Giulio Andreotti: amico degli arabi, da Arafat ad Abu Abbas

 
Emanuel Baroz
7 maggio 2013
6 commenti

E’ notizia di ieri la scomparsa del Senatore a vita Giulio Andreotti, esponente di spicco della Democrazia Cristiana e dell’intera politica italiana fin dal dopoguerra, la cui carriera è stata piena di episodi piuttosto controversi (diciamo così…) sia in Italia che all’estero. Noi oggi vogliamo ricordare la sua persona e, sopratutto,  la sua politica, con l’articolo che potrete leggere qui di seguito. Buona lettura.

Andreotti amico degli arabi, da Arafat ad Abu Abbas

di Alberto Negri

morte-andreotti-arafat-focus-on-israelRoma, 6 Maggio 2013 – Nel mondo arabo e musulmano era così popolare che l’industria per la spremitura delle arance a Gaza era stata chiamata “la fabbrica di Andreotti”, perché il politico italiano si era molto adoperato per fare avere i finanziamenti all’Olp di Yasser Arafat con cui era da sempre in buoni rapporti. Certo nelle relazioni di Andreotti con il mondo arabo c’erano sempre di mezzo gli affari italiani, gli interessi petroliferi e quelli dell’Eni che allora coincidevano in gran parte con quelli del Paese, sulla scia delle relazioni avviate nel dopoguerra da Mattei.

Anche Gheddafi rientrava tra i suoi protetti perché garantiva all’Italia forniture petrolifere, commesse e un peso politico al nostro ruolo nel Mediterraneo. Fu lo stesso Andreotti a spiegare come il nostro governo negli anni’70 fece fallire un piano, appoggiato dagli inglesi, per abbattere Gheddafi che prevedeva di inviare dall’Italia a Tripoli una nave con emissari libici e mercenari. Si trattava di quello che è passato alla storia come il “piano Hilton”. Così raccontò Andreotti davanti a una commissione di indagine parlamentare: «Il colonnello Roberto Jucci si era occupato, se non ricordo male, di una nave in partenza da Trieste carica non di merci quanto di qualche cosa che doveva procurare guai a Gheddafi. L’operazione fu sventata personalmente dal colonnello Jucci». Il colonnello, poi diventato generale, era un uomo di fiducia di Andeotti che l’anno seguente, nel 1972, sarebbe diventato presidente del Consiglio.

In quella frase, «se non ricordo male», c’era tutto Andreotti, il quale ricordava ogni nome, particolare e dettaglio in maniera stupefacente. E anche Andreotti rimaneva impresso nella memoria dei suoi interlocutori mediorientali. Mohammed Larijani, ex viceministro degli Esteri e fratello dell’attuale presidente del Parlamento, qualche anno fa in un libro di memorie dedicò otto pagine a un ritratto di Andreotti. In Iran è sempre stato tenuto in grande considerazione al punto che anche quando non ebbe più cariche di governo venne ricevuto negli anni ’90 dall’allora presidente Rafsanjani con gli onori di un capo di stato. Rafsanjani lo accolse all’aereoporto sul tappeto rosso con gli inni nazionali e lo abbracciò: in fondo il leader iraniano, per la sua consumata abilità manovriera, gli somigliava.

Sembra che Andreotti tra le sue carte conservasse delle foto che lo ritraevano con la kefiah in testa. Con gli arabi fu certamente protagonista di gesti clamorosi. Nel 1982 invitò il presidente dell’Olp Arafat a parlare alla camera dei deputati a Roma, nell’85, da ministro degli Esteri impedì – insieme a Bettino Craxi allora premier – che i soldati americani catturassero, nella base siciliana di Sigonella, i sequestratori palestinesi della nave “Achille Lauro”. Andreotti si era rivolto ad Arafat per liberare la nave da crociera. Il leader dell’Olp inviò come mediatore Abu Abbas che in cambio della liberazione ottenne un salvacondotto per il commando dei rapitori, colpevoli di avere ucciso anche un cittadino americano paraplegico. Episodi come questi non lo fecero amare dagli Stati Uniti e da Israele che non apprezzavano la sua politica estera.

Lui tentò di spiegare le priorità della politica italiana agli alleati con una frase secca, una battuta come tante che aveva coniato nel corso di una carriera lunghissima: «I vicini non si scelgono». Era questa la preoccupazione che lo spingeva a parlare con tutti e a comprenderne le ragioni che fossero arabi, israeliani o iraniani. E naturalmente nei suoi incontri annotava tutto con la sua memoria formidabile. Me ne diede una prova personale quando il 17 gennaio 1991 incappai in una sanguinosa disavventura nel primo giorno dei bombardamenti americani sull’Iraq. Mi chiamò all’albergo di Amman per sapere quali fossero le mie condizioni. Non pensavo che mai si potesse ricordare di un anonimo e allora ancor giovane giornalista. Fu l’unica telefonata che ricevetti quel giorno dall’Italia.

Il Sole 24 Ore

Nella foto in alto: Yasser Arafat e Giulio Andreotti

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  • #1Emanuel Baroz

    Andreotti: quando mise kefiah, amico di arabi e palestinesi

    Dall’Achille Lauro a quando salvo’ Gheddafi da bombardamento Usa

    di Elisa Pinna

    (ANSAmed) – ROMA, 6 MAG – Andreotti l’arabo. Tra le sue carte il senatore a vita conservava con gelosia le foto scattate da un reporter dell’ANSA che lo ritraevano con la kefiah in testa; si tratta di immagini mai pubblicate fino ad oggi, ma che meglio di tanti discorsi sintetizzano la politica mediorientale del leader democristiano. Nella sua lunga carriera di presidente del Consiglio e di ministro degli Esteri, ha intrattenuto rapporti di amicizia con personaggi scomodi e controversi: Arafat, Gheddafi, Assad senior. E’ stato protagonista di episodi eclatanti: quando nel 1982 invito’ il presidente dell’Olp a parlare alla Camera dei deputati a Roma, sdoganandolo di fronte alla Comunita’ internazionale. O come quando, nel 1985, da ministro degli Esteri impedi’ – insieme a Bettino Craxi premier – che i soldati statunitensi catturassero, nella base di Sigonella, i sequestratori palestinesi della nave ‘Achille Lauro’. O ancora: nell’aprile del 2006 (probabilmente l’autore dell’articolo intendeva il 1986), quando Andreotti – sempre insieme a Craxi primo ministro – salvo’ la vita a Gheddafi, avvisandolo dell’imminente bombardamento statunitense su Tripoli, in rappresaglia ad un attentato ad una discoteca in Germania. Certo, Israele e Stati Uniti non lo amavano, ma lo rispettavano e lo stimavano e sapevano quanto potesse rivelarsi utile in trattative segrete particolarmente delicate, come la liberazione di soldati israeliani sequestrati in Libano. ”I vicini non si scelgono”, ripeteva spesso Andreotti. E per lui, la priorita’ della politica estera italiana non poteva che essere quella della riappacificazione con il vicino mondo arabo e mediterraneo, ferito dal passato coloniale e poi dalla questione israelo-palestinese. Era questa la preoccupazione che lo spingeva a parlare, trattare con tutti e comprenderne le ragioni. Il suo obiettivo era quello di creare le condizioni per la nascita di uno Stato Palestinese, accanto ad uno ebraico, cosi’ come previsto dalla risoluzione dell’Onu del 1947. ”Ci dovevano essere due Stati e ce ne e’ uno solo”, diceva. Di Arafat era stato un interlocutore sin dai tempi in cui il capo dell’Olp era considerato in molte cancellerie occidentali solo un terrorista. Fu ad Arafat che si rivolse, nel 1985, quando un commando di guerriglieri palestinesi non appartenenti all’Olp, sequestro’ la nave da crociera Achille Lauro con 450 persone a bordo tra equipaggio e passeggeri. Arafat invio’ come mediatore Abu Abbas che ottenne la liberazione degli ostaggi ma anche un salvacondotto per i sequestratori. Nel frattempo si era pero’ scoperta l’uccisione di un anziano passeggero ebreo, e i soldati Usa cercarono di dare l’assalto all’aereo su cui si trovavano, nella base aerea in Sicilia, i terroristi responsabili del sequestro dell’Achille Lauro e Abu Abbas in partenza per destinazioni amiche. Militari italiani si opposero.

    Ci fu quasi uno scontro armato tra americani e italiani. Alla fine, Craxi e Andreotti la spuntarono. Riuscirono a mantenere la parola data ad Arafat: i dirottatori furono processati in Italia e Abu Abbas, più tardi accusato di essere la mente di tutto il sequestro, pote’ ripartire, per poi essere catturato e ucciso in Iraq molti anni dopo. E durante la seconda Intifada in Israele e l’ondata di attentati di kamikaze, sospettati di essere finanziati dall’Iran, Andreotti una volta, nel 2002, disse: ”Se fossi stato in un campo profughi da 50 anni, con la mia famiglia, i miei figli, non avrei avuto bisogno dell’aiuto di Teheran per trasformarmi in un uomo-bomba”. (ANSAmed).

    http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/stati/israele/2013/05/06/Andreotti-quando-mise-kefiah-amico-arabi-palestinesi_8662702.html

    12 Mag 2013, 18:04 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    19/07/2006 – «OGNUNO DI NOI FAREBBE QUELLA SCELTA SE VIVESSE DA 50 ANNI IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO»

    Andreotti: se fossi nato lì sarei un terrorista

    di Jacopo Iacoboni

    Eterno Andreotti. È sceso il silenzio, ieri, nell’aula di Palazzo Madama quando il senatore a vita è intervenuto nel dibattito sulla guerra in Libano. «Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista».

    Non è una novità, naturalmente, e non è la prima volta che il divo Giulio espone limpido una posizione che ha ispirato quasi mezzo secolo di politica estera «realista» all’italiana. Eppure, i colleghi l’ascoltavano muti quasi come a una lezione di diplomazia democristiana. La linea italiana di politica estera, ha detto Andreotti, «prescinde dal carattere strutturale del governo, perché è nata nel ‘70 a Venezia, quando per la prima volta si parlò della necessità di dialogo tra israeliani e palestinesi». E pazienza se certe posizioni espressamente filoarabe non esistono più neanche nell’odierno centrosinistra (quello riformista, ovviamente), Andreotti ha ricordato che nel ‘48 l’Onu ha creato lo stato di Israele e lo stato palestinese, ma «lo stato di Israele esiste, lo stato arabo no». Chiosa finale, non lontanissima da certa odierna terminologia diplomatica ulivista: «Nel nostro vocabolario abbiamo la parola equidistanza ma non esiste la parola equivicinanza». Di qui l’auspicio a «riattivare, attraverso il nostro stimolo, un intervento dell’Unione europea perché questa è una situazione che moralmente dovrebbe impegnarci di più».

    Non sono molte, oggi, le posizioni di leader politici sensibili alla causa palestinese, se non proprio filoarabi o apertamente critici nei confronti di Israele. Certo, ieri il vecchio Pino Rauti ripeteva al telefono che «ufficialmente una critica a Israele ormai è scomparsa anche dentro An, anche se ufficiosamente una vocazione anti-israeliana resiste alla base, o tra i giovani, anche quelli di Azione giovani»; e assicurava che lui resta «della stessa idea di trent’anni fa: finché Israele viola il diritto internazionale, non ci sarà mai pace duratura». Ovviamente la critica a Israele del padre della destra radicale italiana non ha nulla a che fare con le riflessioni in Senato di Andreotti. Ciononostante c’è chi se n’è indignato, come il senatore forzista Alfredo Biondi, «l’affermazione è stata molto grave, non era proprio in giornata». Eppure in quell’affermazione risuonava come un riverbero di antiche diplomazie, aperte o celate, con più di un episodio di «legami paralleli» con governi e organizzazioni politiche arabe, presentabili e no. Con il Libano, anche.

    L’82 è un caso esemplare. È l’anno in cui l’Italia vince i mondiali spagnoli, Al Bano e Romina Power arrivano secondi a Sanremo con Felicità, l’esercito argentino occupa le Falklands. A giugno l’esercito israeliano invade il Libano meridionale, a settembre spalleggia le milizie maronite responsabili del massacro di Sabra e Chatila. L’Italia invia i bersaglieri – specialisti in peacekeeping – nella Beirut in fiamme, città nella totale instabilità, flagellata dalle autobombe Hezbollah che colpiscono indistintamente americani, inglesi, francesi. Gli italiani però no, sono tra i pochi a esser risparmiati: si seppe poi che molto era dovuto al lavorìo di un uomo dei servizi, il colonnello Giovannone. Proprio il divo Giulio, un giorno, lo presentò come «un pacioccone molto esperto e capace»; un uomo, affermò, in grado di tessere qualunque tela in quella Beirut. Magari, ma questo non lo disse, facendo qualche passetto oltre l’andreottiana «equivicinanza».

    Oggi quella stagione non c’è più; nonostante l’equivicinanza abbia un che di ciclico, come le terribili guerre mediorientali.

    http://www.lastampa.it/2006/07/19/cultura/opinioni/editoriali/andreotti-se-fossi-nato-li-sarei-un-terrorista-pv34Mlfn0w9a4BWWX95xQL/pagina.html

    12 Mag 2013, 18:05 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Andreotti: Nemer Hammad, favori’ incontro Europa-Paesi arabi

    Ex capo Olp a Roma, fu artefice prima visita Arafat in Italia

    di Michele Monni

    (ANSAmed) – RAMALLAH, 06 MAG -”L’Italia perde uno dei piu’ grandi politici europei dopo la seconda guerra mondiale”, promotore del primo incontro fra europa e paesi arabi del Mediterraneo. Non ha esitazioni Nemer Hammad – consigliere del presidente dell’Autorita’ palestinese Abu Mazen e per 30 anni responsabile dell’Olp a Roma – nel commentare con l’ANSA la figura di Giulio Andreotti. Hammad – che ha espresso costernazione per la morte del ‘Divo’ – ha poi detto che Abu Mazen rivolgera’ personalmente le proprie condoglianze al governo italiano e non ha escluso che una rappresentanza palestinese si rechi a Roma per partecipare ai funerali del politico italiano. L’ex responsabile dell’Olp ricorda subito che Andreotti si fece promotore del primo incontro, a Roma, tra paesi europei e i paesi Arabi del Mediterraneo: Fu – dice – l’architetto indiscusso di quell’incontro. E fu lui a volere fortemente la prima visita di Yasser Arafat in Italia nel 1982 e l’incontro tra il Rais e Giovanni Paolo II”.

    Hammad – che ricorda le posizioni di Andreotti sul conflitto arabo-israeliano, la questione palestinese e la comprensione per chi viveva nei campi profughi – rievoca poi anche gli aspetti piu’ privati della sua amicizia con Andreotti. ”Si alzava prestissimo e organizzava le riunioni in orari che mettevano in serie difficolta’ i meno mattinieri: dopo una decina di incontri alle sette della mattina – ricorda – dovetti chiedergli di posticipare i nostri futuri incontri ad un orario piu’ consono. Senza battere ciglio, rispose: ‘facciamo alle sette e mezza?”’.

    Per sottolineare lo speciale interesse di Andreotti per la condizione palestinese Hammad menziona un episodio del 1979 quando, a seguito di eccezionale annata della produzione di olio di oliva in Cisgiordania, l’allora presidente del consiglio italiano ”impose all’agenzia ONU del World Food Program (con sede a Roma) l’acquisto a scopi umanitari dell’olio palestinese, contribuendo notevolmente a cambiare l’attitudine dell’opinione pubblica mondiale verso la Palestina”. (ANSAmed).

    http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/stati/israele/2013/05/06/-ANSA-BOX-Andreotti-Hammad-favori-incontro-Europa-Paesi-arabi_8662123.html

    12 Mag 2013, 18:05 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    L’ex presidente del libano Gemayel:«Andreotti, vincente la sua politica del dialogo»

    di Camille Eid

    Un grande statista che ha dato lustro alla politica estera dell’Italia. Così l’ex presidente libanese Amin Gemayel ricorda Giulio Andreotti. Al Paese dei cedri Andreotti aveva testimoniato, in piena guerra, il proprio attaccamento presentando il libro di Bernardo Cervellera “Libano, la pace futura”. A lui premeva, vi scriveva, favorire condizioni che permettessero di ristabilire quel modello di convivenza che rappresentava il Libano, ma era convinto che la crisi libanese non poteva essere isolata dal contenzioso mediorientale e cercava di impegnare l’Italia sui due binari paralleli.

    Presidente Gemayel, Andreotti si è recato in Libano subito dopo la sua elezione nel settembre 1982…
    Esattamente. Ma quello non fu il nostro primo incontro perché l’avevo conosciuto tre anni prima in Italia. Alla mia elezione, l’aeroporto di Beirut era ancora chiuso al traffico e Andreotti ha dovuto atterrare a Cipro, per raggiungere poi il Libano a bordo di un elicottero militare. L’Italia partecipava alla Forza multinazionale ed era normale mantenere i contatti ad alti livelli.

    Quali temi stavano al centro dei vostri colloqui?
    L’Italia, grazie al duo Andreotti-Craxi, si era mossa per creare le premesse alla normalizzazione del nostro Paese non solo favorendo la riconciliazione tra i libanesi, ma lavorando anche al riavvicinamento tra noi e i palestinesi. L’Olp di Arafat si fidava molto di Andreotti.

    Lui era infatti il promotore della cosiddetta politica “filo-araba” dell’Italia…
    Come capo della diplomazia, ha voluto piuttosto avere buoni rapporti con tutti. In effetti, con lui l’Italia ha saputo aprirsi nuovi orizzonti nel Mediterraneo e nel mondo. Ma non dimentichiamo che la presenza italiana in Libano non era ridotta alla presenza militare. Gli italiani erano, infatti, attivi anche in campo economico e degli aiuti umanitari.

    Andreotti racconta di essere rimasto colpito da una lunga descrizione che Assad padre gli fece sulla figura di San Marone, «meravigliato che io, cattolico, lo conoscessi così poco». Di Andreotti il cattolico, ricorda qualcosa?
    Non abbiamo affrontato temi religiosi, ma sapeva benissimo che sono cattolico praticante e mi rispettava anche per questo. Conosceva poi la “saga” della mia famiglia e si rendeva conto che portavo addosso le preoccupazioni dei cristiani libanesi.

    Avete mantenuto i contatti dopo il suo “ritiro” dalla vita politica attiva?
    Certamente. L’ultimo nostro incontro risale a due anni fa. Sono andato a trovarlo nel suo ufficio al Senato e quella fu per noi l’occasione per rispolverare i nostri ricordi.

    Un ricordo in particolare?
    Una lettera di “rimprovero” che mi ha mandato per aver trascorso un weekend libero in Italia senza contattarlo. I suoi assistenti sono rimasti una volta sorpresi nel vederlo abbracciarmi e coprirmi di baci. Si vede che era riservato con i suoi ospiti. Con me, invece, ha infranto il protocollo.

    Questione di differenza di età?
    Anche. Quando sono arrivato alla presidenza avevo appena 40 anni, Andreotti 63. Il presidente Pertini, che invece ne aveva 86, mi chiamava “nipotino”.

    Se dovesse presentare la figura di Andreotti in poche parole, cosa direbbe?
    Un diplomatico di primo piano e un europeista all’avanguardia.

    http://www.avvenire.it/Politica/Pagine/ex-presidente-del-libano-gemayel-parla-di-andreotti.aspx

    12 Mag 2013, 18:30 Rispondi|Quota
  • #5Emanuel Baroz

    “Giulio d’Arabia”, le larghe intese di Andreotti in Medio Oriente

    di Alberto del Giudice

    “Giulio d’Arabia” era il titolo di un celebre articolo di Sandro Viola su Repubblica del 1986, che con due parole riassumeva la politica estera di Belzebù, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, ribattezzata riguardo al Medio Oriente, con un vocabolo che più democristiano di così si muore, “equivicinanza”, quando Andreotti persuade la Comunità Europea ad aprire all’Olp di Yasser Arafat, allora nemico giurato sia di Israele sia degli Usa. Due anni dopo il leader palestinese fu addirittura invitato a Roma alla Conferenza dell’Unione Interparlamentare, e Arafat intervenne di fronte all’aula gremita di Montecitorio.

    Nel 1985, l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro disse di Andreotti: “Certo Giulio è un po’ pesante se paragona le vittime del raid contro la base Olp a Tunisi ai martiri delle Fosse Ardeatine”. Ma Andreotti non si era fatto intimidire neppure da Reagan, figuriamoci dal suo collega di partito. Ancora nel 1988 prese le difese di Gheddafi di fronte al Presidente Usa e al suo Segretario di Stato Shultz, riguardo all’attentato di Lockerbie (l’aereo della pan Am esploso sui cieli della Scozia, 270 morti) e si adoperò sempre per un riavvicinamento tra gli Usa e la Libia, con cui l’Italia d’altra parte aveva strettissimi rapporti commerciali, fin dai tempi di Enrico Mattei.

    Ma il “Giulio d’Arabia” emerse soprattutto in occasione della crisi di Sigonella, quando in veste di Ministro degli Esteri del Governo Craxi, appoggio il premier socialista nel braccio di ferro con gli Usa, che consentì nell’ottobre 1985 ad Abu Abbas di fuggire in Jugoslavia, nonostante l’assassinio di un passeggero statunitense, Leon Klinghoffer, compiuto sulla nave italiana Achille Lauro.

    Così Forattini negli anni ’80, nelle sue vignette, oltre che con i consueti connotati della gobba e delle orecchie, ritraeva Il Divo Giulio con indosso la kefiah.

    http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2013/maggio/giulio-d-arabia-le-larghe-intese-di-andreotti-in-medio-oriente

    12 Mag 2013, 18:31 Rispondi|Quota
  • #6Emanuel Baroz

    12 Mag 2013, 18:34 Rispondi|Quota
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