Hamas sempre più ricco, mentre la popolazione di Gaza muore di fame

 
Emanuel Baroz
14 novembre 2014
5 commenti

Quei nababbi di Hamas

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Nell’eterna lotta per il potere e l’accumulazione di ricchezze fra Al Fatah e Hamas, questi si aggiudica un prestigioso riconoscimento. Alle spalle dell’imprendibile Stato Islamico, che beneficia delle entrate derivanti dalla vendita di contrabbando di petrolio, nella classifica per ricchezza si colloca ora l’organizzazione terroristica che governa dal 2007 la Striscia di Gaza.

È il risultato di un rapporto realizzato da Forbes, che misura in 1 miliardo di dollari il patrimonio – mobiliare e immobiliare – ammassato da Hamas: soltanto la metà rispetto alla ricchezza netta detenuta dall’ISIS; con la differenza che questa beneficia delle entrate derivanti dalla vendita di petrolio, mentre Hamas ottiene fondi dagli stati che lo comprano, il petrolio.

La maggior parte delle entrate proviene infatti dalle donazioni internazionali, che puntualmente finiscono nelle tasche dei terroristi – così come fino a dieci anni fa gonfiavano i conti svizzeri della famiglia Arafat – e dal bilancio dell’UNRWA. Che non sputa nel piatto dove mangia, al punto da aver commissionato una eloquente vignetta, nella quale un israeliano intento ad arrendersi viene minacciato e presumibilmente ucciso da sgherri di Hamas. Non c’è pietà per nessuno: ne’ per chi combatte i terroristi, ne’ per chi li avversa. E meno male che si trattata della pagina Facebook degli insegnanti operanti nei territori palestinesi sotto le bandiere delle Nazioni Unite…

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Malgrado le perdite provocate dalla distruzione dei tunnel da parte dell’esercito egiziano – dai quali transitava un lucroso contrabbando – Hamas gode ancora di buone entrate: ogni anno i possessori di auto sono costretti a versare quasi 400 dollari all’organizzazione terroristica, e anche il carburante è “tassato” in analogo modo. Ma senza dubbio, gli oltre 5 miliardi di dollari che la comunità internazionale si è impegnata a versare, consentiranno agli odiati rivali di Abu Mazen di migliorare la propria posizione nel ranking dei nababbi del terrorismo internazionale.

Il Borghesino

Nella prima immagine in alto: la classifica stilata da Forbes sulle ricchezze delle organizzazioni terroriste

Nella seconda immagine in alto: la vignetta pubblicata sulla pagina Facebook della UNRWA

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  • #1Emanuel Baroz

    15 Nov 2014, 20:32 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Giochi di distruzione d’Israele per i bambini palestinesi

    di Franco Iacch

    La propaganda anti-israeliana nella Striscia di Gaza non ha limiti: appare nei libri di scuola, discorsi pubblici e programmi televisivi. L’ultimo esempio antisemita è un nuovo videogioco online dal titolo ‘Liberazione della Palestina’. In questo nuovo videogame, i giocatori devono “sbarazzarsi degli insediamenti israeliani, comprare armi ed attuare scambi di prigionieri”, così come spiegato nel quotidiano ufficiale di Hamas. Il gioco insegna ai giocatori che i negoziati “non possono mai portare ad alcun risultato positivo e che il linguaggio delle armi è il più efficace con gli israeliani”.

    Continuano le pubblicazioni a cura dei servizi segreti israeliani sul modus operandi di Hamas, organizzazione terroristica che come obiettivo ha la cancellazione dello Stato di Israele. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, mirati a screditare l’operato del governo in questione. Che Hamas sia un’organizzazione terroristica, non ci sono dubbi, considerando che è ritenuta tale anche dall’Unione Europea.

    Secondo i programmatori, il gioco ha lo scopo di “rafforzare nei cuori degli utenti, sopratutto bambini, il desiderio nazionale di liberare la Palestina”.
    Nel gioco è possibile acquistare un certo numero di armi tra cui lanciagranate, fucili d’assalto AK-47 e razzi. Una cintura esplosiva può essere acquistata per compiesere attacchi suicidi. Aggiornamenti e punteggi ottenuti vengono condivisi sui social.
    Commenti del tipo: “Venticinque insediamenti sionisti sono stati distrutti dall’utente X. Dio benedica il percorso che avete scelto” sono molto comuni sulla pagina Facebook del gioco.

    (Fonte: Difesa, 13 Novembre 2014)

    15 Nov 2014, 20:33 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Hamas va alla nuova intifada con i miliardi di Qatar e Iran

    Forte del più ricco budget di un gruppo terroristico dopo Isis riapre lo scontro con Israele e avvia la prossima guerra.

    di Fiamma Nirenstein

    GERUSALEMME – La simmetria dei due episodi di violenza di ieri in Israele disegna il peggiore degli incubi: la guerra di religione, peggiore del conflitto territoriale che forse, poi, alla fine, può presupporre una soluzione il cui logoro slogan è «due Stati per due popoli». Nella stessa giornata una moschea è stata data alle fiamme vicino a Ramallah, ad Al Maghir, un punto di continua frizione fra palestinesi e settler. Il sindaco sostiene che i coloni sono colpevoli dell’atto vandalico, e si rifà a un altro incendio, ad Aqraba, il 13 ottobre. Nella stessa notte una bottiglia molotov ha colpito le antiche mura della sinagoga a Shfaram, in Galilea. Il fuoco non ha causato danni gravi mentre ad Al Maghir fra il primo e il secondo piano si vedono pagine del Corano e suppellettili bruciate. Il danno più grave tuttavia lo testimonia il sindaco Faraj al Naassaneh, che è sicuro della colpevolezza dei membri di un gruppo fuori legge chiamato «Price tag», un nome che vuole indicare il prezzo del danno portato dal governo israeliano quando sgombera e distrugge gli insediamenti illegali, ma anche quello degli attacchi arabi alla popolazione israeliana. Se sono stati loro, si tratta di un gruppo di un centinaio di fanatici aggressivi e spesso razzisti, già bloccati e processati in alcuni casi. Molti dicono: non abbastanza. Il capo del consiglio regionale della Samaria Gershon Mesika però difende i settler : «Abbiamo già visto per la moschea che fu bruciata a Tuba-Zangariyye che proprio uno dei residenti arabi appiccò il fuoco per creare la provocazione». Mentre la polizia indaga, a Beit Safafa, un sobborgo arabo di Gerusalemme, sono apparsi graffiti antiarabi. Gli scontri non sono mai cessati dopo il giovane ucciso ad Al Arroub vicino all’incrocio di Gush Etzion, dove è stata pugnalata a morte due giorni fa una ragazza ebrea di 25 anni, mentre un soldato è stato ucciso a Tel Aviv.

    Domani, venerdì, la Moschea di Al Aqsa sarà di nuovo al centro dell’attenzione malata del Medio Oriente, ormai ubriacato dalla guerra di religione dell’Isis. La febbre si sente anche qui. Abu Mazen non osa tirarsi indietro adesso che il suo campo è tutto acceso all’idea che Israele voglia impossessarsi della Spianata delle Moschee, né condanna gli attentati di cui glorifica gli shahid. Nessuno getta acqua sul fuoco. Ha preso piede nei giorni scorsi il Movimento Islamico in Israele guidato dallo sceicco Raed Salah, che convoca raduni e emette comunicati, annuncia che «non sventoleremo la bandiera bianca e non abbandoneremo il dovere di proteggere la moschea di Al Aqsa». I terroristi vengono glorificati nei suoi discorsi come martiri ed eroi, proprio come fa Hamas. A Hamas, Salah sembra legato a doppio filo, ha gestito l’organizzazione «Gerusalemme per lo sviluppo» che raccoglieva denaro finché è stata chiusa in luglio come «fronte legale delle attività di Hamas». Ma certo non dei soldi di Salah Hamas ha bisogno. Un articolo su Israel Forbes documenta che, dopo l’Isis, che ha un budget annuale fra i due e i tre miliardi di dollari, Hamas è la seconda organizzazione terrorista per ricchezza, con un miliardo. Viene prima del Farc colombiano con 600 milioni, di Hezbollah con 500, dei talibani con 400, di Al Qaida con 150. Vengono dopo i pakistani Lashkar e-Taiba e Al Shabaab, poi l’Ira con 50 milioni e Boko Aram con 25. Sono dati che ci danno la dimensione della menzogna cui siamo quotidianamente sottoposti dalla propaganda sul volto pietoso e disperato di Gaza.

    Il denaro arriva dai fondi dei donor (fra cui anche l’Unione europea e gli Stati Uniti) che non si riesce a controllare, dal Qatar e dall’Iran e – secondo le fonti di Forbes – dai traffici illegali, compreso quello della droga. I donor , subito dopo la guerra, hanno promesso 4 miliardi di aiuti, ma dove andranno se non nelle tasche di Hamas? Se si guarda alla popolazione di Gaza, in stato di miseria e sofferenza, e si compara ai fondi di Forbes , si capisce dove finiscono i fondi per Gaza. Hamas sembra preferire spenderli in armi e terrore, o dirottarli nelle tasche dei leader che, secondo numerose fonti, possiedono ville, terreni, investimenti. Ismail Haniyeh, secondo l’egiziano Rose al Yusuf, ha pagato nel 2010 quattro milioni di dollari per un terreno sul mare registrato a nome della figlia. Il figlio fu fermato dagli egiziani al confine, carico di soldi in contanti da introdurre a Gaza. Forse glieli avevamo dati noi per coprire quelle famose fogne a cielo aperto, che invece restano là mentre Hamas prepara la prossima guerra.

    (Fonte: Il Giornale, 13 Novembre 2014)

    15 Nov 2014, 20:33 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    L’Isis supera Al Qaeda anche nel conto in banca. Sono i terroristi più ricchi

    Forbes: da petrolio e tasse due miliardi di dollari Hamas è secondo grazie a tunnel e fondi umanitari

    di Maurizio Molinari

    I forzieri del Califfo vantano il primato assoluto ma Hamas detiene una seconda, e ben solida, posizione davanti ai colombiani delle Fare assai meglio foraggiati di Al Qaeda nel post-Osama Bin Laden, carente di donazioni, mentre il fanalino di coda è Boko Haram, ancora alle prime armi in questo tipo di business: è la classifica dei gruppi terroristi più ricchi del Pianeta, stilata dal magazine «Forbes», edizione israeliana, sulla base delle inchieste condotte dai servizi di sicurezza di mezzo mondo. Ciò che ne esce è una inedita radiografia degli equilibri di forza fra le finanze del terrore.

    In vetta, irraggiungibile, c’è lo Stato Islamico (Isis) ovvero il Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi che, in un tempo record – meno di 24 mesi – ha creato una «formidabile macchina raccogli-denaro» come spiega Aymenn Jawad Al-Tamimi, arabista dell’Università di Oxford, sommando le donazioni private del Golfo all’imposizione di dazi sulle merci in transito nei territori conquistati ed alla vendita del greggio, che è la vera ragione di un primato davvero storico perché nessun gruppo terroristico ha mai avuto tanti soldi nelle casse. Per il ministero del Tesoro Usa l’estrazione di petrolio – soprattutto in Siria ma anche in Iraq – gli garantisce 1 milione di dollari al giorno ma Israele ritiene che si tratti del triplo grazie all’opera di un network di mediatori, posizionati in Turchia, abilissimi nel giocare al ribasso rispetto al mercato.

    La seconda posizione di Hamas nasce da un sofisticato sistema di tasse, dazi e tariffe che ha creato da quando, nel 2007, ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. Il miliardo di dollari che possiede è frutto dell’«Iva» che Hamas impone sul commercio nei tunnel sotterranei – chiusi dall’Egitto sono lo scorso luglio – e di una miriade di tasse che preleva dai residenti: dalle imposte sulle auto (366 dollari l’anno) ai versamenti richiesti a ristoranti, negozi, pescatori e qualsiasi altra attività commerciale. Hamas può inoltre contare su «fondi umanitari e delle ong» che, secondo «Forbes», riesce a stornare dai finanziamenti internazionali destinati ai civili. Anche le Fare colombiane devono il terzo posto – 600 milioni di dollari – alle tasse imposte alle popolazioni locali ma il grosso delle entrate viene da traffico di droga e rapimenti. Gli stupefacenti costituiscono gran parte dei proventi per Hezbollah libanesi, taleban afghani e Lash-e-Taiba pakistano, accomunati dal frequente ricorso a estorsioni e rapimenti. Solo sesto posto in classifica per Al Qaeda che, orfana di Bin Laden e sfidata da Isis, ha difficoltà a raccogliere donazioni private dal Golfo ed ha visto precipitare le entrate da imposte, visto che gli unici territori che controlla – in Siria con Al Nusra – sono ora sotto l’ombrello del Califfo. I somali di Al Shabaab si distinguono per i guadagni della pirateria nell’Oceano Indiano – che però è in brusco calo – mentre l’Ira nordirlandese, ancora legata agli ideali marxisti-leninisti, conta sui versamenti volontari dei militanti. In fondo alla classifica, i nigeriani di Boko Haram con «appena» 25 milioni di dollari ma l’impressione è che siano destinati a scalare le posizioni perché operano in Africa Occidentale su aree ricche di risorse, miniere d’oro incluse. Dunque hanno la possibilità di progettare un 2015 con un bilancio di chiusura decisamente migliore.

    (Fonte: La Stampa, 14 Novembre 2014)

    16 Nov 2014, 13:02 Rispondi|Quota
  • #5Frank

    Se pensiamo che quel mezzo mussulmano di Obama ha foraggiato ISIS 2 anni fa, c’é solo da rabbrividire.

    17 Nov 2014, 11:16 Rispondi|Quota