Parigi: «Sì, diedi fuoco all’ ebreo». Processo choc in Francia

 
Emanuel Baroz
30 maggio 2009
1 commento

A porte chiuse Nell’ omicidio coinvolti 27 giovani della banlieue

«Sì, diedi fuoco all’ ebreo». Processo choc in Francia

di Massimo Nava

La confessione del capo della «banda dei barbari».

Ilan Halimi, 23 anni, fu adescato da una ragazza, segregato per 3 settimane e torturato a morte

ilan-halimiPARIGI – Ilan Halimi, 23 anni, commesso in una boutique di telefonia mobile, boulevard Voltaire. Una ragazza s’ interessa all’ acquisto di un nuovo cellulare, fa occhi dolci, chiede il numero di telefono. L’ indomani, gli propone un incontro. Ma l’ innocente avventura è una trappola, un appuntamento con la morte. Halimi viene rapito, segregato per tre settimane in un appartamento della banlieue parigina, torturato e infine ucciso. La famiglia riceve minacce, insulti, richieste di riscatto nella posta elettronica, telefonate, somme improbabili da raccogliere, fotografie dalla prigionia.

Più di seicento contatti, ma la polizia non riesce a localizzare i rapitori. Il corpo del giovane viene ritrovato ai bordi della ferrovia, in aperta campagna. Ferite e bruciature non gli lasciano scampo. Morirà durante il trasporto all’ ospedale. Il delitto, avvenuto il 13 febbraio di tre anni fa, da qualche giorno ricostruito a porte chiuse, nella Corte d’ assise di Parigi, è uno sconvolgente groviglio di abiezione e follia omicida, in cui l’ obiettivo criminale del riscatto si somma all’ assurdità del presupposto razzista: la modesta famiglia di Halimi non poteva mettere insieme la somma richiesta, ma il giovane commesso era ebreo e la comunità ebraica avrebbe potuto e dovuto pagare.

Era lo scenario nella mente di Youssouf Fofana, ventottenne di origine ivoriana, capo della «banda dei barbari», come è stata definita dalla stampa l’ eterogenea associazione di ventisette ragazzi, fra esche, complici, carcerieri e postini. Venti sono alla sbarra, come diretti responsabili del sequestro, sette per non averlo denunciato.

A inchiesta conclusa, si scopre che la «barbarie» ha il volto umano di giovani della banlieue, di ragazze, di un minorenne, accumunati da miseria morale e sottomissione consapevole alla volontà di Fofana. «Se mio figlio non fosse stato ebreo, non sarebbe stato assassinato» dice Ruth Halimi, madre della vittima, che in un memoriale ricostruisce il sequestro e mette sotto accusa l’ inerzia degli inquirenti. Alcuni particolari, appaiono inspiegabili.

Youssouf Fofana, nei giorni del sequestro, venne fermato nel centro di Parigi durante un controllo di polizia, ma rilasciato. Inoltre avrebbe fatto quattro viaggi in Costa d’ Avorio, nonostante la diffusione di foto segnaletiche. Dall’ inchiesta risulta che altri cinque giovani ebrei erano stati individuati dalla banda come possibili obiettivi. Fuggito ad Abidjan, arrestato dopo il delitto, Fofana ha manifestato un atteggiamento paranoico e megalomane. Ha ricusato avvocati e insultato giudici, si è assunto con un misto di orgoglio e rassegnazione tutte le responsabilità del sequestro.

«Si sono stato io e voi lo sapete bene», ha detto in aula, ammettendo di aver versato alcol sul corpo sanguinante di Halimi e di avergli dato fuoco, dopo averlo ferito con quattro coltellate. Ilan è stato seppellito a Gerusalemme. «Il giudice istruttore ha ritenuto l’ antisemitismo una circostanza aggravante. Questo non mi ridarà mio figlio, ma è di grande sollievo sapere che la Francia resta fedele ai suoi ideali di giustizia» ha detto Ruth Halimi.

(Fonte: Corriere della Sera, 30 Maggio 2009, pag. 19)

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