La prima sentenza per il caso Halimi non dissolve la nebbia antisemita dal cielo di Parigi

 
Emanuel Baroz
14 luglio 2009
1 commento

La prima sentenza per il caso Halimi non dissolve la nebbia antisemita dal cielo di Parigi

di Giulio Meotti

ilan-halimi1Parigi –  Si è chiuso una sera di shabbat il più terribile episodio di antisemitismo francese dalla Seconda guerra mondiale. La corte di Parigi si è riunita venerdì notte, durante la sacra festività ebraica, per pronunciare il verdetto sul caso Ilan Halimi. E’ stato condannato all’ergastolo Youssef Fofana, il capo dei “barbari”, il gruppo di giovani che nel 2006 torturò e uccise un giovane ebreo dopo tre settimane di agonia.

L’episodio mise in luce il feroce antisemitismo islamico, serpeggiante nei sobborghi multietnici francesi, sconvolgendo la Francia tanto che la polizia per giorni chiese alla famiglia Halimi di non fare parola a nessuno della vicenda. Ilan fu torturato per tre settimane da una trentina di persone, in un appartamento che un commentatore americano avrebbe soprannominato “un campo di concentramento fatto in casa”. Tutti i vicini potevano sentire le sue urla, ma nessuno denunciò gli aguzzini di Ilan. Il quale è stato poi ritrovato nudo, con ustioni sulla pelle e ferite mortali di arma da taglio su tutto il corpo.

La famiglia della vittima non ci sta e chiede l’appello. Troppa indulgenza per alcuni dei ventisei complici. Samir Ait Abdelmalek e Jean-Christophe Soumbou, i due complici più vicini all’omicida Fofana, si sono visti infliggere le pene più dure, quindici e diciotto anni. Per gli altri, a scalare fino a sei mesi. Quello che – ha detto il team legale degli Halimi – è “difficile da comprendere e accettare per la famiglia Halimi, sono le pene che riguardano i carcerieri e l’esca. Quest’ultima, una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 17 anni e si fece seguire da Ilan fino ad attirarlo nella cantina che divenne la sua prigione, è stata condannata a nove anni, una pena troppo lieve”.

Nidra Poller sul Wall Street Journal ha scritto che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. Emma è la bella ragazza che entrò nel negozio di telefoni cellulari di Parigi dove Ilan lavorava come commesso. Gli aveva dato appuntamento in periferia. Una trappola. Tre settimane dopo, Ilan venne trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des- Bois. Ci sono poi i “postini” che recapitavano alla famiglia le lettere dei carcerieri. Nessuno rifiutò di farlo.

Ieri, a Place Vendôme, nella stessa piazza dove a gennaio migliaia di musulmani si erano ritrovati per gridare “Morte a Israele, morte agli ebrei”, le organizzazioni ebraiche si sono ritrovate per protestare contro la sentenza. “Come ha fatto questo clima disumano a infiltrarsi nel paese che ha dato al mondo libertà, uguaglianza e fratellanza?”, ha chiesto Judea Pearl, il padre del giornalista decapitato perché ebreo. E’ la grande domanda a cui la Francia repubblicana dovrà rispondere.

(Fonte: Il Foglio, 14 Luglio 2009)

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  • #1Emanuel Baroz

    Il processo parigino alla “banda dei barbari” che rapì, torturò e uccise un giovane ebreo

    di Elena Lattes

    Iniziato il 25 ottobre scorso si è concluso recentemente il processo in appello alla “banda dei barbari”, quel gruppo che all’inizio del 2006 rapì e torturò fino ad ucciderlo Ilan Halimi, 23enne ebreo parigino. Le udienze, come quelle in primo grado, si sono tenute a porte chiuse (poiché due degli imputati erano minorenni all’epoca dei fatti), contrariamente a quanto era stato chiesto dalla parte civile.

    Nonostante Youssouf Fofana, capo della banda e il più violento, non fosse presente (aveva rinunciato al ricorso in appello), l’atmosfera è stata tesa durante tutto il processo e alcune udienze sono state sospese; un giurato è svenuto quando sono state riesposte le condizioni di detenzione e le torture subite da Ilan; non sono nemmeno mancati episodi di aggressioni fisiche: uno dei rapitori Jean Cristophe Soumbou, in una delle udienze, ha sferrato un pugno a Jerome R. uno dei carcerieri e primo interpellato nel processo, definendolo “sporco traditore”. Il padre di quest’ultimo a sua volta ha restituito il pugno al mittente.

    Le condanne risultate da questo appello sono leggermente più pesanti delle precedenti per sette dei 17 accusati della banda. A Jean-Christophe Soumbou e Samir Aìt-Abdelmalek, considerato il braccio destro del capo Youssouf Fofana, hanno dato tre anni in più (18 anziché quindici).

    Confermate le pene dei minorenni all’epoca dei fatti. In particolare ad Emma, la ragazza che servì da esca, sono stati dati 9 anni.

    La corte ha altresì riconosciuto il carattere antisemita degli atti compiuti, ma secondo Emilie Frèche, autrice, insieme alla signora Ruth Halimi, mamma del ragazzo, del libro “24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi” tradotto anche in italiano, il caso è stato trattato come un semplice fatto di cronaca.

    “Alcuni sostengono – dice la scrittrice in un’intervista – che l’equazione ebreo = denaro sia appropriata e non sia un pericoloso pregiudizio. Per questo penso che la Francia si sia privata di un processo pedagogico. Se la storia raccontata nel libro ha commosso la gente è perché si parla della sofferenza di una mamma che è universale e tutti vi si possono riconoscere. Solo in questo modo è stato possibile far passare il messaggio. Ma se il processo non si fosse svolto a porte chiuse tutti si sarebbero potuti rendere conto che chiunque dei nostri figli potrebbe un giorno far parte della ‘Banda dei Barbari’, come essi stessi si sono definiti. La tentazione di barbarie esiste in ciascuno di noi. Tutti avrebbero potuto vedere che l’antisemitismo comincia a partire dal momento in cui si decide di andare su e giù per i negozi di boulevard Voltaire alla ricerca di ebrei invece che per quelli di un’altra zona di Parigi. È per questo che Ruth avrebbe voluto un processo pubblico. L’antisemitismo non riguarda gli ebrei, ma riguarda tutti noi. Se un nero viene ucciso a causa del colore della sua pelle, mi sentirei coinvolta in quanto essere umano.

    Desidererei esserne informata e non vorrei che il delitto venisse annunciato soltanto davanti al Consiglio rappresentativo delle associazioni dei neri (in francese CRAN). Se una donna è massacrata perché è una donna, spero ugualmente che ci siano degli uomini interessati al caso”.

    Altri hanno deplorato l’indulgenza della corte nei confronti di Emma, l’esca. Soddisfatta, invece, l’avvocato della parte civile, Sig.ra Szpiner: “tutti i carcerieri hanno avuto un aggravamento della pena” (fino ad un massimo di 3 anni in più).

    (Fonte: Agenzia Radicale, 2 gennaio 2011)

    9 Gen 2011, 11:53 Rispondi|Quota