70 buone ragioni per celebrare (e amare) lo Stato di Israele

 
Emanuel Baroz
14 maggio 2018
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70 buone ragioni per celebrare (e amare) lo Stato di Israele

A settant’anni dalla nascita del Paese che ha dato una patria al popolo ebraico, l’intellettuale francese di Bernard-Henry Lévy racconta tutti i suoi pregi.

di Bernard-Henry Lévy

israele-70-anni-focus-on-israelE pluribus unum… 102 origini diverse… In altre parole, la prima nazione multietnica che funziona veramente. La prima repubblica “alla Rousseau” dove un bel mattino si sia detto: “Facciamo un Contratto”. E il Contratto fu! Paese rifugio. Paese promessa. Paese «di troppo» per un popolo di troppo. Se il mondo tornasse ad essere inabitabile per altre Mireille Knoll (l’ottantacinquenne ebrea uccisa in aprile a Parigi, ndt), questo Paese così prezioso continuerebbe ad esistere.

Democrazia
La democrazia è difficile? Lenta? Ha bisogno di tempo? In Israele, una notte, il 14 maggio 1948, fu sufficiente. Per fare una democrazia, occorre una cultura democratica? Cultura che di Israele i pionieri russi, o centro-europei, o tedeschi, o arabi non avevano. Eppure..

Miracolo israeliano. Prodigio di un legame sociale che poggiava sul nulla. Meraviglia di una lingua morta, reinventata e ravvivata. Nessuna democrazia, si dice ancora, resiste allo stato d’eccezione della guerra. Salvo Israele.

Terrorismo
Il terrorismo, in Israele, non esiste da sette giorni (come negli Stati Uniti del Patriot Act) o da sette anni (come nella Francia del 1961), ma da settant’anni, e le sue istituzioni reggono. Sì, sono settant’anni che Israele vive, come dice il versetto, «sulla propria spada»: e lo spirito di libertà vi continua a soffiare. Settant’anni di vita senza aver conosciuto una giornata di pace: e nessuno, né ebreo né arabo, cambierebbe Paese. Atene, non Sparta.

E diritto di critica
Irriverenza della stampa, implacabile con i dirigenti. Intransigenza della giustizia che, quando un primo ministro sbaglia, mette il primo ministro in prigione. Uno scrittore ribelle, David Grossman, orgoglio del Paese. Un altro: Amos Oz. Un altro: Avraham B. Yehoshua.

Esiste un altro luogo del mondo in cui il famoso «diritto di criticare Israele» sia esercitato meglio che in Israele? Esiste una Ong più accanita di «Breaking the Silence» nel denunciare l’«uso sproporzionato della forza»? Una democrazia dove una minoranza ostile al principio guida del Paese — «il sionismo» — goda di tutti i propri diritti civili? Un Paese che tolleri, in tempo di guerra, che una città come Kufr Manda solidarizzi con il nemico?

Gli arabi e i militari
L’arabo, seconda lingua ufficiale del Paese. Un numero di deputati arabi inimmaginabile in Francia. Un giudice, arabo, che siede alla Corte suprema. E, alla Corte suprema, una donna, Esther Hayut, eletta presidente per la terza volta.

Il «muro», in Cisgiordania, sconfina nel villaggio palestinese di Beit Jala? La Corte ordina di spostare il muro. Esso rovina, a Bil’in, gli ulivi? Si ripiantano gli ulivi.

Una «sbavatura» dei militari? Viene sottoposta a giudizio. Un ordine inappropriato? Viene rifiutato. Un’operazione non conforme alla «purezza delle armi»? E’ possibile — questo si è visto — ricorrere alla giustizia. E i centri di terapia dove, in tempo di guerra, si curano i feriti del campo avverso. E i dispensari del Golan, gli unici dove, nel settore, trovano asilo le vittime siriane di Bashar. E, sempre per i siriani, gli ospedali fraterni di Safed, Kiryat Shmona e Nahariya. E il villaggio di Jubata-al-Khashab, nella provincia di Quneitra, ricostruito grazie a fondi privati e pubblici israeliani.

Operazioni umanitarie
E le operazioni umanitarie di Tsahal. Esiste un esercito che, per le popolazioni, effettui missioni umanitarie così numerose? In Messico, dopo il sisma del 2017.. In Nepal, o a Haiti, o in Turchia, dopo i terremoti del 2015, 2010, 1999… Nel Mediterraneo, quando l’Unità 669, nel 2003, vola in soccorso di dieci marine turchi in balia di un tifone… In Sierra Leone, dove Tsahal è il primo a correre in aiuto delle migliaia di contadini trascinati da un torrente di fango… E tutte le Ong che scavano pozzi in Africa o inviano pompieri a Porto Rico.

La scienza israeliana. I robot dell’ospedale Hadassah. Le ricerche più avanzate su alzheimer, parkinson, terapia cellulare o chirurgia del cervello.

Saggezza e studio. Saperi profani e talmudici.

La bellezza di Tel Aviv e la pietra bianca di Gerusalemme. E Haifa, la cosmopolita. E Jaffa, con i suoi fortini di nobile pietra ocra. E i paesaggi di sassi del Negev, dove si sente l’impronta lasciata da altri occhi, secoli prima di noi. E i megaliti, come solcati dal dito di Dio. E i deserti in alta quota. E i mari più bassi del mare. E il kibbutz, vicino a Tiberiade, dove Sartre capì il senso del versetto: «La tua discendenza sarà come la sabbia del mare». Di fatto, terra o sabbia? Un’altra Babele o un regno di nuovo tipo? Davvero Stato banale, o ritorno a Giacobbe, soprannominato Israele perché lottò con l’angelo?

Paese ammirevole
Non è la natura che, in Israele, è generosa con gli uomini, ma sono gli uomini ad esserlo con la natura.

Israele è una delle imprese più rischiose, ma anche più belle, che il popolo ebreo abbia dovuto affrontare. Per tale impegno, si attirerà il biasimo di Samuele al popolo che si assoggettava a Saul, o rimarrà discepolo di Mosè? Da Paese appassionante, si trasformerà in Paese ammirevole, o sublime? E cosa ci dice dell’Umano e del suo segreto?

Buon compleanno, Israele.

(Fonte: Corriere della Sera, 14 Maggio 2018 – traduzione di Daniela Maggioni)

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