Campagna mediatica anti-israeliana: un mix d’antisemitismo, islamismo e odio di sè

 
Emanuel Baroz
22 marzo 2009
3 commenti

Un mix d’antisemitismo, islamismo e odio di sè nelle campagne contro Israele

idfSpesso ci chiediamo perché Israele sia così odiato e ostracizzato, pur essendo un paese democratico, che si sforza di mantenere un atteggiamento etico anche nelle più difficili situazioni di guerra e conflitto col terrorismo, guidato e composto da persone civili e ragionevoli, come molti di noi sanno per esperienza diretta.

La risposta che ci diamo di solito spiega questo triste paradosso con l’antisemitismo, con quella subordinazione dell’Europa a una egemonia morale (a sua volta bisognosa di spiegazione) del Terzo mondo e in particolare dell’islamismo che molti, fra cui io stesso, amiamo denominare con la definizione sarcastica di Eurabia, infine con le campagne bene orchestrate delle relazioni pubbliche dei paesi arabi e dei loro mezzi di comunicazione, cui le nostre campagne di Hasbarà non saprebbero contrapporsi.

Tutto vero, anche se, lo ripeto, pure queste spiegazioni avrebbero bisogno di essere a loro volta spiegate. Ma c’è di più, c’è un’altra ragione molto sgradevole che va messa in conto, quella dell’odio che alcuni ebrei e israeliani nutrono contro se stessi e contro lo stato d’Israele o contro l’identità politica di una parte d’Israele che considerano tanto nemica da non badare a mezzi pur di danneggiarla.

In questi giorni abbiamo assistito a un caso di scuola di questo fenomeno di suicidio comunicativo. Tutti quelli che s’interessano anche vagamente di Medio Oriente hanno potuto leggere nei giorni scorsi le “rivelazioni” sul “comportamento criminoso” dei soldati israeliani nel corso della campagna di Gaza: la donna uccisa perché, interrogata e liberata le era stato detto di prendere la strada a destra e invece era andata a sinistra e un cecchino l’aveva uccisa, le case vandalizzate, la libertà di ammazzare e addirittura il piacere di farlo denunciato da certi soldati e così via.

idf2Su queste rivelazioni sono usciti due articoli importanti, uno di Ethan Bronner dal New York Times e uno di Herb Keinon sul Jerusalem post. Ne risulta quanto segue. La fonte giornalistica di queste “rivelazioni” è un articolo di Haaretz; non vi è stata finora nessuna inchiesta o atto giudiziario sull’argomento, perché l’uscita giornalistica è stata contemporanea alla denuncia. Haaretz, il cui ruolo generale nella diffamazione internazionale d’Israele è centrale, per il suo atteggiamento ideologico ma anche grazie al fatto di avere un’edizione inglese sia cartacea che sul web, non ha fatto alcuna verifica sui fatti, ma ha semplicemente riportato una denuncia che le è stata fatta pervenire sottobanco prima che ci fosse tempo per ogni accertamento; il giornale ha anche reso impossibile le verifiche di altri modificando nomi, date, riferimenti geografici e alle unità d’appartenenza “per proteggere i soldati” (proteggere da che, visto che i loro nomi stanno nella denuncia alle autorità militari?). Per Haaretz Israele è terra di mafia? Infine, altro punto importantissimo: i soldati denuncianti non hanno mai parlato di cose fatte da loro o che hanno visto con i loro occhi, ma solo di eventi di cui hanno sentito dire.

La fonte di Haaretz, che secondo il New York Times “ha sollecitato” (notate il “sollecitato”) e “comunicato sottobanco [leaked] le informazioni al giornale” è un ex ufficiale che dirige una scuola di preparazione premilitare, “istituto affiliato all’ala sinistra del movimento dei Kibbutz” Questo personaggio così “desideroso [eager] di dar rilievo alle accuse” si chiama Dany Zamir, è un ex ufficiale la cui uscita dall’esercito è in relazione secondo il Jerusalem post con una sua condanna a 28 giorni di carcere nel 1990 per aver rifiutato di obbedire agli ordini dei suoi superiori. Va detto che l’ordine non era di ammazzare bambini palestinesi o di torturare prigionieri ma di “fare la guardia durante una cerimonia in cui dei rotoli della Torah venivano portati nella Tomba di Giuseppe a Nablus”. L’articolo del Jerusalem post riporta alcune frasi del suo intervento in un libro pubblicato nel 2004, “Refusnik, Israel’s soldiers of coscience”, con prefazione di Susan Sontag, che vale la pena di riportare qui: “Con la stupida decisione e il compiacimento di chi sa tutto, religiosi primitivi e sfrenati nazionalisti ci stanno portando al disastro […] Io vedo un vulcano in una terra in cui un terzo degli abitanti sono impediti di votare, a causa della loro origine etnica o nazionale o della loro collocazione geografica, privati dei lori fondamentali diritti civili […] sottoposti a una farsesca giustizia militare, […] non un paese democratico. Di conseguenza è illegittima ingiusta e immorale ogni collaborazione con un regime o governo che mi ordina di essere parte di un apparato antidemocratico diretto verso l’autodistruzione, la disintegrazione e il decadimento nazionale”.

Insomma, chi ha “sollecitato” e diffuso queste “testimonianze”, peraltro indirette, a carico di altri soldati considerati “nazionalisti religiosi” è un fanatico che rifiuta la legittimità d’Israele, non un “direttore di un’Accademia militare israeliana” come hanno scritto i giornali europei. E’ una persona accecata da odio ideologico che rifiuta la legittimità dello stato per cui lavora (immaginiamo debitamente pagato) a preparare i soldati. Le “testimonianze” che riporta sono altamente sospette non solo perché indirette (“ho sentito raccontare che” non è una prova in alcun tribunale civile), ma anche perché fatte da persone, i soldati allievi di Zamir, ideologizzate come lui e impegnate in un conflitto politico.

Questo episodio va inquadrato, infatti, come suggerisce il New York Times in una “lotta per il controllo dell’esercito” fra ambienti laici e di sinistra e ambienti nazionalisti religiosi che contribuiscono oggi in maniera notevole alla sua leva. In sostanza si tratta di maldicenza politica, che naturalmente è stata enfatizzata con gioia dalla stampa internazionale, per le altre ragioni di odio a Israele citate all’inizio. Non si tratta affatto di un caso isolato.

In questi giorni ha ricominciato a parlare dei “crimini commessi a Gaza” Richard Falk, “rappresentante speciale” della commissione Onu sui diritti umani (quella presieduta dalla Libia), cui fu impedito l’accesso all’aeroporto Ben Gurion a dicembre in quanto nemico d’Israele. Per chi non lo sapesse, Falk è un ebreo americano, che ha deciso di concludere la propria carriera di professore di diritto assumendosi il ruolo di accusatore internazionale di Israele. La causa di tanto accanimento non è chiara. Odio di sé? Limpido ideale di giustizia che supera ogni meschina considerazione di opportunità e di appartenenza? Fate voi. L’articolo del “Jerusalem Post” cita un vecchio proverbio ebraico: “Quando tutto il mondo ce l’ha con noi, tanto vale unirsi al coro”.

E’ chiaro che la libertà di parola mai negata anche a persone come Zamir e di giornali come Haaretz, esattamente come l’istituzione di tribunali e di commissioni d’inchiesta per verificare le loro denunce, l’attività straordinariamente indipendente della Corte Suprema (un vero e proprio contropotere politico schierato contro qualunque abuso delle autorità), l’esistenza di partiti antisionisti e arabi, fa parte dei preziosi caratteri che rendono Israele una delle più compiute del mondo e l’esatto opposto delle torbide dittature che riempiono il Medio Oriente e il mondo islamico. Ma parlando di queste cose noi dobbiamo sapere che le fonti di buona parte delle campagne d’odio contro Israele sono gli Zamir israeliani, americani (e da noi anche italiani).

Ugo Volli

(Fonte: Rassegna Stampa UCEI, 22 Marzo 2009)

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  • #1Emanuel Baroz

    Israele, le denunce dei soldati erano in parte infondate

    Gerusalemme, 22 mar (ANSA) – Sono infondate, almeno per gli episodi più gravi, le denunce dei soldati emerse nel Seminario militare Rabin riguardo l’operazione Piombo fuso a Gaza e riportate con grande rilievo dai media israeliani e stranieri. Ad affermarlo è il quotidiano Maariv sulla base di una prima indagine interna condotta dall’esercito. Nei giorni scorsi la stampa aveva riferito che, secondo i militari, nel corso dell’operazione vi erano state scarsa considerazione per la popolazione civile e atti gratuiti di vandalismo. Fonti militari, scrive Maariv, affermano invece che le uccisioni descritte dai militari – quella di una donna con i suoi due figli, e quella di un anziana donna avvistata con un binocolo – non sono avvenute. Le denunce dei militari si baserebbero su voci risultate infondate.
    “Durante l’operazione Piombo Fuso c’era certamente il ‘grilletto facile’ – ha dichiarato a Maariv un ufficiale che ha combattuto a Gaza – Indubbiamente sono rimasti uccisi civili palestinesi non coinvolti nei combattimenti. Ma non c’é mai stato alcuno sparo intenzionale verso civili innocenti”.

    22 Mar 2009, 15:02 Rispondi|Quota
  • #2alessandra pontecorvo

    Beh, non vorrei evocare la legge marziale permanente, ma dei militari che diffamano il loro paese per motivi poco nobili dovrebbero essere accusati di tradimento

    22 Mar 2009, 20:10 Rispondi|Quota
  • #3maestri

    BS”D

    >> Corte Suprema (un vero e proprio contropotere politico
    >> schierato contro qualunque abuso delle autorità)

    Mah, che sia schierata e faziosa è noto, ma non proprio contro gli abusi. Anzi ci sono degli abusi di cui essa è il più strenuo difensore, in particolare nell’oppressione dell’Ebraismo tradizionale e di tutto ciò che a questi signori ricorda la Santa Torah. Quanto alla maldicenza politica, è certo una brutta piaga, come tutte le maldicenze.

    6 Apr 2009, 22:21 Rispondi|Quota