro i propri corrispondenti e contro lo staff locale che continuerà a vivere e lavorare nella Striscia anche quando le acque si saranno calmate. Nel caso del conflitto di Gaza, qualcosa si è mosso. Alcuni giornalisti, una volta usciti da Gaza, hanno denunciato di aver subito minacce da parte di uomini di Hamas per aver filmato il lancio di razzi dalle vicinanze di edifici abitati da civili. Il Washington Post ha sfidato la censura per raccontare come i sotterranei dell’ospedale Shifa, il principale della città, siano stati trasformati nel quartier generale di Hamas. Un giornalista franco- palestinese, Radjaa Abou Dagga ha dichiarato al giornale Libération di essere stato arrestato, interrogato e infine espulso da Gaza. L’articolo che racconta la sua storia è stato poi rimosso dal quotidiano francese su richiesta dello stesso Dagga, che ha famiglia a Gaza. Anche la portavoce del Ministero dell’Informazione di Hamas, Isra al-Mudallal, ha inavvertitamente ammesso in un’intervista con la TV libanese al-Mayadeen che i militanti dell’organizzazione hanno tenuto “sotto sorveglianza” diversi giornalisti scomodi, deportandoli da Gaza o “convincendoli a cambiare il loro messaggio in un modo o in un altro”.

    Di fronte al moltiplicarsi di episodi simili, l’Associazione della stampa estera, che raccoglie i giornalisti stranieri che lavorano in Israele e nei territori palestinesi, ha protestato in un comunicato contro gli “evidenti, incessanti, violenti e inusuali” metodi messi in campo da Hamas contro la stampa. Israele, dove l’informazione è libera e non risparmia critiche ai governanti, non può competere con le pressioni e le manipolazioni messe in campo di Hamas. L’unica risposta possibile è spingere il mondo dell’informazione a denunciare la guerra silenziosa che a Gaza si combatte contro la libertà di stampa. Purtroppo, le proteste come quella della stampa estera sono ancora poche, e la maggior parte dei lettori e spettatori dei media internazionali rimane ancora all’oscuro del fatto che quella proveniente da Gaza sia un’informazione attentamente controllata, pilotata, se non in molti casi direttamente orchestrata, dagli esperti propagandisti di Hamas.

    (Fonte: Shalom, Settembre 2014)

    7 Ott 2014, 19:27 Rispondi|Quota