L’impresentabile Tavecchio e quelle “battute” sugli ebrei

 
Emanuel Baroz
3 novembre 2015
1 commento

Tavecchio (ma non solo) e le crudeli «battute» sugli ebrei

di Paolo Mieli

tavecchio-ebrei-gay-insulti-focus-on-israelDue mesi fa, Sajid Javid, ministro britannico delle Attività produttive, si è detto testimone del fatto che ad alcune cene nei quartieri benestanti di Londra prendono parte «persone rispettabili della classe media che avrebbero un sussulto di orrore se fossero accusate di razzismo ma in quelle occasioni sono assai felici di ripetere calunnie sugli ebrei». Chissà se in qualcuno di quei convivi Javid ha incontrato il presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, Carlo Tavecchio.

Più probabile che le «battute» sull’«ebreaccio» Cesare Anticoli e sugli israeliti che «è meglio tenere a bada» come, a suo dire, avrebbe suggerito Umberto Eco (questa poi è, se possibile, ancora più stravagante) le abbia riservate per il direttore di Soccerlife Massimiliano Giacomini. Un’esclusiva per noi italiani, insomma. Come anche le sue parole sui gay: «Io non ho nulla contro, però teneteli lontano da me; io sono normalissimo».

Non ci fossero state le sue precedenti sortite sui neri «mangiabanane» e sulle donne che «fino a qualche tempo fa si riteneva fossero handicappate», avremmo potuto pensare a un, pur gravissimo, incidente. Ma adesso siamo costretti a constatare che c’è del metodo in Carlo Tavecchio. Un metodo reso ancora più evidente dalle successive espressioni di rammarico: «È un ricatto», «Ho ottimi rapporti con la comunità ebraica», «Ho sostenuto la posizione di Israele nell’ultimo congresso della Fifa».

Manca solo quel che comunemente si sente ripetere in circostanze del genere: la mia famiglia fu contraria alle leggi razziste del 1938, abbiamo dato riparo a degli ebrei all’epoca delle persecuzioni naziste, il mio migliore amico degli anni di gioventù portava orgoglioso la kippah. Povero Tavecchio, ad ogni evidenza non sa quel che dice. E che sia giunto per lui il tempo di ritirarsi a vita privata, lo si è capito allorché dal Parlamento è scattato in sua difesa l’onorevole Carlo Giovanardi che da anni si distingue nel pervicace patrocinio delle cause più stravaganti. Il parlamentare ha dichiarato che contro il dirigente sportivo si sarebbe messa in movimento una «polizia dei costumi» intenzionata a procedere al suo «linciaggio». Ha poi rimarcato che in difesa di Tavecchio si sarebbero schierati l’ambasciatore di Israele Naor Gilon e Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia, laddove i due si sono limitati a ricordare che Tavecchio si era opposto a una mozione palestinese per l’esclusione delle squadre israeliane dalle competizioni calcistiche. «Sul resto – ha precisato Gilon – non entro nel merito». Non sembra una gran difesa. Cosicché anche di Giovanardi si può dire che non misura alla perfezione le parole che pronuncia.

A questo punto però la cosa più sciocca sarebbe quella di pensare che quello del capo della Federcalcio sia un caso isolato e chiuderla qui. Pochi giorni fa sono state pubblicate alcune intercettazioni in margine alla vicenda dell’Ospedale israelitico di Roma, una truffa sui rimborsi per la quale la Regione Lazio intende adesso recuperare otto milioni di euro (chiede cioè la «restituzione» di un milione per ogni anno di spese fuori controllo, dal 2006 al 2013) e che ha portato all’arresto dell’ex direttore Antonio Mastrapasqua. Tramite una sua collaboratrice, Mastrapasqua cercava di convincere il recalcitrante Riccardo Pacifici (all’epoca presidente della comunità ebraica romana) che la richiesta di chiarimenti su quei rimborsi era frutto di un complotto dei fedayn. Con l’insinuazione che la dirigente della Regione che chiedeva lumi, Flori Degrassi, fosse «non filopalestinese, ma proprio Hamas al cento per cento». In altre parole una devota non già di Abu Mazen, bensì di Khaled Meshaal. C’è da domandarsi: e anche se fosse? Che c’entra con la richiesta di informazioni su conti che non tornano? Ma non è tutto. Dal momento che la comunità ebraica non intendeva accogliere la richiesta di dichiarare una sua supplementare guerra a Meshaal per interposta Degrassi, i dirigenti dell’Israelitico decidevano di passare a una sollecitazione ancor più impegnativa. In un colloquio tra il primario di geriatria, Stefano Zuccaro, e il direttore sanitario dell’Israelitico Luigi Spinelli, i due provano ad alzare la posta: «La questione è politica e la comunità deve mettere sul piatto della bilancia la Shoah», suggerisce il primo; «Sì, sì, devono comincia’ a fa’ i piagnoni come sanno fare benissimo», concorda il secondo.

Colpiscono varie cose in questo mini dibattito tra i dirigenti del nosocomio che, ne siamo sicuri, in più di un’occasione si saranno dichiarati grandi amici del popolo ebraico. In primo luogo, come è evidente, la noncuranza con cui si prova a toccare il nervo sensibile della tensione tra Israele e i palestinesi nell’assai modesto intento di evitare i controlli della Regione sulle loro spese. Una sproporzione destinata ad aumentare a dismisura quando si alza l’asticella fino alla Shoah. Potevano davvero pensare questi signori che rappresentanti ufficiali della comunità ebraica avrebbero potuto «fa’ i piagnoni» sul più grande, incommensurabile dramma del Novecento al fine di evitare accertamenti sulle loro attività? Che considerazione hanno degli appartenenti al mondo che li aveva voluti a quel posto? È questo il punto. Dal momento che può darsi che nei processi Mastrapasqua e i suoi amici vengano assolti o in qualche modo se la cavino riuscendo a dimostrare l’assenza di dolo in materia di conti maggiorati. Ma quelle loro parole contengono un tasso di cinismo e di crudeltà che in un Paese civile non dovrebbe essere lasciato passare sotto silenzio. È quello che viene fuori dalle cene londinesi denunciate dal ministro Javid. È ciò che si intravede sullo sfondo delle «battute» di Tavecchio. E che prende un’orribile consistenza nelle parole dei sodali di Mastrapasqua. Anche se questi ultimi godranno di minori luci della ribalta dal momento che in loro difesa, almeno per il momento, non ha ritenuto di pronunciarsi l’onorevole Giovanardi.

Corriere.it

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  • #1Emanuel Baroz

    Caso Tavecchio, il fortino blindato del calcio e quel potere senza limiti

    Le regole che proteggono l’autonomia dello sport anche dall’azione politica. Solo i (tanti) nemici interni potrebbero far vacillare il presidente federale

    di Andrea Arzilli

    «Ingerenza indebita del governo»: qualche giorno fa con queste parole il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) ha sospeso il Comitato Nazionale del Kuwait per colpa di un visto non rilasciato dal governo dello stato arabo a un delegato tecnico israeliano.

    È un specie di «cartellino giallo» che potrebbe portare all’esclusione del Kuwait dai Giochi Olimpici di Rio 2016 e che poi ha indotto anche la Fifa a procedere verso la stessa disposizione. La faccenda costituisce il precedente più fresco e consente di capire il perché Matteo Renzi possa, sì, operare una moral suasion, però non intervenire nel (nuovo) «Tavecchio-gate» esploso per le frasi contro omosessuali ed ebrei.

    Perché il muro è la Carta Olimpica. Il premier ci si scontrò anche in occasione delle uscite su «Optì Pobà» e sulle donne del calcio «handicappate», ma la regola 27 non ammette interpretazioni e la Fifa si muove sugli stessi cardini: ciascun Comitato olimpico nazionale può collaborare con organismi governativi, ma è tenuto a preservare l’autonomia e l’indipendenza, nonché a resistere a tutte le pressioni, siano politiche, giuridiche, religiose o economiche che gli si muovono intorno.
    È chiaro che, con in ballo la candidatura di Roma ai Giochi del 2024, qualsiasi forzatura rischi di essere molto rischiosa e pure controproducente visto il lavoro di promozione portato avanti di recente a Washington da Giovanni Malagò e Luca Cordero di Montezemolo, rispettivamente presidenti del Coni e del comitato promotore delle Olimpiadi romane.

    È lo sport che deve occuparsi dello sport, insomma. E questo, di fatto, ha generato un mondo parallelo, una sorta di governo sportivo trasversale e talvolta più potente di quelli centrali, un potere politico collegato a un dominio economico che attiva vere e proprie guerre tra e dentro le singole federazioni e che spesso produce effetti sulla politica. Certamente non il contrario. Così non sorprende che lo scranno occupato da Tavecchio faccia gola a tanti, probabilmente l’uscita della nuova gaffe del presidente è il segnale di apertura della battaglia che vedrà il suo epilogo nel gennaio del 2017, con l’election-day che definirà l’assetto della Federcalcio.
    E, gaffe o non gaffe, Tavecchio si ricandiderà, lo ha annunciato di recente forse confidando di riuscire a rinforzare il legame con Malagò, oggi più sfilacciato per l’ennesima uscita a sproposito. In queste ore Tavecchio si sta confrontando con i propri legali per capire i margini di manovra nel ridimensionare quello che lui ha definito «un ricatto». È convinto che ci sia una «gola profonda» che fornisce all’«opposizione politica» in seno alla Federcalcio gli elementi che potrebbero sabotare la sua nuova corsa elettorale. Ha disposto un’indagine interna.

    Di certo, in quindici mesi di reggenza il numero dei suoi detrattori è sensibilmente aumentato, di pari passo con le difficoltà nella gestione della macchina federale. Ci sono i vecchi vertici della Figc e un tempo amici di Tavecchio, Giancarlo Abete e Antonello Valentini, ex presidente ed ex direttore generale di via Allegri; dichiaratamente contro c’è Francesco Ghirelli, ex segretario nella Figc di Carraro ai tempi di Calciopoli, che con Gabriele Gravina ha prima guidato la rivolta dell’ex serie C e che oggi pianifica le elezioni in Legapro del 22 dicembre, cioè una delle discriminanti politiche perché definirà l’assetto di uno dei grandi elettori di Tavecchio.

    Poi ci sono pure i «falchi» esterni, provenienti dall’area politica di centrosinistra, che nei momenti importanti – come in occasione della corsa elettorale di Demetrio Albertini – si confrontano con l’Associazione calciatori di Damiano Tommasi e con l’Associazione allenatori guidata da Renzo Ulivieri.
    È un intreccio di interessi e di strategie che alimenta veleni e polemiche: era una guerra fredda, entro breve sarà incandescente.

    http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_03/caso-tavecchio-fortino-blindato-calcio-quel-potere-senza-limiti-b8b3acb0-81f5-11e5-aea2-6c39fc84b136.shtml

    3 Nov 2015, 11:14 Rispondi|Quota