Tripoli (Libia): voleva restaurare la sinagoga, ebreo minacciato

 
Emanuel Baroz
4 ottobre 2011
5 commenti

Tripoli (Libia): voleva restaurare la sinagoga, ebreo minacciato

di Davide Frattini

TRIPOLI — Il portone è di nuovo sbarrato, stretto dalla catena e bloccato dai mattoni. La sinagoga è rimasta aperta un solo giorno, il primo dopo 44 anni. David Gerbi racconta in lacrime di essere stato minacciato, costretto ad andarsene dopo aver pregato ieri mattina. «Mi hanno avvertito che un gruppo di miliziani stava arrivando con l’ordine di sgomberare».

Gerbi — fuggito in Italia nel 1967, a 11 anni, quando la rabbia araba per la sconfitta nella guerra dei Sei giorni ha travolto gli ebrei — è ritornato a Tripoli alla fine di agosto, sugli stessi pick-up che hanno portato i ribelli dentro la capitale. Ha incontrato due volte Mustafa Abdul Jalil, leader del Consiglio di transizione, e gli è stato promesso di entrare a far parte del «parlamento» provvisorio come rappresentante degli ebrei libici. «Il nuovo governo deve dimostrare se questo sarà un Paese democratico o razzista, se sono in grado di superare la propaganda di Muammar Gheddafi che prima ci ha espulsi e poi ci ha demonizzati».

Il ragazzo delle brigate fa da guardia alla sinagoga, mentre lo sceicco Jamal al Gazawi, capo religioso della zona, spiega che nessuno ha attaccato Gerbi, gli hanno chiesto un documento ufficiale «per dimostrare che avesse l’autorizzazione a riaprire il tempio». «La città vecchia è protetta da vincoli — aggiunge Salem al Asabi, che rappresenta il nuovo potere locale — e prima di spostare una pietra ci vuole il permesso». David crede poco alle spiegazioni burocratiche. «Mi è stato detto che stanno preparando una protesta dopo la preghiera di venerdì. Dalla piazza dei Martiri marceranno verso la sinagoga».

Il caso sta imbarazzando il presidente Jalil. Che parla di «questione prematura». «Chiunque abbia la cittadinanza libica può godere dei pieni diritti, a patto che non abbia altra nazionalità». I rapporti con la comunità ebraica di origine libica trascinano dietro quelli con Israele, argomento tabù per il governo.

(Fonte: Corriere della Sera, 4 ottobre 2011)

Nella foto in alto: la Sinagoga di Tripoli (altre foto qui)

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  • #1HaDaR

    Ma in che mondo disneyano vive costui? Ricostruire in una terra i cui abitanti hanno cacciato tutti gli Ebrei e il cui reggente ha per decenni finanziato , armato e aiutato in tutti i modi coloro che assassinano Ebrei?
    Ma che si faccia furbo!
    Un vero chillul Hashem (profanazione del Nome) sperperare soldi per costruire castelli nella Golà con tutti i bambini e vecchi Ebrei che sono poveri in Terra d’Israele!

    5 Ott 2011, 22:46 Rispondi|Quota
  • #2Sandro

    Tripoli non è suol d’amore

    “In Libia gli ebrei c’erano 2200 anni fa. Noi siamo più libici dei libici di oggi”. Shalom Tesciuba,assistito da Gino Mantin, guida una comunità di quasi 6.000 persone, raccolte intorno alla sinagoga di via Padova, a Roma. Sono tutti accomunati dallo stesso destino: cacciati da Tripoli nel 1967, ai tempi della guerra dei 6 giorni, prima ancora dell’arrivo dei Gheddafi. Non si stupiscono più di tanto, adesso che la stampa – anche quella internazionale – torna a parlare della loro presenza nella Libia del dopo-Gheddafi.

    Proprio uno di loro, David Gerbi, di professione psicologo, nato a Tripoli, ma vissuto a Roma quasi tutta lavita, si è messo in testa di riaprire la più grande delle 44 sinagoghe tripoline, tutte abbandonate dopo la cacciata.

    Per ragioni anagrafiche Tesciuba e Mantin ricordano Tripoli benissimo, dato che l’hanno lasciata quando avevano più o meno 30 anni. “Dopo la guerra mondiale – racconta Shalom – eravamo 42.000, di cui 38.000 solo nella capitale”. Un primo massacro di 220 ebrei nel ’45 fa capire che il clima attorno a loro non è favorevole. “Alla nascita di Israele moltissimi decidono di lasciare il Paese. Con una nave francese, che si chiamava Tabur, sono partite 1.800 persone. Erano tutti tra i 18 e i 30 anni, nessuno sposato, pronti a rifarsi una vita altrove”. Anche Shalom era in lista. “Ma avevo solo 13 anni. Troppo giovane per partire, non mi hanno voluto”, sorride.

    Sul ’67, Tesciuba e Mantin intrecciano i racconti: “Il 5 giugno scoppia il conflitto tra Egitto e Siria da un lato e Israele dall’altro. Cominciano gli atti di violenza, i saccheggi. Due famiglie intere vengono massacrate nelle loro case. Un giovane,Vito Mimun, viene ucciso per strada”. Le violenze continuano, la polizia non fa molto per proteggere gli ebrei, anzi. “Le autorità ci avvertono che siamo in pericolo, facendoci capire che forse è meglio cambiare aria. Poi però ci costringono a lasciare il Paese: ci mettono in tasca 20 sterline libiche (30 euro di oggi) e arrivederci”.

    È qui però che da quell’episodio remotola storia fa un salto al presente. L’americano Wall Street Journal, il britannico Guardian, oltre che Il Corriere della Sera in Italia, hanno dato la notizia che sta per essere riaperta, a Tripoli, la sinagoga di Dar Bishi a opera di Gerbi. Che ne pensano i tripolini di Roma? “I contatti con le autorità libiche non sono qualcosa che ha creato lui”, ci tiene a precisare Mantin. “Nel 2004 Moussa Kussa (capo dei servizi segreti di Gheddafi, ndr) mi chiama per proporre un incontro a Tripoli. La cosa va in porto, siamo ricevuti con tutti gli onori”. La delegazione “romana” sfiora perfino l’incontro col rais, non fosse che il venerdì dopo sarebbe cominciato il Ramadan “la cui data di inizio è mobile, tanto da far saltare l’evento previsto”.

    Insomma, il rais seconda maniera, quello che si vuole mostrare amico dell’Occidente e vuol far dimenticare il sostegno decennale al terrorismo internazionale, ha tutta l’intenzione di far pace con gli ebrei di Libia. L’allora ministro degli Esteri Albdul Shelgem chiede loro: voi ebrei siete i veri libici, perché siete scappati? E perché non tornate qui adesso? “Evidentemente era troppo giovane per sapere che non ce ne siamo andati di nostra iniziativa”, scuote la testa Tesciuba, sconsolato. “I miei figli nel ’67 erano piccoli. Loro a Tripoli ci sono solo nati, della Libia che ne sanno?”.

    Per questo alla comunità di via Padova il progetto di Gerbi non piace più di tanto. Sui lavori di restauro della sinagoga sarebbero pure d’accordo. Ma poi a pregare chi ci va, se gli ebrei cacciati allora, di tornare a vivere a Tripoli non ne vogliono sapere?

    (Il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2011)

    25 Ott 2011, 13:46 Rispondi|Quota
  • #3Sandro

    Libia – Cnt in imbarazzo per la riapertura di sinagoghe

    di Valentino Salvatore

    Con il tramonto del colonnello Muhammar Gheddafi, il Consiglio Nazionale di Transizione libico si consolida ma deve affrontare anche la questione della libertà religiosa dei non musulmani. Il rais infatti aveva cacciato tutta la popolazione di religione ebraica dal Paese dopo la guerra dei Sei Giorni. Ma ora alcuni ebrei cominciano a tornare: diversi giorni fa David Gerbi, cittadino italiano, aveva riaperto la sinagoga di Dar Bichi a Tripoli ma era stato costretto a chiuderla, formalmente perché non in possesso delle autorizzazioni. Il governo di transizione, guidato dal presidente Jalil, sembra imbarazzato per la questione. Al momento ancora non ha rilasciato permessi per edificare luoghi di culto non islamici giudicando la faccenda “prematura”. Ieri un gruppo di libici ha manifestato contro la riapertura delle sinagoghe.

    (UAAR Ultimissime, 7 ottobre 2011)

    25 Ott 2011, 13:46 Rispondi|Quota
  • #4Sandro

    La nuova Libia e gli ebrei

    Un gruppo di cittadini libici ha manifestato ieri a Tripoli contro la possibile costruzione o riapertura di sinagoghe in Libia.

    di Marco Tosatti

    Un gruppo di cittadini libici ha manifestato ieri a Tripoli contro la possibile costruzione o riapertura di sinagoghe in Libia. ”Noi, rivoluzionari del 17 febbraio, rifiutiamo che vengano edificati dei templi ebrei sulla terra libica”, ha sottolineato un comunicato del gruppo, distribuito nel corso di una manifestazione.

    I richiedenti di un tale progetto ”non devono essere ”israeliani, o sostenere Israele, ma devono difendere il diritto al ritorno sulle loro terre dei rifugiati palestinesi”, continua il comunicato, aggiungendo che ogni tipo di progetto deve ricevere autorizzazione senza condizioni.

    ”Abbiamo scoperto che un ebreo di origine libica aveva aperto le porte di un tempio chiuso da decenni, con l’autorizzazione del Cnt, ma il Consiglio ha smentito di avere dato questa autorizzazione e ha richiuso la struttura – ha indicato Walid Ramadan, 38 anni, uno dei manifestanti – non abbiamo problemi con gli ebrei dal punto di vista della religione, ma vogliamo che le cose siano fatte secondo le regole. E’ ancora troppo presto per iniziative di questo tipo”.

    (La Stampa, 7 ottobre 2011)

    25 Ott 2011, 13:47 Rispondi|Quota
  • #5HaDaR

    Non meniamo il can per l’aia…
    La Sharia PROIBISCE la costruzione di luoghi di culto non musulmani e la RESTAURAZIONE di quelli in disfacimento e OGNI LAVORO DI RINNOVO ESTSERNO.
    Le sinagoghe libiche sono TUTTE DISTRUTTE (vi ricordo che c’erano Ebrei in Libia, specialmente in Cirenaica, da SECOLI PRIMA dell’arrivo del primo arabo, da PRIMA dei tempi di Annibale! e fino al VI Sec. E.V. tennero testa alle Legioni Romane!!!).
    Ma non vedete come tutto il mondo occidentale, cosí come faceva il filo a HItler, fino a che non divenne troppo PER LORO, mente sull’Islam, al punto da fare salti mortali all’indietro e cercare di spiegare che chi avrebbe vinto le elezioni in Tunisia sarebbero degli “islamisti moderati”? Il che è come dire dei ladri onesti, degli assassini non violenti, dell’acqua asciutta, del fuoco freddo, delle tigri vegetariane?

    25 Ott 2011, 14:15 Rispondi|Quota