9 Ottobre 1982, ore 11:55: il terrorismo palestinese colpisce la Comunità Ebraica di Roma. Per non dimenticare

 
Emanuel Baroz
9 ottobre 2010
8 commenti

Come ogni anno in questo triste anniversario cerchiamo qui di rammentare ai più distratti o a chi proprio non è a conoscenza di questo tragico avvenimento, cosa accadde la mattina del 9 Ottobre 1982 alla Sinagoga Maggiore di Roma. Lo facciamo perchè riteniamo sia giusto farlo e perchè è solo in ricorrenze del genere (purtroppo)  che ad alcuni si risvegliano le coscienze. Che il ricordo del piccolo Stefano Gay Tachè sia in benedizione.

9 Ottobre 1982, ore 11:55: il terrorismo palestinese colpisce la Comunità Ebraica di  Roma. Per non dimenticare.


Grazie!!! Ringraziamo la stampa: La Repubblica, L’Unità, Paese Sera, Il Messaggero, Il Corriere della Sera, l’Avanti, Il Manifesto, Panorama e l’Espresso. Il Presidente Pertini, Andreotti, il Papa per i loro articoli e i loro incontri con Arafat. Questi hanno causato l’antisemitismo come durante il fascismo. Non desideriamo articoli di compassione

9 ottobre 1982

(Volantino affisso sui cancelli di Via Catalana poche ore dopo l’attentato)

Sono le 11,55 di sabato mattina 9 ottobre 1982. È Sheminì Azeret, ultimo giorno della festa di Sukkot (delle Capanne). I fedeli escono dalla Sinagoga Maggiore di Roma attraverso il piccolo cancello di ferro annerito su Via Catalana. Il mediorientale che sosta sul marciapiede opposto infila la mano destra nella sacca, sorride, guarda negli occhi chi sta uscendo. Lancia una granata. I fedeli cadono a terra. Poi arrivano le sventagliate di mitra. Gli attentatori sono una decina, si mettono in fuga: l’unico nome noto, il giordano-palestinese Osama Abdel Al Zomar, sarà condannato all’ergastolo solo dopo essere svanito su un volo dell’Olimpyc Airways Atene-Tripoli a fine 1988. Nell’attentato, ufficialmente organizzato per vendicare l’invasione israeliana del Libano (dopo 12 anni di attentati terroristici in territorio israeliano compiuti dai palestinesi con base in Libano), viene ucciso il fanatico sionista Stefano Tachè, ebreo romano di anni due. Trentacinque persone vengono ferite, alcune in modo molto grave, fra cui Emanuele Pacifici, figlio del rabbino di Genova Riccardo Pacifici, deportato ad Auschwitz con la moglie, e non ritornato.

Neanche due ore dopo l’attentato viene distribuito un volantino redatto frettolosamente dagli studenti ebrei, intitolato ironicamente “Grazie!”. È un atto d’accusa contro Giulio Andreotti e Bettino Craxi che flirtano con Yasser Arafat; contro il Pci filo-sovietico schierato dalla parte degli arabi; contro quotidiani e settimanali dove fioccano i paragoni fra sionismo e nazismo confusi fra le critiche all’invasione israeliana del Libano; contro gli autonomi romani che avevano affisso lo striscione “Bruceremo i covi sionisti” sulla piccola Sinagoga di Via Garfagnana; contro i sindacati che avevano deposto una bara di fronte alla Sinagoga Maggiore fra sventolii di bandiere rosse; contro Sandro Pertini, capo dello Stato ed attento alle ragioni di tutti ma non degli ebrei.

Sono passati 28 anni da allora: è cambiato qualcosa?

Thanks to Barbara

Nella foto in alto: la targa in ricordo del piccolo Stefano Gay Tachè, di fronte alla Sinagoga Maggiore di Roma

A proposito di quel terribile attentato consigliamo la lettura dei seguenti articoli:

Bruno Zevi: un discorso memorabile e, purtroppo, sotto molti aspetti ancora attuale

Cossiga agli ebrei italiani: “Vi abbiamo venduto”

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  • #1sandro lontano

    come in tutte le guerre/guerriglie, chiametela come volete, da 100 aa sembra gli innocenti i primi a pagare. questo senza nulla togliere al fatto che “il gesto” fine a sè stesso sia barbaro,inutile a qls causa e motivo

    9 Ott 2010, 19:35 Rispondi|Quota
  • #2Maurizio Moretti

    Quel sabato ero come sempre a casa e all’ora del pranzo appresi dal Tg dell’attentato al tempio maggiore di Roma. Il tempo di riflettere e partii con la mia macchina per stare vicino a quella comunità ebraica che frequento da una vita. Trovai gli amici, i conoscenti, alcuni fra loro con idee differenti sul problema medio-orientale, indice di forte presenza democratica, ma tutti increduli su quello che era accaduto. Il mio pensiero va spesso a quel lontano giorno come alle manifestazioni davanti palazzo Chigi dopo la ridicola storia della fuga del nazista Kappler e sono orgoglioso di pensare: io c’ero!

    11 Ott 2010, 07:58 Rispondi|Quota
  • #3Maurizio Moretti

    Quel sabato di 18 anni fa ero come sempre a casa e all’ora del pranzo appresi dal Tg dell’attentato al Tempio maggiore di Roma. Il tempo di riflettere ed ero già in macchina per stare vicino a quella comunità che frequento da una vita. Incontrai. gli amici, i conoscenti, alcune con idee contrapposte alle altre sul problema medio-orientale ma indice di un forte impegno democratico e pluralista ma tutti increduli per quello che era accaduto nella città di Roma. Spesso ripenso a quel lontano giorno come alle manifestazioni davanti a Palazzo Chigi dopo la ridicola “evasione” del nazista Kappler e sono orgoglioso di pensare:Io c’ero!

    11 Ott 2010, 08:06 Rispondi|Quota
  • #4paola

    davvero si spera che tragedie così non debbano piùaccadere in Italia e in qualsiasi parte del mondo, se poi a rimetterci la vita debbaessere un bambino non ci sono neanche più parole. Quando l’umanità smetterà diu odiarsi sarà il giorno più bello e non solo per me, ma per tutti. C’è solo da chiedersi: ma perchè nel mondo vi è tanto odio? Non sarebbe più facile volersi bene o no? Ma sono soltanto delle mie opinioni.

    9 Ott 2011, 21:18 Rispondi|Quota
  • #5David Pacifici

    Nel corso della serata con cui abbiamo segnato a Gerusalemme i 30 anni dall’attentato al Tempio di Roma e ricordato la tragica morte di Stefano Michael Gaj Tachè z”l (l’audio della serata è qui: http://www.hevraitalia.org/attentato82.mp3), ho avuto modo di esporre come vittima e testimone la mia ricostruzione del terribile evento.

    Visto che ho presentato alcuni elementi sfuggiti alla maggior parte delle persone e che costituiscono ancora oggi interrogativi angoscianti, vorrei condividerli con voi.

    1) La totale assenza delle forze dell’ordine, vigili urbani inclusi, intorno al Tempio solo quella mattina è un fatto assodato. Meno noto che il presidente Cossiga abbia dichiarato a Menachem Ganz: “Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell’ambito di quell’accordo di cui mi hanno sempre negato l’esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente…”. Cioè non lo sapeva allora, lo ha saputo dopo. Chi ha dato l’ordine?
    2) Le bombe a mano. In nessuno delle centinaia di attentati in Europa o in Israele compiuti da terroristi palestinesi sono mai state utilizzate le bombe a mano. Il motivo è semplice: in campo aperto se l’attentatore non trova immediato riparo resta colpito anche lui. Lanciare rimanendo in posizione eretta è contro ogni regola, ma è ciò che è avvenuto nel nostro caso con una distanza tra terrorista e vittime di soli 10 o 15 metri. E allora? I terroristi hanno evidentemente utilizzato bombe a carica ridotta da esercitazione lanciandole non tra la gente ma il più lontano possibile nel giardino, in zone dove non c’era nessuno: davanti al portone principale o verso il Tempio Spagnolo e questo posso affermarlo avendole viste volare sopra la mia testa. In pratica senza fare danni. Le bombe che ho seguito con gli occhi e che ho disegnato per i disinteressati inquirenti, avevano un manico: è un accorgimento che consente di lanciarle del 50% più lontano. Due bombe hanno causato il peggio: una ha colpito, probabilmente per un lancio errato, la colonnina dove oggi c’è la lapide ed è caduta per terra (dove ha lasciato un foro) tra le gambe di Stefano e Gadi e di alcuni dei feriti più gravi. La seconda lanciata verso il Tempio Spagnolo, quindi molto distante, è esplosa a mezz’aria colpendo e la famiglia Hazan che attraversava la strada. Queste considerazioni mi hanno convinto che l’attentato doveva essere dimostrativo, senza provocare vittime. Un maledetto imprevisto lo ha trasformato in tragedia.
    3) I mitra. In tutti gli attentati in Europa di quell’anno i mitra sono stati utilizzati per finire senza pietà i feriti dell’esplosione di ordigni ad alto potenziale. Nel nostro caso i terroristi hanno sparato in aria solo per coprirsi la fuga. Due di essi erano appostati a protezione degli altri all’angolo tra via Catalana e Portico d’Ottavia, dove i feriti più leggeri ed i soccorritori improvvisati transitavano correndo per raggiungere l’ospedale, ma non hanno interferito. Ancora, non volevano uccidere, sarebbe stato facilissimo.
    4) Il fotografo di via Catalana. Si chiama Roberto Barberini, ancora lavora. Si occupava di cronaca nera, spesso si univa alle “volanti”: cosa ci faceva in ghetto di sabato mattina, posto sempre tranquillo, e vicino al Tempio dal quale la nostra sicurezza lo avrebbe certamente allontanato? Aveva captato l’ordine dato alle forze dell’ordine di non presentarsi? O, visto che la sua seconda specializzazione era ed è la fotografia dei politici in pose casual, e quindi li frequentava, aveva ricevuto una dritta? Abbiamo sei o sette foto scattate da lui ai feriti con poco contorno e pubblicate dalle riviste. È facile capire dallo stato dei feriti che si è mosso da Portico d’Ottavia (prima foto a Shulamit Orvieto) verso le “tre palme” (ultima foto di Max Shangar caricato in un auto). In queste foto si vede che le forze dell’ordine non erano ancora arrivate, i soccorritori sono tutti ebrei: quindi ha iniziato a scattare subito dopo la fuga dei terroristi. Ma quante foto ha scattato senza pubblicarle? Un professionista che si trova in una circostanza del genere scatta un rullino dopo l’altro. Dove sono le altre foto, in particolare quelle a tutto campo? Possiede foto dei terroristi in azione? Qualche giudice ha disposto una perquisizione a sorpresa del suo studio? Non credo. Infine, perché non ha documentato il “dopo”, il dispiegamento dei soccorsi, le ambulanze, la rabbia di tutti noi ed è sparito nel nulla?
    5) L’arrivo delle forze dell’ordine. Uscito dall’appartamento dove mi ero riparato ho assistito all’arrivo delle forze dell’ordine giunte quando tutti i feriti erano già stati evacuati, io sono salito sull’ultima ambulanza. Chi è arrivato? Di tutti i corpi possibili la Guardia di Finanza, in forze. Da dove, perché loro? Solo dopo sono arrivati poliziotti e carabinieri.
    6) L’ospedale Fatebenefratelli. Di sabato le sale operatorie sono chiuse e le équipe chirurgiche fanno il weekend. Quel sabato invece erano state convocate all’ospedale per attività di “aggiornamento”. Quando i feriti arrivarono era pronta una struttura formidabile. Un caso?
    7) Il fotografo di Lungotevere. Si chiama Massimo Capodanno. Sono sue le foto che ritraggono mio figlio Jonathan in braccio ad un vigile ed a una vigilessa nel breve momento in cui mi accomodavo nel posto di dietro di una 127 due porte della municipale e loro me lo passavano. Siamo quasi un’ora dopo l’attentato, avevo portato Jonathan al Fatebenefratelli ma visto il sovraccarico dei medici dopo un po’ ho deciso di spostarci al Bambino Gesù. Quali altre foto ha scattato prima? Possono aiutare la ricostruzione della tragedia?
    Il lodo Moro. Grazie alle rivelazioni del presidente Cossiga finalmente sappiamo per certo ciò che abbiamo sempre sospettato: “In cambio di una ‘mano libera’ in Italia i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e l’immunità di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d’Israele”. Cioè esclusi gli ebrei. Dopo le leggi razziali ed il 16 ottobre, il primo tradimento del regno fascista, ecco come ci ha traditi la repubblica democratica. L’attentato del 9 ottobre dell’82 non infrangeva il patto, era uno scellerato “diritto” dei palestinesi. (Il lodo Moro a giudizio di Cossiga è ancora vigente, anche con gli Hezbollah in Libano: i caschi blu chiudono gli occhi, migliaia di missili vengono schierati contro Israele, ma il contingente italiano è salvo!)
    9) Le indagini. Sono state una semplice formalità. Su imbeccata israeliana i Greci hanno fermato uno dei terroristi, l’Italia ha tentennato sull’estradizione e i greci lo hanno portato e liberato in Libia. L’Italia, ad oggi, non ha mai richiesto l’estradizione. Poi, sembra una presa in giro, lo ha condannato all’ergastolo, uccel di bosco.

    Mettendo insieme tutti questi fatti arrivo ad una sola conclusione. Altissimi livelli politici (il “grande vecchio” degli anni di piombo?) o i servizi segreti deviati di piazza Fontana, Bologna ecc. hanno approvato una azione palestinese. Un attentato vetrina per Arafat, forse un modo traumatizzante di fermare l’escalation antiebraica in corso nel paese per l’Italia. Hanno tolto le forze dell’ordine intorno al Tempio, forse predisposto i soccorsi ospedalieri e dato luce verde ad una condizione: niente morti. I palestinesi hanno accettato e si sono attenuti: il lancio troppo basso di una bomba ha mandato letteralmente tutto all’aria. Stefano Michael z”l ha pagato con la vita.

    15 Ott 2013, 16:11 Rispondi|Quota
  • #6Micol

    Una pagina vergognosa della storia italiana

    11 Ott 2014, 22:35 Rispondi|Quota
  • #7Emanuel Baroz

    Stefano, due anni, ucciso dal terrorismo. Il ”sabato di sangue” alla Sinagoga di Roma

    Il 9 ottobre del 1982 un commando armato spara e tira bombe fuori del Tempio: un morto, 37 feriti

    di Fabrizio Giusti

    Era sabato mattina, una giornata di festa. La fine dello Sheminì Atzeret, che chiudeva la festa di Sukkot, aveva riunito le le famiglie. Uscendo dal Tempio, i bambini che avevano appena ricevuto la benedizione non trovarono sorrisi, ma un numero imprecisato di attentatori che gli lanciarono contro granate e raffiche di mitra. L’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, alle ore 11.55, ad opera di un commando palestinese, accadde così, in un giorno di ottobre, tiepido come solo a Roma può manifestarsi. Un attentato terribile e inumano, che causò la morte di Stefano Gaj Taché, di soli due anni, ed il ferimento di 37 persone.

    L’attentato alla Sinagoga di Roma è stato attribuito ad una fazione palestinese che si rese protagonista, nei primi anni Ottanta, di diversi attentati contro siti ebraici in Europa. Nessuno ha mai pagato con un giorno di galera per l’aggressione del ”sabato di sangue”.

    Stefano Gaj Tachè rimase vittima – innocente e pura – di un odio fanatico che ha prodotto solo morte e disperazione. Fu ucciso dopo la preghiera, uscendo dal Tempio, in un’età in cui tutto si deve conoscere e tutto si deve capire. Aveva due anni. Poco per vivere. Poco per morire. Poco per essere ricordato. Rimosso dalla memoria collettiva come i fatti di quel giorno, trova oggi la sua degna memoria in un viale della Capitale che lo ricorda e in un premio – ”L’amico dei bambini” – che ne porta il nome. Il concorso per l’infanzia invita le scuole romane a compiere, con un elaborato scritto, una riflessione sui temi dell’accoglienza e del dialogo. In questo, forse, c’è il significato migliore per comprendere il senso di ciò che non si riesce a spiegare di fronte alla perdita di un’esistenza appena sbocciata. In questo, forse, si riscalda ancora quel sentimento che ci porta a sperare che il mondo domani possa essere migliore di quello che è, infestato ancora dai mali che lo perseguitano e che ci costringono a stare lontani gli uni dagli altri, in un inspiegabile senso di distanza che fa male a ogni confessione religiosa e ad ogni testo sacro che la spiega.

    http://www.ilmamilio.it/m/it/attualita/eventi/30-attualita/22825-stefano,-due-anni,-ucciso-dal-terrorismo-il-sabato-di-sangue-alla-sinagoga-di-roma.html

    11 Ott 2014, 23:40 Rispondi|Quota
  • #8Parvus

    A sparare furono degli arabopalestinesi. Ma i colpevoli morali furono quei politicanti e quei prelatanti indegni che di un terrorista fecero un eroe.

    9 Ott 2016, 16:13 Rispondi|Quota
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