Valico di Kerem Shalom: dove Israele cerca di fermare il contrabbando di Hamas senza causare danni alla popolazione palestinese

 
Emanuel Baroz
11 febbraio 2016
2 commenti

Sul valico di Kerem

Hamas cerca di far passare materiale di contrabbando, “è un duello di cervelli, i loro e i nostri”. Il capo della sicurezza ci spiega, contando i Tir, il paradosso del triangolo Israele-Gaza-Egitto.

di Daniele Ranieri

Kerem-Shalom-valico-hamas-gaza-focus-on-israelKerem Shalom (Israele) – “A volte faccio così“: Ami Shaked fa il gesto di intingere il pollice e se lo passa sulla lingua, per mostrare come a volte scopre che quello che ha davanti è il carburante speciale che Hamas usa per i razzi e non carburante normale. “Assaggiandolo“.

Coda di cavallo, berretto da baseball, maniche della giacca di pile tirate su, è il capo israeliano della sicurezza a Kerem Shalom, 900 Tir al giorno, un intrico di barriere di cemento e reticolati, l’unico valico attraverso cui le merci passano dal mondo esterno alla Striscia di Gaza – eccetto quelle che transitano attraverso i tunnel segreti sotto il confine egiziano, che però sono stati quasi tutti distrutti. Nel 2014 i suoi uomini hanno controllato 64 mila Tir e ne hanno bloccati 250 – arrestando i guidatori – perché contrabbandavano carichi pericolosi verso Hamas. Nel 2015 hanno controllato 153 mila Tir e ne hanno bloccati 754. “Il nostro primo criterio è: non interferire con la gente – dice Shaked – noi vediamo la differenza tra la popolazione palestinese e Hamas che controlla loro e il territorio. Personalmente, sono convinto che se oggi ci fossero di nuovo le elezioni, Hamas perderebbe a Gaza, perché qui ormai li hanno sperimentati, e che invece vincerebbe in Cisgiordania, dove non hanno ancora assaggiato il loro governo“. Torna ai numeri del checkpoint: “Poche centinaia di Tir bloccati su più di 150 mila. Non fa alcuna differenza per la gente che sta dentro la Striscia di Gaza, ma fa la differenza per noi, perché intercettiamo il materiale pericoloso prima che finisca ad Hamas“. Materiale pericoloso tipo? “A volte dipende dall’utilizzatore finale. L’acqua ossigenata può essere usata per farsi i capelli biondi o per fare esplosivi, dipende da chi l’acquista“.

Ami Shaked continua con la sua spiegazione: “Noi sappiamo cosa va a finire a chi dentro Gaza, perché abbiamo le nostre informazioni, e decidiamo di conseguenza. Quando scopriamo che uno dei compratori poi vende sottobanco a Hamas, entra anche lui nella lista di chi non può più acquistare“. Come fanno a far passare materiale di contrabbando? “E’ un duello di cervelli, i loro e i nostri. Ogni giorno sappiamo che proveranno a fare qualcosa di nuovo per non farsi scoprire. A volte il carburante che poi è usato per caricare i razzi è contenuto dentro latte di vernice, o all’interno di sacchi di cemento“. E qual è la percentuale di carichi pericolosi che sfugge al controllo? “E’ la domanda che mi tiene sveglio la notte“.

I Tir israeliani entrano dentro un piazzale di cemento e scaricano le merci – guardiamo la bolla di un grosso carico avvolto nella plastica verde, tessile italiano – poi arrivano i guidatori palestinesi, che caricano tutto il materiale su altri Tir e lo portano a un altro punto di sosta, questo fuori dalla visuale, a due chilometri di distanza. Lì Hamas controlla le merci in arrivo, prende le sue e impone una tassa d’ingresso. Ci sono anche Tir palestinesi che esportano merci in uscita, frutta, fiori e verdure, quindi fuori da Gaza e verso Giordania e Cisgiordania, sono cinquanta al giorno e però passano attraverso un controllo totale in un piazzale cui la stampa non ha accesso. “Gaza ha bisogno di trecento Tir in entrata al giorno per funzionare, merci comuni e cibo. Poi di altri trecento Tir al giorno per lavorare, per esempio materiale edile per costruire. A questi vanno aggiunti almeno altri duecentocinquanta Tir al giorno extra, aggiuntivi, per le ricostruzioni dopo la guerra del 2014“.

Shaker spiega con i Tir il grande paradosso del triangolo Gaza-Egitto-Israele. Hamas e Israele non si parlano e sono in guerra, ma c’è bisogno di collaborazione tacita perché nella Striscia vivono un milione e ottocento mila palestinesi. Il Cairo non è in guerra con Hamas, ma ha una posizione politica molto più dura. Fino all’ottobre 2013 “passavano 300 Tir da noi e 300 dalla parte egiziana, poi il loro presidente (Abdul Fattah al Sisi) ha chiuso del tutto il confine. Non passa più nulla, passa tutto da noi. Gli egiziani stanno distruggendo anche i tunnel – indica su una mappa alla parete la riva del mare molto vicina – hanno scavato un canale che taglia in parallelo il confine per allagare i tunnel con l’acqua salata“. Secondo una fonte militare israeliana, sono i droni israeliani a segnalare agli egiziani l’ingresso dei tunnel.

Il Foglio.it

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  • #1Emanuel Baroz

    Vivere nel moshav col cuore in gola. Gli occhi sul rifugio anti-razzi

    Al confine tra Israele e Gaza, dove passano 850 camion al giorno: «Li controlliamo tutti». «Qui viviamo nella continua paura di un attacco, giorno e notte»

    di Maurizio Caprara

    Non ha un codino, i suoi capelli brizzolati e lunghi sono raccolti sul collo in una robusta coda di cavallo. Se domandassero quale mestiere fa, verrebbe da rispondere chitarrista in un complesso rock della terza età. Invece Ami Shaked, israeliano, età «56 anni, ma è come se ne avessi vissuti cento, sono stato ferito tre volte e so di stare dalla parte giusta», fa un lavoro un po’ più stressante e un po’ più delicato: direttore del valico meridionale tra Israele e la Striscia di Gaza, quello di Kerem Shalom. E’ un passaggio riservato alle merci. In questo periodo 850 camion al giorno, la principale iniezione di energie e prodotti dall’esterno per il pezzo di terra vicino all’Egitto abitato da un milione e 800mila palestinesi, oltre il 60% al di sotto dei 24 anni, disoccupazione sopra il 40%. Un posto con una delle più alte densità di popolazione del pianeta, base di partenza per ricorrenti lanci di razzi e colpi di mortaio diretti contro villaggi e cittadine israeliani vicini, a sua volta bersaglio periodico di reazioni israeliane con artiglieria e aviazione.

    I controlli
    Il direttore si presenta così: «Mi scuso per il ritardo, vengo da un controllo: materia grezza che potrebbe essere usata come propellente per missili».
    Come fate a scoprirla tra i carichi che passano di qui?
    «Abbiamo scanner, diversi strumenti. Poi ho la mia bocca. La assaggio. In genere i materiali che possono essere impiegati per attacchi a Israele si trovano dentro contenitori impensabili o sono presentati come altro materiale. È una lotta tra il cervello di chi li ha nascosti e il mio che deve capire dove stanno», spiega Shaked. Disincantato. Essenziale. Riferisce che nel 2014 su 49 mila camion con materiale per Gaza ne sono stati individuati 250 con carichi vietati o sospetti. L’anno scorso, su 153 mila autocarri, quelli bloccati allo stesso modo sono stati 754. «Io e il personale che lavora con me ci sentiamo l’ultima fermata prima di Gaza. Il lavoro per scoprire i carichi rischiosi per la sicurezza cominciano nei porti, lontano da qui, con intelligence altrove», racconta Shaked.
    Poi?
    «Tocca a noi. Alcuni materiali che possono servire a impiegare esplosivi o a realizzare missili rientrano in filiere per la produzione di plastica o per l’agricoltura. Vale anche per l’acqua ossigenata».
    Acqua ossigenata?
    «Può servire per imbiondire capelli, ma anche per scopi di tipo offensivo. Di materiali dal doppio uso (civile e militare, ndr) permettiamo la fornitura a persone di Gaza, tuttavia non ad Hamas», sottolinea riferendosi all’organizzazione fondamentalista islamica che ha nella Striscia un potere assoluto conquistato quasi dieci anni fa con un golpe successivo a una vittoria elettorale. «Se viene usato per qualcosa di diverso dagli usi previsti lo veniamo a sapere», continua il direttore del valico.
    Come fate a capire che chi riceve quel materiale da voi non lo darà ad Hamas?
    «Glielo può dare. Però lo vengo a sapere», è la risposta, tanto allusiva quanto chiara nel riferirsi alla capacità di Israele di ricevere informazioni da dentro Gaza.
    Catturate chi agisce così?
    «No, gli impediamo di poter lavorare con merci di passaggio per qui».

    Il percorso
    Per superare il confine cataste di merci attraversano un percorso a compartimenti stagni. A Kerem Shalom le partite di materiali provenienti da Israele vengono scaricate in un piazzale di decantazione, delimitato da mura di cemento armato alte una decina di metri. Uomini con mitra in mano sorvegliano. Balle di coperte provenienti dall’Italia, partite di cemento israeliano, liquidi in barili, cibi e prodotti vari vengono lasciati sull’asfalto da camion israeliani. L’ingresso del piazzale verso Gaza resta chiuso, poi viene aperto affinché autocarri palestinesi entrino per prelevare le merci dopo che i mezzi israeliani sono già usciti per tornare indietro. Sottratta nel 2013 con un colpo di Stato la guida dell’Egitto ai Fratelli musulmani, il generale Abd al Fatah al Sisi ha chiuso a Rafah il valico del suo Paese con Gaza. Adesso viene aperto una settimana l’anno. L’attuale presidente al Sisi ha fatto inondare molti dei tunnel clandestini scavati da Hamas e dai contrabbandieri per far entrare nella Striscia dal territorio egiziano armi e merci del mercato nero. Novità grande, non però completamente risolutiva. Un ventisettenne di Gaza, ha informato Hamas, è morto nei giorni scorsi nel crollo di un tunnel del quale non è stata rivelata la posizione.

    Nel moshav
    Nel container-ufficio di Shaked uno schermo mostra in diretta camion palestinesi in un altro lato della Striscia. «Ecco: scavano ancora gallerie», dice il direttore del valico indicando negli autocarri i mezzi che trasportano la terra e le attrezzature. Se innanzitutto cielo e sottosuolo restano ad Hamas per sabotare ogni tentativo di far maturare una pace, è il caso di guardare a come si vive intorno al confine. A Gaza, male. Fuori? «Ero incinta quando il primo razzo cadde nella nostra fattoria. Sarà stato nel 2000. A Gaza andavo a mangiare, frequentavamo abitanti di lì. Oggi per mio figlio entrare nella striscia è fiction, impensabile nella realtà», racconta Hila, 38 anni, un figlio di 15 e uno di dieci. Fa parte di Netiv Haasara, un moshav. Si tratta di una delle cooperative-comunità agricole che hanno lontane origini in un filone di sionismo socialista. Ci abitano circa 800 persone, una sua estremità è a 800 metri dalla frontiera in cemento armato con Gaza.

    Gli allarmi
    «Io sono di sinistra, molto», dice Hila, e le si illuminano gli occhi alla parola «comunista». Sullo sguardo cala l’ombra invece mentre descrive una quotidianità impensabile altrove: «Qui quasi tutte le case sono state danneggiate da un razzo. I nostri figli studiano in un rifugio, dormono in un rifugio, è un rifugio anche la fermata dell’autobus. Possiamo avere anche venti allarmi al giorno. Significa interrompere ciò che si fa, disporre di quattro secondi per andare nel rifugio e capire come i tuoi figli possono raggiungerlo».

    Un linguaggio
    A intermittenza, è così da 15 anni. Da un paio di mesi non cadono razzi, perché Israele ha reagito a un’offensiva dal cielo colpendo Gaza, ma la vita a scatti potrebbe ricominciare da un momento all’altro. Tornano in mente alcune parole del direttore di Kerem Shalom: «In questa zona gli attacchi sono come un linguaggio. Quando nel 2014 Hamas ha sparato con i mortai su questo valico significava che lo voleva chiuso, noi israeliani avevamo detto che sulle merci avremmo distinto tra esigenze della popolazione e dei combattenti. Hamas non la voleva, la distinzione». Ancora Hila, tra le villette basse del mushav che potrebbero trovarsi in California o in un paesino di mare italiano: «La nostra prevenzione ha fatto sì che i morti tra noi siano stati tre. Le ferite comunque sono dentro, psicologiche. Quando un bambino nuovo viene in casa a trovare i nostri figli non chiede ‘dove sono i giochi?’, ‘dov’è il bagno?. La sua prima domanda è: ‘Dov’è il rifugio?’. Da noi si costruiscono rifugi, il 70% delle spese della comunità è per la difesa. Hamas i soldi li usa per scavare tunnel e attaccarci. I palestinesi sono vittime di Hamas come noi. Ma è proprio questo a darmi la speranza che devo insegnare ai miei figli: accomuna noi e loro. E ai ragazzi insegno a non crescere nell’odio».

    http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_11/vivere-moshav-col-cuore-gola-occhi-rifugio-anti-razzi-d4a95a34-d0bd-11e5-9819-2c2b53be318b.shtml

    14 Feb 2016, 12:36 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Quella battaglia dei tunnel tra Egitto e Hamas a Gaza

    I miliziani ogni giorno scavano gallerie per contrabbandare armi Sul fronte opposto gli egiziani cercano di scoprirle e farle crollare

    di Massimo Russo

    Non è una guerra aperta, ma uno scontro a bassa intensità: la battaglia della sabbia e del cemento. I camion fanno manovra, caricano i detriti e si allontanano. I lavori procedono alla luce del sole, l’aria del mattino è tersa. Tuttavia non si tratta di un cantiere normale: a scavare sono i militanti di Hamas, e i tunnel servono a collegare la Striscia di Gaza con il Nord del Sinai, in Egitto, per contrabbandare armi. Dall’altra parte del confine, poco più in là, i militari egiziani bucano il terreno a caccia di gallerie. Provano diverse volte. Quando ne trovano una la allagano con potenti getti d’acqua che pompano dal mare, e la fanno crollare.

    È una sfida quotidiana, un gioco che può avere esiti drammatici, quando le armi sfuggite ai controlli vengono utilizzate per gli attentati o per fabbricare i razzi che colpiscono gli insediamenti israeliani. O ancora quando ci scappa il morto, come è successo anche questa settimana. Giovedì l’ultimo annuncio da parte degli egiziani: «Abbiamo distrutto un tunnel nell’area di Dalhia, a Rafah, 35 metri di lunghezza, un metro e 20 di larghezza». La segnalazione era giunta dagli israeliani. Due giorni prima in un crollo era morto un militante palestinese delle brigate al Qassam. Solo nel mese di gennaio altre sette vittime. Ormai è ordinaria amministrazione.

    Il punto di osservazione privilegiato per raccontare la battaglia del cemento è Kerem Shalom, in terra israeliana, l’unico valico per le merci aperto in modo stabile. A quasi due anni di distanza dall’ultima guerra, la situazione è lontana dalla normalità. Una giornata qui, dove si incrociano i confini tra Israele, Egitto e Gaza, è sufficiente per capire quanto l’equilibrio sia fragile. La Striscia è lunga 45 chilometri, ha una larghezza tra i 5 e i 12, ed è delimitata a Ovest dal mar Mediterraneo. Vi abita oltre un milione e mezzo di persone. Le uniche vie di entrata e uscita sono il valico di Erez a Nord, usato ogni giorno da 1500 persone, e i due passaggi a Sud: Kerem Shalom, in Israele, aperto 12 ore al giorno, attraverso cui viaggiano cibo, materiali da costruzione, vestiti, aiuti umanitari e Rafah, in Egitto. Questo punto di passaggio è stato riaperto ieri a sorpresa, e rimarrà transitabile fino a domani. Si tratta della prima apertura dopo quella umanitaria con oltre 2000 passaggi del dicembre scorso.

    Il valico è quasi sempre chiuso dall’ottobre 2014, in seguito a un attacco di terroristi nel Sinai settentrionale che causò la morte di oltre 30 militari. All’origine del blocco c’è lo scontro dell’Egitto del presidente Abdel Fattah Al Sisi con Hamas, che comanda a Gaza. La presenza dell’Autorità Palestinese è solo formale, dopo la presa del potere violenta da parte di Hamas nel 2007. Ma con Hamas né Egitto né Israele hanno rapporti.

    A Kerem Shalom si capisce quanto sia forte invece il legame di collaborazione tra il Cairo e Gerusalemme. A occhio nudo dalle torrette, e attraverso le telecamere, gli israeliani monitorano gli scavi da parte di Hamas, e poi avvisano gli egiziani, che intervengono con le pompe. Al tempo stesso una task force composta di 200 persone del ministero della Difesa israeliano fa funzionare il sistema circolatorio che tiene in vita gli abitanti della Striscia. Già di primo mattino i Tir sono in coda per passare nelle aree di controllo. Qui poi i palestinesi vengono a caricare le merci. «Da noi transitano 850 camion al giorno in entrata – spiega Ami Shaked, 56 anni, capo del valico – trecento per prodotti di uso quotidiano, 300 di materiali da costruzione e altri 250 per i cantieri dove si riedifica ciò che è stato distrutto durante la guerra di due anni fa».

    I mezzi in uscita sono molti meno: una cinquantina al giorno, per la maggior parte alimentari che Gaza esporta verso la Cisgiordania. Il problema è che fertilizzanti, carburante, sabbia e cemento in entrata possono servire anche a scopi bellici. «I cittadini di Gaza hanno il diritto di vivere ed essere protetti come gli israeliani», afferma Shaked. Nel 2015 da Kerem Shalom sono entrati a Gaza 153 mila camion. Di questi 754 sono stati fermati, perché il carico era diretto ad Hamas. «Niente di personale», mormora Shaked, che è stato ferito tre volte. Qualche mese fa un razzo sparato dall’interno della Striscia è piovuto sul piazzale qui a fianco. Impossibile fare una stima su quanti siano i camion fuorilegge che riescono a eludere i controlli degli scanner: «È la domanda con cui vado a dormire ogni notte», esclama Shaked. E scuotendo la testa aggiunge: «Ma non so darmi risposta».

    https://www.lastampa.it/2016/02/14/esteri/quella-battaglia-dei-tunnel-tra-egitto-e-hamas-a-gaza-sKWAwKI1AWgY0xHEesbINI/pagina.html

    14 Feb 2016, 13:05 Rispondi|Quota
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