Hamas e Fatah perseguitano i giornalisti ma guai a chi ne parla

 
admin
19 dicembre 2008
1 commento

Reporter palestinesi sotto tiro

Hamas e Fatah perseguitano i giornalisti ma guai a chi ne parla

di Khaled Abu Toameh

Ala Salameh lavorava in una stazione radio di Gaza. Deve aver detto qualcosa di scomodo perché i miliziani di Hamas lo hanno sequestrato per ore costringendolo a mangiare cibo contaminato. Ma i reporter occidentali tendono a occultare storie come questa. Non diventerebbero popolari e perderebbero ogni chance di vincere qualche premio. Funziona così dai tempi dell’eroico Arafat.

Gaza, 19 Dicembre 2008 – Negli ultimi due anni i giornalisti palestinesi nella West Bank e nella Striscia di Gaza sono stati sottoposti a una sistematica campagna di intimidazione che ha portato alla morte di alcuni di loro e all’arresto di altri. La campagna, lanciata sia da Hamas che da Fatah, non ha ricevuto alcuna attenzione da parte dei gruppi dei diritti umani e da coloro che difendono la libertà di espressione in tutto il mondo. Al contrario, ogni volta che un giornalista palestinese viene incidentalmente ferito dal fuoco israeliano durante uno scontro con i palestinesi, l’episodio occupa tutte le prime pagine nelle maggiori testate americane ed europee.

Ciò che appare più inquietante in questa campagna di intimidazione è il fatto che sia stata lanciata dall’Autorità palestinese di Mahmoud Abbas nella West Bank. Si tratta della stessa autorità che riceve ogni mese centinaia di milioni di dollari provenienti dalle tasche di chi paga le tasse in America e in Europa, che dovrebbero servire a costruire un sistema giudiziario adeguato e a promuovere la democrazia e la trasparenza tra i palestinesi.

Non dovrebbe suscitare alcuno stupore il fatto che Hamas prenda di mira dei giornalisti. Il movimento islamista è ben noto per le dure misure che adotta contro i reporter “ostili”. Almeno 13 giornalisti palestinesi sono stati arrestati e torturati dalle milizie di Hamas da quando il movimento ha preso il controllo totale della Striscia di Gaza nell’estate del 2007. Hamas ha anche condotto delle incursioni negli uffici della maggior parte di questi giornalisti, confiscando computer e altre attrezzature. Nel caso più recente, Ala Salameh, giornalista di una stazione radio di Gaza, ha denunciato che uomini delle milizie di Hamas lo hanno sequestrato per diverse ore, costringendolo a mangiare cibo contaminato.

Nella West Bank, le forze di sicurezza di Abbas hanno concentrato i propri sforzi nella lotta contro ciascun giornalista che non dimostri la volontà di allinearsi. Quest’anno più di una decina di reporter sono stati presi di mira dalle forze di sicurezza di Fatah. La maggior parte è stata trattenuta in carcere senza che si svolgesse alcun processo e senza avere il diritto di vedere un avvocato scelto dai membri della famiglia. Alcuni dei reporter hanno raccontato di essere stati interrogati riguardo le storie “negative” da loro pubblicate in diversi giornali e riviste. Gli articoli in questione spesso trattavano della corruzione finanziaria tra pezzi grossi della leadership palestinese oppure di violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione della West Bank di Abbas.

Secondo le testimonianze rese dai giornalisti e dagli attivisti locali dei diritti umani, la maggior parte dei detenuti è stata sottoposta ad abusi fisici e psicologici per mano delle forze di sicurezza palestinesi. Quando uno dei reporter trattenuti si è lamentato circa le condizioni della sua detenzione, gli hanno detto: “Qui non siamo a Israele, dove puoi vedere un avvocato e richiedere istanza all’Alta Corte”.

La campagna anti-media di Abbas ha assunto diverse forme. Quando Al-Jazeera non è riuscita a mandare in onda in diretta un discorso tenuto a Ramallah dal presidente dell’Autorità palestinese, questi ha dato ordine di proibire agli operatori della stazione di entrare nella sua area e di seguire le notizie relative alle attività degli alti ufficiali palestinesi. In un altro recente episodio, la più grande agenzia di notizie palestinese, la Ramattan, è stata costretta a sospendere la sua attività nella West Bank a causa delle pressioni subite da parte di Abbas e dei suoi assistenti. I manager di Ramattan hanno accusato Abbas di tentare di trasformare l’agenzia indipendente in un “portavoce” dell’autorità palestinese.

Come il suo predecessore Yasser Arafat, anche Abbas ha proibito la diffusione di giornali di opposizione nella West Bank. Qualunque reporter che abbia il coraggio di riportare una notizia in grado di avere riflessi negativi su Abbas o i suoi più stretti collaboratori riceve telefonate minacciose dall’ufficio del presidente, da parte di membri delle forze di sicurezza palestinese.

Una delle prime azioni di Arafat, dopo essere entrato nella West Bank e nella Striscia di Gaza nel 1994, è stata quella di ordinare dure misure di repressione nei confronti dei media palestinesi, per essere sicuro che tutti coloro che lavoravano in quel campo gli fossero fedeli al 100%. Questo atteggiamento ha fatto sì che la maggior parte dei reporter palestinesi avesse troppi timori nel riportare notizie o trattare argomenti relativi alla corruzione finanziaria e alle violazioni dei diritti umani nell’era arafattiana.

L’aspetto più inquietante di tutta questa vicenda è il fatto che i giornalisti occidentali che si trovano in Israele tendono a chiudere un occhio riguardo alla situazione dei loro colleghi palestinesi. Alcuni di questi reporter stranieri ammettono di aver paura delle possibili ripercussioni qualora osino far arrabbiare Abbas o Hamas. Altri dichiarano che i propri direttori sono interessati a storie del genere soltanto nel caso in cui i responsabili siano soldati israeliani. Come sottolineato recentemente da un corrispondente straniero: “Più storie anti-Israele invio al mio giornale, più sono le probabilità che la mia popolarità cresca e che aumentino le mie possibilità di vincere un premio”.

Ma quello che i giornalisti occidentali devono capire è che la campagna contro i giornalisti palestinesi sta colpendo anche il loro lavoro. Tutti i reporter stranieri dipendono fortemente dai loro colleghi palestinesi quando è il momento di trattare questioni palestinesi. E così quando un giornalista palestinese ha paura o si sente minacciato, ci penserà due volte prima di riferire ai corrispondenti occidentali quello che sa.

Traduzione di Benedetta Mangano

Tratto da Hudson New York

L’Occidentale

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Commento

  • #1Parvus

    Ma ancora ci meravigliamo che giornalisti occidentali e organizzazioni per i diritti non denunciano le malefatte palestinesi?
    Eppure sappiamo benissimo che sono sul libro paga degli sceicchi: cosa pretendiamo? Che mordano la mano che li nutre?

    12 Giu 2009, 23:32 Rispondi|Quota