Sergio Romano: un alfiere del pregiudizio antisraeliano sempre in azione

 
Emanuel Baroz
1 agosto 2017
1 commento

Le omissioni e le distorsioni di Sergio Romano

di Emanuel Segre Amar

L’articolo pubblicato nella edizione di domenica 30 luglio a firma di Sergio Romano sul Corriere della Sera, avente come titolo “Una tomba per due eredità”, merita, a mio parere, delle riflessioni su numerose affermazioni fatte dall’autore. Per brevità mi limito qui a riportare solo le osservazioni più importanti:

– L’autostrada che va da Gerusalemme a Hebron non “costeggia Ramallah”, giacché la “sede di Abu Mazen e dei suoi uffici governativi” si trova in tutt’altra direzione: Ramallah è a nord di Gerusalemme, Hebron 27 Km a sud. Questa affermazione, avulsa dal tema trattato, appare giustificata solo dalla volontà di ricordare nel seguito altre “verità” che tali appaiono oggi solo perché vengono ripetute all’infinito.

– Non ci si deve stupire se la regione è “chiamata dagli ebrei Giudea” perché questo, in effetti, è il suo nome storico, utilizzato da tutti, indipendentemente dalla loro religione, fino a quando precise volontà di cancellare ogni legame degli ebrei con la loro terra hanno iniziato a serpeggiare nel mondo. Mi permetto di ricordare che non solo in ebraico si chiama Yehuda, ma anche in arabo si chiama al-Yahudiyyah.

– La strada non ha affatto “i due muri che la separano dal territorio circostante”; questi si trovano unicamente nel tratto che affianca la città di Betlemme, e, in gran parte, non ha nemmeno le ben note barriere elettroniche che costituiscono per oltre il 90% le difese chiamate genericamente “muro” che sono state costruite unicamente come difesa dagli attentatori dopo la tragicamente nota intifada. E la strada non è affatto “israeliana”, visto che viene utilizzata da tutti, arabi, cristiani ed ebrei.

– Gli insediamenti israeliani nell’area di Hebron sono ben più di quattro (oltre una dozzina, nella realtà) e sono “protetti da truppe israeliane e da occasionali posti di blocco” per evitare il ripetersi delle situazioni che già nel 1929 hanno obbligato tutti gli ebrei – quelli sopravvissuti alla strage – ad abbandonare le case abitate ininterrottamente da 3000 anni (appare quindi difficile chiamare “vecchia comunità” chi abita una città da un tempo tanto lungo, raramente riscontrabile per altre città).

Sergio Romano, che evidentemente ha visitato di recente la città di Hebron con un “accompagnatore”, non può non aver visto che la maggior parte delle case non sono affatto “fatte con la stessa pietra bianca, leggermente rosata, che è usata per quelle di Gerusalemme”, e che ben poche “hanno grate di ferro molto eleganti, con graziose volute”; inoltre, forse “l’accompagnatore” non ha fatto presente a Romano che le “autorizzazioni delle autorità israeliane”, concordate a Oslo per la zona C, non vengono rispettate nemmeno in tale zona, e non sono affatto necessarie per la zona A sulla quale si trova la maggior parte di Hebron.

– Usare la parola “ghetto” per le aree dove “vivevano poche centinaia di persone” fino al 1929, quando furono cacciati dal ben noto pogrom arabo, appare del tutto fuorviante; gli ebrei erano assolutamente liberi di muoversi in tutte le ore e di scegliere le proprie abitazioni dove gradivano, e pertanto la scelta della parola “ghetto” appare del tutto fuori luogo.

– A questo punto Romano si ricorda che nel 1929 vi fu “la prima grande sollevazione araba contro le colonie sioniste”, ma, tralasciando che evita di spiegarne le ragioni (il gran Muftì, noto amico di Hitler, aveva fatto spargere la voce che gli ebrei volevano distruggere la moschea di Al Aqsa, suscitando, in tal modo, allora come oggi, rivolte in tutta la regione), definisce “colonie sioniste” quelle che erano le antiche abitazioni di cittadini ebrei. Perché dunque definirle “colonie”? Perché non chiamare “colonie” quelle degli arabi, arrivati oltre un millennio e mezzo dopo gli ebrei?

– Non corrisponde al vero che nel 1967, dopo la guerra dei Sei giorni, gli ebrei “vi tornarono in maggior numero”; fino al 1980 nessun ebreo tornò a vivere in quella che è sicuramente una città avente per loro, da sempre, un enorme significato religioso, ma in quella decina di anni si devono piuttosto registrare solo attacchi portati dagli arabi, a colpi di granate, ai turisti che volevano tornare a visitare le antiche tombe dei Patriarchi, attacchi però non ricordati da Romano.

– Al contrario, molto spazio viene dedicato, nell’articolo, a “Baruch Goldstein, vestito con uniforme militare”; egli era effettivamente un maggiore nelle riserve dell’esercito, pluridecorato come il miglior medico d’emergenza, e non soltanto,”un medico che veniva da New York”.

– Scrivere che “Maometto incontrò durante il suo viaggio notturno a Gerusalemme, il profeta Ismaele”, è un’altra affermazione fuorviante per il lettore, dal momento che nel Corano Gerusalemme non viene citata nemmeno una volta, e la moschea più lontana nei giorni della morte di Maometto, dalla quale egli sarebbe salito in cielo, non poteva essere a Gerusalemme dove l’Islam non era ancora arrivato.

– Romano ricorda la presenza, a Hebron, dal 1995, “di un piccolo distaccamento di osservatori internazionali – che piacciono ai palestinesi, un po’ meno ai coloni ebrei che manifestano occasionalmente il proprio malumore con il lancio di sassi contro le auto quando fanno servizio di ronda”; sarebbe stato utile ricordare che il comando di questo piccolo distaccamento si trova nello stesso edificio dove si trova la direzione dell’OLP, posizione per lo meno sospetta per la dovuta imparzialità, e che gli ebrei hanno reagito contro le pattuglie due volte per protestare contro il silenzio degli osservatori dopo attentati commessi dagli arabi contro di loro. Una situazione non molto dissimile da quella che si riscontra nel sud del Libano dove non vi sono, al contrario, ebrei che possano protestare per la cecità – quando non addirittura complicità- degli osservatori delle Nazioni Unite che hanno lasciato accumulare oltre 100.000 missili puntati contro Israele, in una zona che in base alla Risoluzione ONU 1701 sarebbe dovuta estate demilitarizzata, affidandone l’applicazione all’Unifil.

– A questo punto Romano ricorda “il conferimento a Hebron e alla Tomba dei patriarchi del titolo di sito palestinese del patrimonio mondiale – al quale il governo israeliano ha reagito con rabbia”, ma omette di spiegare le ragioni di tale rabbia, ragioni che non sto qui a ricordare perché fin troppo note.

– Attorno alla Tomba dei Patriarchi, nella quale è sepolta anche Lea, non a caso dimenticata da Romano, la situazione appare diversa da quanto descritta nell’articolo; sarebbe stato doveroso ricordare non solo l’antichissima sinagoga ebraica, ma anche la basilica costruita dai bizantini, poi distrutta dagli arabi e da loro trasformata in moschea, ma forse queste realtà storiche non appaiono a Romano politically correct.

– Non è affatto vero che “Ismaele sia il padre dei dodici progenitori delle tribù arabe” sia perché quando si parla delle tribù, si parla di quelle degli antichi ebrei, sia perché la vicenda religiosa, come rappresentata nell’articolo, ricalca la versione sciita, e non quella dell’islam nel suo complesso.

– Non mi sembra corretto definire Hebron: “il quarto luogo santo dell’Islam”; è noto che è Roma a godere di questo privilegio, per ragioni non difficili da comprendere. Inoltre a Hebron non vi è nessuna “convivenza coatta”; tutti dovrebbero poter vivere dove desiderano, e ritengo che sarebbe piuttosto doveroso far capire ad Abu Mazen che non è accettabile la sua dichiarata volontà di non ammettere cittadini di religione ebraica nel futuro stato di Palestina.

– Le visite alle tombe seguono regole ben precise, anche se non facilmente accettate da tutte le parti interessate (come sempre succede quando vi sono più religioni coinvolte; lo stesso avviene ad esempio tra i cristiani al Santo Sepolcro di Gerusalemme); le tombe sono 15 metri sotto terra, e si entra solo nel luogo che segna la tomba di Isacco sottostante, la sala più grande (alla quale gli ebrei possono accedere solo in 10 giorni all’anno, unici giorni nei quali gli arabi non possono accedere) e il tutto è amministrato dai musulmani del WAQF che, come al Monte del Tempio (Spianata delle moschee per i musulmani) sono molto attenti a fare osservare le imposizioni con ferrea intransigenza, soprattutto nei confronti di chi per secoli sono stati considerati dhimmi.

L’Informale.eu

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