Roma: oggi luci del Colosseo spente per Gilad Shalit

 
Emanuel Baroz
24 giugno 2010
2 commenti

Oggi luci del Colosseo spente per Gilad

Oggi si spegneranno le luci del Colosseo. Per chiedere la liberazione di un ragazzo che è ancora nelle mani dei terroristi. Si tratta di Gilad Shalit, il soldato rapito il 25 giugno del 2006 in territorio israeliano per mano di Hamas. A quattro anni dal rapimento, i romani insieme ai rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali, si riuniranno in piazza per lanciare un messaggio al mondo intero: «Gilad libero subito!».

È da mesi che si prepara «Roma per Gilad Shalit», le locandine, i gruppi su Facebook, spuntano come funghi. L’appuntamento è per stasera alle 21.30, su un palco si alterneranno gli interventi e verranno proiettate sul maxischermo immagini di Gilad, da uomo libero a prigioniero dei terroristi, così alle 23 (quando in Israele scoccherà la mezzanotte) si spegneranno le luci del Colosseo, «per riaccendere una speranza», scrive un giovane su Facebook.

«Il progetto è stato ideato dell’Unione dei giovani ebrei d’Italia, presieduta dal nuovo presidente Giuseppe Piperno e dal Benè Berith Giovani», spiega il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. «Abbiamo avviato anni fa questa campagna perché sentiamo forte il peso dell’angoscia per Gilad Shalit, che è ancora nelle mani dei terroristi di Hamas. Con il sindaco abbiamo continuato a lavorarci. Alemanno ha dato l’estate scorsa la cittadinanza onoraria a Gilad in una commovente cerimonia, presenziata dal padre di Gilad, Noam, presso la Sala Giulio Cesare del Campidoglio. Anche il presidente della Provincia Nicola Zingaretti ha fatto molto: ha pubblicato e stampato un libro con la favola che Gilad ha scritto da bambino «Quando il pesciolino e lo squalo si incontrano la prima volta», illustrato dai ragazzi della Provincia.

Il Comune ha sostenuto fortemente l’iniziativa del Colosseo. Altre città d’Italia hanno aderito e le amministrazioni comunali spegneranno le luci di un monumento. «Sì, ma Roma per Gilad Shalit ha un valore particolare – continua il presidente della comunità – poiché Gilad è cittadino della capitale».

La scorsa estate il sindaco ha fatto affiggere la foto di Gilad in Campidoglio, che è tutt’ora davanti al Marco Aurelio. Pacifici lancia l’appello a tutti, anche alle Ong che operano per i diritti umani nel mondo: «Gilad era un soldato quando è stato rapito all’interno dei confini nazionali d’Israele. Neanche la Cri, nel rispetto delle convenzioni di Ginevra, ha potuto verificare le sue condizioni. Poche settimane fa quando la Nave Marmara è partita alla volta di Gaza, coloro che si definiscono pacifisti si sono persino rifiutati di recapitare ad Hamas una lettera di Noam Shalit destinata a suo figlio».

In Israele nello stesso giorno ci saranno manifestazioni, in cui si chiederà al mondo intero di mobilitarsi per portare a casa il giovane rapito. È difficile sperare che iniziative del genere abbiano un riscontro nell’immediato, Hamas ha dimostrato più volte in questi anni di restare sordo agli appelli, «ma ciò che vogliamo – sottolinea Pacifici – è sensibilizzare l’opinione pubblica. Quella contro Hamas è una guerra per rivendicare i nostri valori, che appartengono a tutta la società civile, primo tra tutti la libertà».

IlGiornale.it

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  • #1Alberto Pi

    Quattro anni di buio per il soldato Shalit

    di Ugo Trambali

    Quattro anni fa i fantasmi uscivano dal sottosuolo di Gaza e rapivano Gilad Shalit; lo trascinavano nei loro cunicoli che nemmeno quasi un mese di guerra e di bombardamenti israeliani riuscirono a scoperchiare. Da allora Shalit non è più riemerso, di lui non si sa nulla.

    L’isolamento assoluto nel quale il soldato tra poco ventiquattrenne viene tenuto dal 25 giugno del 2006, secondo Human Rights Watch è «crudele e inumano». La Convenzione di Ginevra impone che i prigionieri di guerra abbiano un contatto con la Croce Rossa o qualche altra organizzazione internazionale e non siano usati per la propaganda del carceriere. Per più di tre anni di Shalit non si era saputo nulla, nemmeno se fosse vivo. Poi Hamas ne mostrò un filmato la cui attualità era garantita dalla data di un giornale che esibiva fra le mani il soldato, in uniforme e apparentemente in buone condizioni. Da allora silenzio assoluto. Negli ultimi sei mesi il movimento islamico ha anche interrotto ogni contatto con il mediatore tedesco, incaricato di trattarne la liberazione.

    Ieri una parte di Israele si è mobilitata per chiedere di liberare Gilad. Noam, il padre del giovane, gira il mondo per ottenere solidarietà. Nonostante sia in guerra da prima della sua fondazione – o forse proprio per questo – Israele non ha mai abbandonato un suo soldato: vivo o morto che fosse. Ma Gilad Shalit, appunto, è un soldato: un carrista, rapito in un’imboscata fra Gaza e Israele. Non un civile. Seppure non trattati allo stesso modo, nelle carceri israeliane ci sono circa 16mila prigionieri palestinesi: ci sono donne, anziani, qualche minorenne e molti civili arrestati solo per aver tentato di resistere allo sradicamento dei loro ulivi sulla loro terra.

    Ma Gilad è soprattutto un soldato in servizio effettivo nelle considerazioni del governo e di una buona parte della società civile israeliani. Gli attestati di solidarietà e i manifestanti per Gilad sono molti dentro il paese, ma non moltissimi: anche la gente è combattuta fra l’aspetto umano della vicenda e quello pubblico, dell’interesse collettivo. Chiunque fosse al posto di Noam, il padre di Gilad, si comporterebbe come Noam; e chiunque fosse al posto di Bibi Netanyahu sarebbe costretto a comportarsi come Netanyahu o come ogni altro primo ministro al suo posto. In questi quattro anni è capitato più di una volta che la liberazione del soldato fosse imminente. E tutte le volte, se l’accordo è fallito la colpa è stata del governo israeliano più che del movimento islamico: o delle considerazioni di opportunità generale che un governo ha l’obbligo di fare in casi simili.

    Per Hamas Gilad Shalit è un capitale politico. In cambio della sua liberazione non solo pretende non meno di un migliaio di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane; non solo vuole Marwan Barghouti di Fatah, il più amato fra i prigionieri palestinesi; non solo pretende la liberazione di alcuni terroristi dal passato indicibile. Hamas vuole soprattutto una vittoria politica su Israele, su Abu Mazen e Fatah, sull’Egitto, gli arabi moderati, gli Usa e l’Europa.

    All’approssimarsi di un accordo spesso erano gli americani, l’Egitto e Abu Mazen a opporsi al compromesso che Israele stava valutando. È per questo che Ehud Olmert, Tzipi Livni, Ehud Barak, Shimon Peres, Bibi Netanyahu e nessuno dei leader di destra e sinistra del paese alla fine ha mai portato a casa Gilad Shalit. E forse per molto tempo ancora non lo farà.

    – Le tappe

    Il 25 giugno del 2006, Gilad Shalit, caporale di 19 anni con doppia nazionalità israeliana e francese, viene rapito al confine con la Striscia di Gaza dopo un blitz in territorio israeliano di miliziani legati ad Hamas
    Quattro giorni dopo le forze armate israeliane lanciano un’offensiva nella zona meridionale della Striscia per tentare di liberarlo. Successivamente iniziano le prime trattative (con la mediazione egiziana) sulla base della richiesta palestinese di uno scambio di prigionieri

    – Trattative e messaggi

    Una prima lettera autografa del militare viene consegnata ai mediatori pochi giorni dopo il sequestro. Seguono un messaggio audio in cui il militare chiede al governo di attettare uno scambio di prigionieri e una seconda lettera ai familiari (estate 2007), una terza lettera (2008), un video con il militare che legge un giornale di pochi giorni prima (ottobre 2009).
    Due i nodi principali della trattativa: il mancato accordo sullo scambio di prigionieri e il perdurante blocco della Striscia di Gaza

    (Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2010)

    28 Giu 2010, 09:30 Rispondi|Quota
  • #2Alberto Pi

    Israele, l’agonia di Shalit: da 4 anni nelle mani di Hamas

    Catturato mentre presidiava il valico di Kerem Shalom il caporale Gilad Shalit ha iniziato il quinto anno di prigionia, isolato dal resto del mondo per volere dell’organizzazione palestinese

    Catturato mentre presidiava il valico di Kerem Shalom (fra Israele e Gaza) il caporale Gilad Shalit ha iniziato oggi il quinto anno di prigionia, isolato dal resto del mondo per volere di Hamas. In una intervista a radio Gerusalemme Mahmud a-Zahar, il responsabile del movimento islamico che coordina da Gaza le trattative indirette con Israele per uno scambio di prigionieri, ha oggi nuovamente denunciato la rigidità del governo israeliano ed è quindi ricorso ad un espediente di querra psicologica quando ha affermato di ignorare se il prigioniero sia ancora nella Striscia di Gaza. Giorni prima un giornale di Hamas, a-Risala, aveva riferito da Gaza che Shalit segue i campionati mondiali di calcio alla televisione ed è deluso dalla prestazione della sua nazionale preferita:la francese.

    Né la sortita di a-Zahar né le “rivelazioni” di a-Risala sono state commentate dalla famiglia Shalit che da anni è sottoposta ad uno stillicidio di notizie contraddittorie sulla sorte del figlio e sulle trattative, negoziate dal tedesco Gerhard Konrad. Gli Shalit stanno rivedendo gli ultimi dettagli di una marcia che da domenica in 12 giorni li porterà dalla loro abitazione di Mitzpe Hilà (al confine con il Libano) fino alla residenza del premier Benyamin Netanyahu, a Gerusalemme. Là intendono mettere su una tenda e “non demordere” fino a quanto Gilad sarà nuovamente libero. “Sanno che potrebbero dover restare fino all’inverno”, ha detto l’organizzatore della protesta.

    (Sky TG24, 25 giugno 2010)

    28 Giu 2010, 09:34 Rispondi|Quota