Parigi (Francia): l’obiettivo del terrorista era l’asilo ebraico

 
Emanuel Baroz
11 gennaio 2015
4 commenti

Parigi, i terroristi volevano una strage all’asilo ebraico

Uno dei prigionieri del terrorista al minimarket: ci ha detto che il suo obiettivo era colpire l’asilo

di Cesare Cartinetti

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Parigi – Alla fine dell’ufficio, al momento del kiddush, la benedizione del vino dello shabbat, tutti si stringono intorno ad Elie e gli chiedono di raccontare. Sanno che ha da dire una cosa terribile, più ancora di tutto quello che è successo in questi giorni a Parigi: Amedy Coulibaly, il killer di Porte de Vincennes, voleva fare una strage di bambini alla «maternelle» ebraica di rue Gabriel a Chatillon-Montrouge. Solo il caso l’ha fermato.

E come fa questo Elie O., ebreo di origine marocchina, a saperlo? Perché lui era uno dei sedici ostaggi dell’epicerie «Hyper cacher» dove Coulibaly, venerdì, a partire dalle 13 si è infilato bardato come se dovesse andare alla guerra. Un kalashnikov in mano, un altro a tracolla, almeno una pistola, un bel po’ di esplosivo. È entrato sparando e tre delle sue quattro vittime sono morte subito, l’altra poco dopo. Nelle interminabili quattro ore di assedio, prima di morire fulminato dalle teste di cuoio della gendarmiere, Elie ha scambiato qualche parola con lui: «Diceva che il giorno prima, giovedì mattina, avrebbe voluto sparare sui bambini della scuola ebraica di Montrouge». Perché? «Per vendicare quelli palestinesi uccisi a Gaza».

La poliziotta uccisa
Ma c’è stato un imprevisto: un piccolo incidente con l’auto proprio quando stava parcheggiando davanti alla scuola. La giovanissima poliziotta municipale di guardia alla materna, si è avvicinata e lui le ha sparato. Uccisa a freddo. Aveva 20 anni, era stata assunta da venti giorni come stagista. E così il giorno dopo Coulibaly si è diretto alla Porte de Vincennes. Obiettivo l’«Hyper cacher» perché «lì ci sono gli ebrei».

Tutto questo ce lo racconta Shlomo Malka, direttore della redazione de «l’Arche», la rivista del giudaismo francese, intellettuale, saggista, studioso del filosofo Emmanuel Levinas. Malka era ieri mattina alla sinagoga di avenue Versailles, nel sedicesimo arrondissement di Parigi, dove Elie ha fatto il suo racconto. Una delle non molte sinagoghe aperte: «Nemmeno dopo l’11 settembre, era forse dai tempi della guerra che non accadeva».

La tensione resta alta
Un’altra giornata di tensione, a Parigi. Allarme per le voci di colpi di pistola a mezzogiorno nella sinagoga del 19° arrondissement. Allarme per una bomba sul cours de Vincennes, quasi davanti all’«Hyper cacher» che anche da lontano appare un luogo carico dal peso della morte: le saracinesche bianche sconquassate e abbassate, un’area di terra di nessuno delimitata dalle transenne. Poliziotti ovunque. Una ventina di parabole e postazioni delle tv di tutto il mondo che stazionano davanti, come se dovesse risuccedere qualcosa.

E invece per fortuna non succede nulla, non c’era nessuna bomba, come non c’è stata nessuna sparatoria nel 19°. Un anziano abitante del quartiere – «non ebreo» – racconta che l’«Hyper cacher» era stato aperto da non molto, 3-4 anni, in questo angolo del 12° arrondissement detto di Saint-Mandé. Qui, ci dice il nostro abitante di questa zona apparentemente molto popolare, vivono da anni molti ebrei. «Ma non proprio qui, più in là, verso il bosco di Vincennes, dove le abitazioni costano care come nel centro di Parigi». E lei ci veniva a far la spesa nell’«Hyper cacher?». «No, perché non mettevano i cartellini con i prezzi sui prodotti. Ecco, io credo che non sia giusto questo, lo dice la legge, bisogna sapere quando si spende…».

Idee antisemite
Non vogliamo dare nessun valore statistico a questa chiacchierata casuale, ma in quattro parole questo pacifico francese che avrà settant’anni ha infilato due pregiudizi sugli ebrei: che sono ricchi e che truffano nel commercio. Shlomo Malka ci dice che nel numero appena uscito de «l’Arche» si trova un’indagine di Dominique Reynié, politologo di Sciences-Po, sulla società francese dove si legge che «le opinioni antisemite raggiungono un’alta intensità», sia pure in ambienti relativamente circoscritti e che i musulmani antisemiti hanno assorbito cliché dalla vecchia sottocultura francese, a cominciare dal fatto che gli ebrei sono ricchi e manipolano giornali e informazione.

Secondo Malka, questi tre killer che in tre giorni hanno ucciso 17 persone (e c’è anche qualche ferito grave) erano organizzati, non si sono mossi casualmente, a cominciare dal fatto che sono entrati in azione il giorno dell’uscita del romanzo «Soumission» di Michel Houellebecq, che viene ormai percepito come una traccia involontaria degli avvenimenti. «D’altra parte – dice Malka – vi si legge di una Parigi con i cadaveri per strada. Non è successo questo? E lunedì e martedì, resteranno chiuse molte scuole, anche la Maimonide di Boulogne-Billancourt, la più grande di Parigi. Sottomissione, appunto…».

Il viaggio di ritorno
Hanno paura gli ebrei di Parigi? «C’è molta inquietudine, non da adesso. Stamattina il “Figaro” titolava: è finita! Ecco, io ho paura che sia appena cominciata». Cresce il numero di quelli che fanno l’«aliyà» il viaggio di «ritorno» in Israele. «E anche questo c’è nel libro di Houellebecq, laddove una delle amanti del protagonista, Myriam, racconta che a lei piace vivere a Parigi, mangiare i formaggi, etc, ma i suoi genitori la obbligano a partire».

Oggi è la grande giornata della manifestazione. «Se escludono la Le Pen fanno un grande errore», dice Malka, non perché la pancia di quel partito sia cambiata, benché lei abbia tentato qualche approccio, ma perché «unità vuol dire unità». C’è stato chi ha proposto di diffondere lo slogan «je suis juif» accanto a quello «je suis Charlie Hebdo». Malka sorride amaro: «Sarebbe bello je suis Charlie juif… ma non si farà».

La Stampa.it

Nella foto in alto: il terrorista autore della strage antisemita nel supermercato kasher di Parigi e il momento della liberazione degli ostaggi dopo il blitz dei corpi speciali

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  • #1Emanuel Baroz

    Parigi. Tristezza e inquietudine nella comunità ebraica

    di Pino Salerno

    La comunità ebraica di Parigi ha vissuto in una tensione estrema la fine della caccia agli autori degli attentati commessi nella capitale mercoledì 7 e giovedì 8 gennaio. La morte degli ostaggi ebrei nell’ipermercato kosher in place de Vincennes, dove Amedy Coulibaly si era rifugiato, provoca nuovi traumi. Lo stesso Hollande ha parlato in televisione di “atto antisemita”, e così ha proseguito, “Dobbiamo dimostrare la nostra determinazione a lottare contro tutti coloro che vogliano dividerci, essere implacabili dinanzi al razzismo e all’antisemitismo”. Questo episodio sanguinoso si colloca in un’atmosfera già troppo esasperata tra gli ebrei di Francia. Gli attacchi antisemiti contro gli ebrei hanno avuto inizio con le battute acide dello pseudo umorista, noto antisemita di origini camerunensi, Dieudonné, sono continuate nel luglio 2014 contro le sinagoghe e con le scritte “morte agli ebrei” nel corso delle manifestazioni pro Gaza, e sono culminate nell’aggressione a una giovane coppia, lo scorso primo dicembre, nel sequestro di una famiglia ebraica, a scopo di rapina, “perché gli ebrei possiedono i soldi”, dicevano gli aggressori, e nella violenza sessuale di una delle figlie. Nel 2014, il numero di partenze per Israele è raddoppiato rispetto all’anno precedente. Con 7000 partenze, la Francia è diventata il primo paese per l’aliya, il nome che viene dagli ebrei alla emigrazione verso Israele.

    Tra le testimonianze raccolte dall’AFP, la France Press, quella di Haim Korsia, che afferma: “ancora una volta la minaccia che pesa sulla comunità ebraica è reale”, e quella di Roger Cukierman, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia: “la situazione diventa sempre più grave. Ho l’impressione che sia la guerra del jihad contro l’Occidente, che ha per obiettivi i giornalisti, la libertà di espressione e gli ebrei. Noi abbiamo vissuto le vicende di Merah, Nemmouche, oggi l’attacco al supermercato kosher, e tutto ciò deriva dagli stessi individui motivati da terrorismo”.

    Nella grande Sinagoga di Parigi, le porte sono rimaste chiuse, sabato, quando è giorno sacro per gli ebrei. Non accadeva dalla seconda guerra mondiale. Le reazioni della comunità ebraica sono racchiuse nelle parole raccolte dai giornalisti nelle immediate vicinanze della Sinagoga. “Non è che l’inizio”, afferma un commerciante, costretto a chiudere il proprio negozio. Un altro, con amarezza, sostiene che dal nazismo “nulla è cambiato, è sempre la stessa cosa”. Un giovane ebreo si confessa: “voglio partire per Israele, unico paese sicuro”. Uno studente di ingegneria ebreo si spinge oltre: “i terroristi fanno torto ai mussulmani. È terribile per loro, perché non possono farci nulla. È inevitabile che così vincerà l’estrema destra”.

    Marc Konczaty dirige il Movimento ebreo liberale di Francia. Per lui, “è soprattutto la Francia che è attaccata”. Allora, “occorre continuare a vivere, a essere fieri di ciò che siamo, della nostra democrazia”. È per questa ragione che, come tutti i rappresentanti della comunità ebraica, egli invita a manifestare domenica alla “Marcia dei repubblicani”, indetta dalla sinistra francese e raccolta da sindacati, associazioni, movimenti, e da tutti i partiti democratici, ad eccezione del Front National, non invitato e non gradito, proprio per le sue posizioni oltranziste e illiberali (il tweet sul ritorno alla ghigliottina di Marine Le Pen è stata l’ultima goccia).

    (Fonte: Jobsnews.it, 10 Gennaio 2015)

    11 Gen 2015, 21:37 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    La paura degli ebrei: noi il bersaglio, pronti a difenderci

    La polizia francese, temendo nuovi attentati, chiede di chiudere in anticipo i negozi e di evitare le preghiere nelle sinagoghe.

    di Davide Frattini

    SARDELLES – Solo le stelle di Davide e le menorah in ferro battuto distinguono la vecchia sinagoga da una fortezza sotto assedio. I poliziotti scendono dalle camionette e si preparano a un venerdì di preghiera che è diverso dagli altri in una cittadina a venti chilometri da Parigi che è diversa dalle altre. Qui i templi ebraici sono ventisette in pochi chilometri quadrati, la comunità conta 18 mila persone, la più grande fuori dalla capitale. Qui il 20 luglio, durante il conflitto tra Israele e Hamas, un corteo pro palestinese si è trasformato in guerriglia urbana, i fedeli asserragliati dentro, i muri bersagliati dalle molotov. Gli agenti in uniforme blu non sono gli unici a dispiegare il cordone di sicurezza. Meno appariscenti, in ordine sparso, arrivano i ragazzi del quartiere. Scrutano i preparativi da sotto i cappucci delle felpe nere, si salutano con un segnale, organizzano la difesa. Elle e Avi hanno vent’anni, c’erano anche l’estate scorsa, i caschi da motociclista in mano pronti per colpire i manifestanti, l’altro braccio agganciato a quello del compagno vicino per formare un cordone: andava fermata la marcia di quelli che urlavano «morte agli ebrei», mentre davano fuoco a una farmacia.

    Assieme ad altri 4-500 ragazzi fanno parte della Lega di difesa ebraica, un gruppo diffuso tra Sarcelles e Parigi, che il ministero degli Interni vorrebbe mettere al bando, ma che i negozianti della zona considerano lo sbarramento contro gli estremisti islamici e la sinistra radicale. Elle e Avi ripetono di non poter rivelare Il nome della loro organizzazione, ammettono di allenarsi nel Krav Maga, la tecnica di combattimento a mani nude studiata e adottata dall’esercito israeliano, dicono che tutte le loro azioni sono solo per difesa. Nessuno parla apertamente dell’organizzazione. Il proprietario del ristorante La Marina (pizza e sushi, sono kosher anche mangiati insieme) spiega che gli abitanti ebrei si aiutano a vicenda: «Tutti teniamo gli occhi aperti e segnaliamo un pacco sospetto o un’auto che non dovrebbe essere parcheggiata lì». Riconosce che a luglio «senza i ragazzi gli estremisti avrebbero bruciato tutto». Dice che i rapporti con i vicini, gli immigrati nord africani che vivono nei palazzoni attorno, sono buoni. Indica il caffè a fianco: «È di un turco, non abbiamo mai avuto problemi. Non possiamo abbassare la guardia, i manifestanti venivano da poco più lontano».

    I bar sono ormai vuoti, manca mezz’ora all’inizio di Shabbat, il giorno più sacro. I televisori restano accesi sulla diretta dal supermercato che vende cibo e prodotti ebraici, tutti sanno che sarebbe potuto succedere in questa cittadina che ha avuto come sindaco il socialista Dominique Strauss-Kahn, l’aspirante presidente travolto dallo scandalo sessuale.

    A Parigi, il prefetto ha chiesto di abbassare in anticipo le saracinesche dei negozi nel quartiere del Marais, abitato in maggioranza da ebrei, invita i rabbini a tenere chiuse le sinagoghe, secondo il Canale 2 della televisione israeliana per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale nel grande tempio della capitale non sono risuonati i salmi. A Gerusalemme il primo ministro Benjamin Netanyahu dà istruzioni al capo del Mossad perché i servizi segreti forniscano ai francesi tutta l’assistenza necessaria e siano pronti a intervenire.

    René Taleb – capo della comunità ebraica della Val-d’Olse, regione a nord della capitale – scende da un’auto con i vetri oscurati. È qui perché vuole che a Sarcelles il venerdì sotto scorta resti il più normale possibile. «Abbiamo alzato il livello di allarme – spiega – e contattato i presidi delle scuole ebraiche: siamo in grado di raggiungere tutti i genitori degli alunni nel giro di un’ora, se ce ne fosse bisogno». Non vuoI parlare della Lega di difesa, sa che è un argomento difficile per i politici francesi.

    L’estrema sinistra e qualcuno nel governo socialista considerano i giovani del gruppo pericolosi vigilantes, sono accusati di aver assaltato per le vie del Marais chi indossava la keffiah, il foulard bianco e nero simbolo della lotta palestinese, preoccupa il loro odio contro gli arabi. L’organizzazione racconta uno dei fondatori al quotidiano americano New. York Times, si fa chiamare solo Eliahou – non ha fiducia nella protezione offerta dalla polizia. Ex agente lui stesso, precisa che le operazioni sono concentrate nell’individuare e pedinare gli estremisti islamici attraverso una rete di informatori per poi avvisare gli investigatori ufficiali. Ammette di essere pronto «a rispondere alla violenza antisemita con la violenza»: «Preferisco essere un ebreo cattivo che un ebreo morto». Nel frattempo, 7.000 suoi correligionari, solo nel 2014. sono emigrati in Israele: un record.

    (Fonte: Corriere della Sera, 10 Gennaio 2015)

    11 Gen 2015, 21:39 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Così la Francia si è scoperta Israele

    Come è potuto accadere che personaggi legati alla jihad islamica, che si conoscevano, che il giorno avanti avevano già ucciso, abbiano subito colpito di nuovo?

    di Fiamma Nierenstein

    Cade la neve su Gerusalemme. Silenzio. Bianco. C’è un attimo di silenzio totale nell’istante subito dopo le esplosioni, è una beffa che dura un istante prima delle urla dei feriti e delle sirene delle ambulanze e della polizia.

    Ne abbiamo visto fino a contare circa duemila morti. Adesso mentre qui è bianco, il silenzio è amico, si parla in casa di piccole cose (riscaldamento, elettricità) e il paradosso è enorme: la gente guarda fissa la tv perchè il terrore si è rovesciato su Parigi. Guarda con ansia particolare, partecipata, quelle scene purtroppo familiari se non si svolgessero tanto lontano: Israele soffre con Parigi e in diretta su tutti i canali, Netanyahu chiede se può mandare aiuto, con un ghigno di soddisfazione l’estremismo islamico che qui è sgradito compagno di strada adesso ha ridotto in ginocchio la Francia. Com’è possibile che accada a una città protetta dalla sua infinita bellezza e dalla sua storia, che fino ad oggi ha creduto di non potere umanamente essere messa in discussione? A differenza di Parigi, Gerusalemme ha sempre saputo di avere tanti nemici: le forze di polizia, l’esercito, il loro training, la noiosa procedura che fruga i cittadini ad ogni ingresso di un luogo pubblico, l’osservanza delle norme di sicurezza per cui ogni pacco abbandonato è in potenza una bomba, l’eroismo personale dimostrato dai guidatori di autobus come dai camerieri e dai commessi… insomma lo scudo di difesa di questo Paese ha fornito una certa grinta ai cittadini, non hanno dubbi che sconfiggeranno il nemico nonostante la nuova era dei «lupi solitari».

    Israele l’ha detto e ripetuto, ed ora è vero: se non si combatte il terrore, si moltiplicherà in tutto il mondo. Parigi è stata colta alla sprovvista, un po’ non sapeva, un po’ non ha voluto sapere, i segnali e gli indizi c’erano: ma la guerra terrorista ha mostrato le zanne ancora di più di quanto non avesse già fatto nei pure immensi attentati di Madrid e di Londra. L’altissimo simbolismo degli obiettivi, un giornale che osava dire quello che pensava e un supermarket casher, frequentato solo dalla comunità ebraica, assalito di venerdì sera quando le famiglie fanno gli acquisti per il santo Sabato, dice ai francesi per primi, che a seconda dello sviluppo del folle piano degli islamisti ciascuno può diventare carne da macello, una pietra miliare sulla strada del Califatto mondiale.

    Parigi ieri si è chiusa in casa: le strade di tradizione ebraica, il Marais, Rue de Rosiers, sono state chiuse dalla polizia ai turisti e al passaggio degli abitanti; intorno alla Porte de Vincennes, quartiere del supermercato Hypercosher non si vedeva un’anima. La città ha respirato quando si è saputo che tutti i prigionieri erano stati liberati e tutti i rapitori, in ambedue gli attentati terroristi uccisi; ma il risultato non convince, resta la paura di che cosa accadrà la prossima volta, quattro morti innocenti dopo i dodici di mercoledì sono tanti, possono essere qualsiasi compratore al super. Come è potuto accadere che personaggi legati alla jihad islamica, che si conoscevano, che il giorno avanti avevano già ucciso, abbiano subito colpito di nuovo, come hanno potuto tenere in pugno una capitale del mondo… La città ha cominciato a segnalare bombe al Trocadero, alla Tour Eiffel, la polizia ha messo transenne ovunque, varie scuole sono state chiuse, le istituzioni ebraiche sono state piantonate tutte. Non vale molto che la maggior parte delle strade fosse sorvegliata da parte di quegli 88mila uomini delle forze dell’ordine che lo Stato ha sfoderato. Altri quattro innocenti sono stati massacrati subito il giorno dopo Charlie Hebdo, la gente se lo ripete e sente che può capitare ancora, e sente che mancano le armi in questa guerra senza soluzione in vista. Chiese, stazioni, sinagoghe, treni. Tutto può essere il prossimo obiettivo, ma in particolare, gli ebrei sono attaccati dai musulmani estremisti, uno ad uno. Per loro, camminare per strada da tempo significa botte e insulti nella loro città, a Parigi. La comunità terrorizzata è perseguitata ormai da anni dagli attacchi dei musulmani estremisti che odiano e condannano a morte i «sionisti»: la prima orribile vicenda fu quella di Ilan Halimi, un ragazzo rapito, torturato per giorni al ritmo dei versi del Corano, gettato in fin di vita in una discarica. La polizia si rifiutò di esplorare la pista antisemita, che pure la madre di Halimi le indicava con sicurezza. Così Halimi è morto, e lo hanno seguito i bambini della scuola di Tolosa, uccisi da un jihadista francese.

    (Fonte: Il Giornale, 10 Gennaio 2015)

    11 Gen 2015, 21:41 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    Le vittime ebree. Così Yohan tentò di fermare il terrorista Assassinato con Yoav, François, Philipp

    di Davide Frattini

    La donna porta una candela, s’inginocchia verso il marciapiede dove altri hanno lasciato le loro. «Verranno accese insieme più tardi?» chiede a un uomo con la kippah di velluto nero sulla testa. La sua esitazione è rispetto, il dubbio di dover attendere la fine dello Shabbat prima di illuminare con le fiammelle l’asfalto bagnato dalla pioggia. Stephanie lascia quattro rose gialle. «Non siamo parte della comunità — dice il fidanzato Diego — ci sentiamo molto vicini agli ebrei». Come l’anonimo che ha scritto “io sono Charlie», “io sono poliziotto», “io sono ebreo» sul foglio A4 bianco appiccicato al muro.

    Le vetrine blu scuro del supermercato Hyper Cacher non aiutano più Amedy Coulibaly a nascondere i movimenti ai cecchini della polizia. II terrorista deve averlo scelto perché da fuori sembra un cubo compatto ben difendibile, il terrorista lo ha scelto perché la grande scritta all’ingresso — dopo la sparatoria l’H ricade sghemba — non lascia dubbi: la maggior parte dei clienti sono ebrei, il bersaglio dell’operazione come ha rivelato in una telefonata all’emittente Bfmty durante l’assedio. II presidente François Hollande lo ha definito «un orribile attacco antisemita» ancora prima che i quattro morti venissero identificati, ancora prima che fosse chiaro: sono tutti ebrei.

    Yoav Hattab, 21 anni, originario di Djerba, figlio del rabbino capo di Tunisi, si era trasferito nel quartiere parigino vicino alla Porte de Vincennes. II fratello racconta che ogni venerdì andava al supermercato perché offriva corsi di cucina ebraica.

    Yohan Cohen, 22 anni, è l’ostaggio che secondo gli altri sequestrati ha cercato di fermare Coulibaly appena è entrato nel negozio, gli avrebbe preso una delle armi, non è riuscito a sparare: ucciso con una colpo alla testa.

    François-Michel Saada aveva una sessantina d’anni, Philippe Braham, 40.

    Il governo di Benjamin Netanyahu sta pensando di portare le salme in Israele per celebrare i funerali di Stato. Il premier parla alla nazione in diretta televisiva, da Gerusalemme si rivolge agli ebrei francesi: «Ricordatevi che Israele non è soltanto il luogo dove tornate per pregare, è la vostra casa, emigrate, siete i benvenuti».

    Quando nel 2004 Ariel Sharon da primo ministro aveva lanciato un appello simile a «fuggire dall’antisemitismo selvaggio», l’allora presidente francese Jacques Chirac aveva chiesto spiegazioni e dichiarato una sua visita ufficiale a Parigi «non gradita».

    Hacene Chalgoumi, imam della moschea di Drancy, arriva tra gli applausi con un mazzo di fiori. La folla urla: «Tutti insieme». I ragazzi con la kippah proclamano «non ce ne andremo». È quello che ripete Roger Cukiennan — presidente del Crif, riunisce le istituzioni ebraiche di Francia — alla manifestazione organizzata per la fine di Shabbat, il giorno più sacro: «Nessun fanatismo ci farà rinunciare a vivere apertamente la nostra religione, nessuna violenza ci impedirà di andare a pregare».

    Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale i salmi non sono risuonati nella Grande sinagoga di Parigi. Quella del quartiere sta in una via tranquilla, a trecento metri dal supermercato della strage. Le auto della polizia bloccano l’accesso, i residenti segnalano agli agenti le facce che non riconoscono, una donna indica un nordafricano: viene fermato, gli chiedono i documenti. «Abbiamo paura, siamo lepri, prede per la caccia», urlano gli abitanti al premier Manuel Valls, venuto in visita con altri ministri del governo. L’emozione di sentirsi francesi è più forte della protesta, la folla intona la Marsigliese, l’inno nazionale.

    Gli ebrei di Parigi hanno paura anche perché i testimoni raccontano che il vero obiettivo di Coulibaly sarebbe stata una scuola. Giovedì mattina attraversa Montrouge in auto, un incidente lo rallenta, scende e spara alla vigilessa Clarissa Jean-Philippe, mira al collo, il giubbotto antiproiettile non la può proteggere. Ancora 100 metri, la svolta a destra al semaforo e avrebbe raggiunto l’istituto ebraico e la sinagoga della zona, sul cui muro sono iscritti i nomi dei sessanta deportati dai nazisti. II giorno dopo decide di assaltare il supermercato, prende quasi 15 ostaggi, ne uccide 4, viene fermato dall’irruzione delle forze speciali che lo ammazzano.

    (Fonte: Il Corriere della Sera, 11 Gennaio 2015)

    11 Gen 2015, 21:52 Rispondi|Quota