La solitudine di Salaam Fayad

 
admin
21 gennaio 2008
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La solitudine di Salaam Fayad

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da un articolo di Khaled Abu Toameh

Dalla sua nascita, nel 1994, l’Autorità Palestinese ha ricevuto miliardi di dollari in aiuti internazionali. Tutto quel denaro avrebbe dovuto aiutare i palestinesi a costruire una forte economia e salde istituzioni di governo. Il presupposto era, allora, che il benessere economico avrebbe indebolito gli estremisti e rafforzato i moderati all’interno del campo palestinese.

Ma centinaia di milioni di dollari finirono su conti bancari segreti o servirono per costruire sontuose ville per gli alti funzionari dell’Autorità Palestinese. Lo stesso Yasser Arafat usò il denaro per comprarsi la lealtà dei suoi, reclutando quante più persone possibile come impiegati civili e “militari”. Privando la sua gente degli aiuti finanziari, Arafat spinse molti palestinesi nelle braccia di Hamas e di altri gruppi estremisti. Molti furono i palestinesi ferocemente delusi dal “processo di pace”, perché non ne godettero mai i frutti.

La comunità internazionale che riversava denaro nell’Autorità Palestinese non sembrò preoccuparsi granché delle notizie di corruzione e malversazione che giungevano da Cisgiordania e striscia di Gaza. Né i donatori prestarono molta attenzione al fatto che Arafat continuava imperterrito a istigare la sua gente non solo contro Israele, ma anche contro quegli stessi “infedeli” che intanto firmavano assegni su assegni.

Quando scoppiò la seconda intifada, nel settembre 2000, la cosa fu possibile perché molti palestinesi non avevano nulla da perdere. Anziché creare zone industriali per dare lavoro ai tanti disoccupati palestinesi, Arafat aveva aperto un casinò e comprato veicoli di lusso per i suoi fedelissimi. Anziché costruire case per chi ne aveva bisogno, Arafat aveva stabilito per sua moglie una gratifica mensile di 100.000 dollari con cui fare shopping a Parigi.

Fu anche per coprire la corruzione dilagante e la pessima amministrazione dell’Autorità Palestinese che Arafat scatenò un’ondata di istigazione all’odio contro Israele e l’occidente, soprattutto sui suoi mass-media e nelle moschee. È la classica modalità con cui i dittatori arabi cercano di deviare l’attenzione dai loro reali problemi interni: mobilitare le masse nell’odio verso l’occidente e Israele.

Si calcola che l’Autorità Palestinese di Arafat abbia ricevuto circa 6,5 miliardi di dollari in aiuti internazionali. Una volta un ex consigliere di Arafat ha ammesso che, se la maggior parte di quel denaro fosse stata investita nel promuovere il benessere dei palestinesi, molto probabilmente questi non avrebbero fatto ricorso alla violenza nel settembre 2000 e non avrebbero votato per Hamas sei anni dopo.

Progetti di riforma dell’Autorità Palestinese sono venuti emergendo sin da quando Salaam Fayad venne nominato ministro delle finanze, nel giugno 2002. Ma per lo più quei progetti rimasero sulla carta a causa delle rivalità personali e delle lotte di potere fra i vari esponenti e gruppi politici all’interno dell’Autorità Palestinese. Arafat fece di tutto per far fallire gli sforzi di Fayad perché non voleva che consolidasse il suo potere emergendo come un leader forte e credibile. E molti alti funzionari di Fatah si adoperarono per vanificare i piani di Fayad finché restò in carica come ministro delle finanze fra il 2002 e il 2005.

All’inizio del 2007 Fayad venne rinominato ministro delle finanze nel governo di unità nazionale Hamas-Fatah, ma di nuovo non fu in grado di apportare reali cambiamenti a causa della dura lotta intestina fra le due fazioni palestinesi.

Ora Fayad ha ripreso in mano il piano per riformare l’Autorità Palestinese. Come quello precedente, anche questo è stato definito “ambizioso”. E le sfide che Fayad deve affrontare non sono diverse da quelle che fecero naufragare i suoi precedenti tentativi. Ad esempio, Fayad vorrebbe licenziare migliaia di impiegati civili e “militari”, una manovra che ha già suscitato aspre critiche tra gli attivisti di Fatah.

E poi Fayad è tuttora circondato da molti di coloro che in passato ostacolarono attivamente i suoi progetti di riforme con la scusa che stava applicando l’agenda di israeliani e americani. Sono le stesse figure che temono un successo di Fayad, perché minerebbe il loro status e migliorerebbe le prospettive del primo ministro di scalare il potere.

Anche se i miliardi di dollari promessi alla recente conferenza dei donatori a Parigi potranno migliorare le condizioni di vita dei palestinesi e rafforzarne un po’ l’economia, tuttavia non v’è nulla che garantisca che l’aiuto economico eserciti un effetto di moderazione su gran parte dei palestinesi. Si tratta di denari che hanno soprattutto lo scopo di mantenere Fatah al potere impedendo a Hamas di assumere il controllo anche in Cisgiordania. A meno che l’Autorità Palestinese non cambi improvvisamente la sua retorica mettendosi a promuovere sul serio una genuina pace e coesistenza con Israele, i milioni di dollari non serviranno affatto a creare una nuova generazione di palestinesi moderati.

D’altra parte, anche le necessarie misure di sicurezza di Israele, fra cui le limitazioni ai movimenti, non aiutano a rafforzare la posizione del campo moderato.

L’unico modo per minare Hamas non è versare miliardi di dollari alla dirigenza dell’Autorità Palestinese, bensì offrire ai palestinesi un’alternativa migliore a quella del movimento islamista jihadista. Se vuole riguadagnarsi la fiducia dell’opinione pubblica palestinese, Fatah deve innanzitutto riformare se stessa e aprire la strada a volti nuovi. Le decine di migliaia di palestinesi che hanno partecipato alle manifestazioni per l’anniversario della nascita di Hamas avrebbero dovuto suonare come un campanello d’allarme a Ramallah e a Parigi: il movimento islamista continua a godere di un massiccio sostegno popolare nonostante le sanzioni economiche imposte alla striscia di Gaza.

(Jerusalem Post, 18 dicembre 2007 – da israele.net)

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