Sei un terrorista? Per Abu Mazen meriti uno stipendio fisso!

 
Emanuel Baroz
17 febbraio 2014
4 commenti

Terroristi per “necessità”

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Rende bene, il mestiere di terrorista. Specie se ci si appiccica l’etichetta di “palestinese”, che viene inteso dall’ingenuo e credulone occidentale come vittima, oppresso, infelice. E – si sa – ostendando noi un passato colonialista da cui giustamente vogliamo affrancarci, non c’è niente di meglio che parteggiare ciecamente per chi una versione moderna di imperialismo starebbe subendo.

Come abbiamo rilevato in passato, dal 2004 in poi l’Unione Europea ha versato almeno 5 miliardi di dollari nelle casse dell’Autorità Nazionale Palestinese – 2 miliardi soltanto dal 2008 al 2012, in piena austerità da crisi economica; senza contare il fiume di denaro che governi e privati hanno devoluto ad ONG che dietro il vessillo arcobaleno della pace, celano iniziative di sostegno alle attività terroristiche. Una buona parte di questo fiume di denaro finisce direttamente nelle tasche di Abu Mazen e famiglia; ma non manca il sostegno ai terroristi ospiti delle galere israeliane, ai quali viene corrisposto un assegno – intascato dalle rispettive famiglie – pari al salario medio dei lavoratori palestinesi. Il bonus ovviamente aumenta a seconda della crudeltà del delitto commesso: Abdullah Barghouti, condannato a 67 ergastoli per l’uccisione di altrettanti israeliani, beneficia di un sussidio mensile di 1500 dollari: una sommetta niente male, in un’area dove il reddito mensile medio non supera i 600 dollari.

Si capisce bene che in un’area martoriata da corruzione e malaffare, se non si fa parte del clan degli Abu Mazen e della casta dei funzionari e portaborse dell’ANP, l’unico modo per portare a casa la pagnotta, consiste nell’iscriversi nelle lunghe liste di volenterosi carnefici; e poco conta che l’attentato sia consumato, o meno.

Il Welfare State palestinese è dunque particolarmente generoso con chi è disponibile a compiere attività criminali. Hosni Najjar, già arrestato e poi rilasciato, è stato colto di sorpresa dalle forze di sicurezza israeliane mentre preparava un nuovo attentato. Nell’interrogatorio, ha dichiarato che l’ANP gli ha versato un assegno di soli 45 mila shekel; pari a 12.500 dollari (20 volte la retribuzione media mensile). Ma, gli ha spiegato qualche solerte burocrate di Ramallah, in caso di reiterazione del tentato crimine, il bonus da corrispondersi sarebbe triplicato a 135.000 shekel: e questo, ammette Najjar, gli avrebbe consentito di ripagare qualche debituccio contratto in passato (cosa avrà mai comprato questo aspirante terrorista con tutto quel denaro in passato è un mistero; in un territorio dipinto dalla propaganda come misero e privo anche di generi di prima necessità).

Hosni Najjar è stato molto minuzioso nel descrivere alle forze dell’ordine di Gerusalemme lo “stato sociale” palestinese: le leggi locali prevedono un salario di 4.000 shekel al mese per chi si macchia di un reato che comporta una pena detentiva superiore ai 5 anni; salario che viene corrisposto per tre anni dopo il compimento della pena detentiva. Poiché il precedente attentato è stato sventato, lo sfortunato attentatore ha dovuto reiterare il reato, per beneficiare del generoso contributo dell’ANP.

Si ritiene che il 5% del bilancio dell’amministrazione palestinese sia destinato a sostenere i terroristi e le rispettive famiglie durante e dopo la detenzione. Non molto, in termini percentuali (ma pur sempre 100 milioni di dollari nel solo 2013, stando alla testimonianza resa d Palestinian Media Watch al parlamento britannico). Il che la dice lunga da un lato sulle enormi somme a disposizione dei palestinesi – mentre i greci fanno letteralmente la fame per stringere la cinghia e rimettere a posto i conti pubblici. Chissà quanta austerità sarebbe stata risparmiata agli europei negli ultimi cinque anni… –  dall’altro lato sul sistema di incentivi al terrorismo che fa sfuggira una amara risata a chi sente parlare di tentativi di conseguire una pace fra israeliani e gli stessi palestinesi.

A proposito: ora che Abu Mazen sta rispedendo ai mittenti le proposte di pace, dopo i tentativi altrettanto infruttuosi del 1967, del 2000 e del 2007; che ne sarà del centinaio abbondante di terroristi scarcerati a più riprese dallo stato ebraico come concreto gesto di buona volontà? ritorneranno a Gerusalemme? Forse è meglio di no: ne andrebbe delle finanze palestinesi. Che noi europei copriamo di tasca nostra.

Il Borghesino

Nella foto in alto: il “moderato” Abu Mazen (Mahmoud Abbas), l’interlocutore per una pace credibile e stabile secondo alcuni, mentre festeggia il rilascio di alcuni terroristi palestinesi nell’Agosto scorso…

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  • #1Emanuel Baroz

    È tempo di investimenti

    L’economia sta migliorando, ci avvisano gli esperti. Gli Stati Uniti procedono al galoppo, l’Europa sta faticosamente uscendo dalla recessione, e la Cina non preoccupa più di tanto. Merito soprattutto della ripresa degli investimenti, favoriti dai bassi tassi di interesse e dalla abbondante liquidità.

    Insomma, bisogna avere fiducia e investire, per uscire dalla crisi; è il monito corale degli economisti. È anche per questo che l’autorità palestinese ha deciso di aumentare gli stanziamenti a favore dei terroristi rilasciati in tempi diversi dalle carceri israeliane, in ossequio ad negoziati di pace che però si sono risolti in gesti di buona volontà soltanto unilateralmente. Palestinian Media Watch rende noto che il governo di Ramallah ha reso disponibili ulteriori 46 milioni di dollari per il 2014, per i criminali rilasciati da Gerusalemme, in aggiunta alle svariate centinaia di milioni di dollari stanziati in un bilancio bucato come una forma di gruviera per lo stesso scopo. Bizzarra ipocrisia, quello dei governi occidentali: che denunciano e deplorano il terrorismo mondiale, e si rifiutano sdegnati di sostenere finanziariamente chi attenta alla vita altrui; salvo versare nelle casse di Abu Mazen ingenti somme – due miliardi di euro, soltanto negli ultimi cinque anni, l’Unione Europea – che in significativa parte finiscono nelle tasche di chi ha le mani ancora macchiate del sangue di innocenti.

    Hamas non sta a guardare. Per non sfigurare di fronte ai nemici/rivali del Fatah, l’organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza sta lavorando alacremente al progetto M75. Si tratta di un missile a medio raggio, in grado di raggiungere agevolmente Tel Aviv. Gli attacchi incessanti di fine 2012, che condussero all’operazione Pillar of Defense, hanno indotto gli integralisti islamici della Striscia a correggere il tiro. Il prosciugamento delle forniture mediante i tunnel che collegavano l’enclave palestinese all’Egitto, la neutralizzazione delle piattaforme di lancio e degli impianti militari da parte dell’aviazione israeliana, e la prospettiva di colpire una zona nevralgica dello stato ebraico, hanno indotto Hamas a lavorare sempre più nel sottosuolo, scavando cunicoli e gallerie dove si prepara febbrilmente il prossimo attacco.

    La minaccia di una escalation nelle capacità di aggressione da Gaza sta inducendo il governo israeliano a correre ai ripari, per proteggere la numerosa popolazione di Tel Aviv. Aumentano gli stanziamenti nell’Iron Dome, il sistema di difesa rivelatosi tanto efficace quanto costoso: una singola batteria costa dai 35 ai 50 mila dollari, e occorrono svatiate munizioni per fronteggiare l’aggressività del terrorismo palestinese. Ciò sta costringendo Gerusalemme ad approntare misure di bilancio dolorose e impopolari. Gli stanziamenti per la difesa tirano da un lato la coperta della copertura finanziaria, sacrificando la spesa sociale. Da alcuni giorni gli 850 medici dei due ospedali della capitale sono in sciopero, dopo i ritardi e poi i tagli alle retribuzioni. Le due sedi dell’Hadassah – una struttura formalmente privata – di Ein Kerem e del Monte Scopus hanno accumulato un passivo di 368 milioni di dollari, che il governo esita a coprire. L’Hadassah cura quasi un milione di pazienti all’anno; fra questi, non pochi palestinesi provenienti proprio dalla Striscia di Gaza. Probabilmente le cure sanitarie sarebbero più facilmente erogabili se il governo non fosse costretto a proteggere la stessa vita dei suoi cittadini dalle minacce terroristiche. Ma questo ad Hamas interessa poco; salvo quando a Gerusalemme deve mandare i suoi propri cari.

    http://www.ilborghesino.blogspot.it/2014/02/e-tempo-di-investimenti.html

    18 Feb 2014, 20:04 Rispondi|Quota
  • #2Daniel

    Chissà se i terroristi timbrano il cartellino

    Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

    a destra, famigliari delle vittime del terrorismo palestinese con i ritratt dei loro cari assassinati

    Cari amici,

    vi racconto oggi una storia che forse sarebbe piaciuta a Eduardo de Filippo o a Pirandello. Non so se sia tutta vera, naturalmente, ma così è stata raccontata prima alla polizia e poi ai giornali e così io la riferisco a voi, naturalmente con l’intento di farci qualche riflessione assieme.

    Si tratta dunque di un povero arabo del territorio amministrato dall’Autorità Palestinese, o piuttosto di un arabo povero, il cui nome è Husni Najjar. Non ho trovato in rete dettagli su dove sia nato, ma sembra che abiti dalle parti di Hebron, o che vi abitasse, perché ora sta in galera. Di lui però si sanno alcuni fatti significativi: che è stato arrestato una volta per terrorismo e che, rilasciato dopo qualche anno, è stato arrestato di nuovo. Insomma parrebbe proprio che sia uno dei tanti terroristi che non si accontentano di un crimine solo, ma ci ricascano sempre, magari per le ragioni che vedremo dopo. E inoltre conosciamo un paio di dati privati: che è è afflitto dai debiti – per questo è un arabo povero piuttosto che un povero arabo – e che è molto innamorato, ha un grande desiderio di sposare la sua bella. E’ di qui, dai debiti e dall’amore, che inizia la sua storia più interessante e individuale. Un sito che riporta informazioni preziose sulle attività arabe, il PMW, ha pubblicato il verbale di un suo interrogatorio del 18 agosto scorso. Leggiamolo in una traduzione alla buona della traduzione inglese che trovate qui ( http://www.palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=10672):

    “Dopo il mio rilascio … trovai nel conto in banca 45.000 shekel [9000 euro circa] provenienti dallo stipendio che mi passava come detenuto il ministero degli Affari dei detenuti palestinesi. Però mi mancavano ancora 30.000 shekel [cioè 6000 euro] per potermi sposare. Ho deciso di organizzare un piano immaginario per la Shabak israeliano [Servizio generale di Sicurezza di Israele] in modo da farmi arrestare. Se fossi stato condannato a cinque anni, avrei ricevuto uno stipendio di circa 4.000 shekel, che sarebbe continuato per tre anni dopo la scarcerazione; ciò significa che ci sarebbe stato un importo complessivo di 135.000 shekel … e allora avrei coperto i miei debiti.”

    Insomma il povero Najar, che desiderando di sposarsi ha il buon senso di non voler fare il terrorista suicida (niente moglie per i morti) e forse neanche di esporsi ai rischi del terrorismo a bassa intensità che l’Autorità Palestinese chiama “Resistenza popolare”, ha deciso di fingere la preparazione di un attentato, di farsi scoprire o denunciarsi alla polizia israeliana e di andare in carcere comunque. Ancora dai verbali di interrogatorio: “A causa della mia difficile situazione finanziaria, ho deciso di organizzare un piano immaginario in modo da essere arrestato e ricevere più di cinque anni di carcere e ottenere così un salario stabile dall’Autorità Palestinese che avrei usato per coprire i miei debiti e pagare per il mio matrimonio” (http://www.timesofisrael.com/prisoner-plotted-terror-attack-to-receive-pa-salary/).

    In effetti Najjar, attualmente in carcere e in attesa di giudizio, sta già ricevendo il pagamento per le sue attività terroristiche “poiché una legge dell’Autorità Palestinese stabilisce che lo stipendio deve venire pagato al prigioniero dalla data del suo arresto.”
    Chissà se adesso che ha confessato la bufala glielo ritireranno. Allora, poveraccio, dovrebbe dire addio al suo matrimonio; ma non credo, perché comunque si è mosso nella lodevole orbita del terrorismo e non ha fatto l’errore di provare a dedicarsi a un mestiere normale. L’Autorità palestinese paga tutti quelli che compiono reati contro “gli ebrei”, dagli assassini più efferati ai disgraziati che in qualche modo ci provano. Basta essere arrestati dalla polizia israeliana per farsi assumere.

    Oltre che buffa, questa storia è anche istruttiva. Perché sorridiamo a sentirla raccontare? Per la truffa, naturalmente, per l’inventiva del piccolo criminale che imbroglia i grandi criminali; insomma perché l’attentato lui non l’ha fatto, non ha adempiuto la sua parte del contratto e il sangue non è scorso. Ma bisogna andare un po’ più avanti con la riflessione. Molti poveracci arabi che hanno bisogno di un po’ di soldi per sposarsi, per pagarsi i debiti o per comprarsi il cibo, invece di lavorare gli attentati li fanno davvero. Non è l’idealismo o la coscienza politica o l’odio antisemita che spinge costoro (altri sì, naturalmente), ma il denaro e più in generale la posizione economica e sociale che il terrorismo assicura loro: funerali di stato se muoiono, strade, scuole e giardini a loro nomi se hanno anche ammazzato molti ebrei, feste e danaro quando vengono scarcerati, uno stipendio per loro e una pensione alla famiglia. Il terrorismo nei territori retti dall’Autorità Palestinese è un mestiere, anzi una forma di impiego pubblico. Che coinvolge, con le famiglie, decine e probabilmente centinaia di migliaia di persone: un’economia fondata sulle bombe e sugli sgozzamenti, altro che i romantici pirati dell’Isola Tortuga. Il 5 per cento del Pil palestinese viene speso negli stipendi dei terroristi, più di 100 milioni di euro nel 2013 (http://ilborghesino.blogspot.it/2014/02/terroristi-per-necessita.html), cui si aggiungono 43 milioni straordinari stanziati quest’anno per i bravuomini che Israele ha dovuto scarcerare per aiutare lo zoppicante tentativo di trattative voluto da Obama e Kerry (http://www.theblaze.com/stories/2014/02/17/palestinian-man-hatched-a-wild-plan-to-get-arrested-for-a-terrorist-attack-he-says-he-never-planned-to-carry-out-the-reason-why-is-incredible/), senza contare quel che Autorità Palestinese, Hamas, Fatah e altri ancora spendono nelle varie milizie e polizie che, lo vogliano o no, ai terroristi forniscono personale e addestramento. Lo ripeto: un’intera economia che non mira al benessere della sua gente, ma al lutto e alla morte del nemico. Da decenni.

    Di conseguenza, quella del terrorista palestinese è una carriera, con il suo stipendio, i suoi scatti di merito (non penserete che uno stragista provetto con 5 ergastoli prenda lo stesso stipendio di un banale lanciatore di bombe molotov… sono islamici abituati al suk, non comunisti egalitari) la sua pensione, la liquidazione, i piccoli trucchi per fregare il datore di lavoro, che poi è l’Autorità Palestinese. Chissà se hanno un contratto di lavoro, un mansionario, se timbrano il cartellino. Magari ci sono i sindacati dei terroristi, le commissioni interne, gli scioperi: non bisogna escludere nulla.

    Ma, attenzione, il datore di lavoro di questa grottesca carriera è l’Autorità Palestinese (o Hamas, o la Jihad Islamica o Fatah, tutte le sigle che volete, tanto l’Autorità Palestinese paga per tutti). E però l’azionista di quel datore di lavoro siamo soprattutto noi e l’America. Gli sceicchi del Golfo forse pagherebbero, forse no, dato che i palestinesi li disprezzano, come si vede dal trattamento che infliggono loro nei loro stati. Ma dato che noi siamo così buoni (tre volte buoni, direbbe Totò) da pagarli noi, non si scomodano ad aprire il portafoglio. Come li paghiamo? Molto semplice, finanziando l’Autorità Palestinese con fondi che essa tranquillamente gira ai suoi “prigionieri politici”. C’è stato uno scandalo qualche mese fa in Finlandia, quando il ministero degli esteri ha dovuto ammettere che sì, i finanzianmenti all’AP andavano a finire ai terroristi condannati. Ne abbiamo parlato a suo tempo. E ora lo stesso accade al Parlamento Europeo, dove un deputato polacco ha tirato fuori la questione (http://www.ejpress.org/index.php?option=com_content&view=article&id=48094&catid=12) Certo, se non ci fossero i soldi per pagarli, ci sarebbero meno terroristi, ed è dunque anche colpa nostra, siamo complici con le nostre tasse.

    Dunque il povero Najar ha fregato in fondo noi, ha cercato di tirar fuori i soldi per il suo matrimonio dalle nostre tasse, senza fare il suo dovere di piccolo terrorista. Poco male, visto che questa volta non ha ammazzato nessuno. Ma noi paghiamo anche per quelli che sgozzano davvero i neonati coi loro genitori, come a Itamar, che fanno fuori il compagno di lavoro per trarne un riscatto per un parente prigioniero o ammazzano i pensionati: entrambi i casi sono accaduti nei mesi scorsi. Tutti costoro ricevono uno stipendio dall’AP, con pensione e liquidazione alla fine del carcere. E volete sapere la cosa più ridicola? E’ l’Autorità Palestinese che coi nostri soldi alleva terroristi a voler portare Israele davanti alla Corte Penale Internazionale, alla faccia del processo di pace (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Official-Palestinian-bid-to-haul-Israel-before-court-would-suck-air-out-of-peace-process-341710). Anche a voi sembra una barzelletta? Anche a me. Ma la diplomazia internazionale, i media, i pacifisti e anche certi soloni del mondo ebraico prendono sul serio queste accuse. Io… io rido e cerco di fare ridere voi per soffocare l’indignazione.

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=52476#.UwSZVPgSAOo.facebook

    19 Feb 2014, 13:08 Rispondi|Quota
  • #3Daniel

    A.N.P., stipendio fisso per gli atti terroristici

    di Cristofaro Sola

    Lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto sapendo di dire la verità. Ora finalmente possiamo mostrare le prove sull’utilizzo che le autorità palestinesi fanno del denaro pubblico: esse sostengono economicamente i loro compatrioti detenuti per reati di terrorismo compiuti contro la sicurezza di Israele.

    Quando abbiamo messo in discussione la gestione a dir poco opaca delle risorse europee destinate all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), come pure abbiamo dubitato della vera natura di quello strano assegno da 60 milioni di euro staccato dal Governo italiano, lo scorso anno, sempre a beneficio della Anp, siamo stati ricoperti di insulti. Pazienza! Ci sta anche questo, quando si ha l’ardire di porre domande scomode. È di gran lunga più facile accusarci di offendere “l’onore del glorioso popolo palestinese”, piuttosto che prendersi il disturbo di spiegare come stia realmente la questione della gestione degli aiuti finanziari che da tutte le parti del mondo sorvolano le teste dello sventurato popolo palestinese, per atterrare nella tasche dei suoi ambigui dirigenti politici. Ma veniamo ai fatti.

    Sull’edizione del Times of Israel dello scorso 16 febbraio, è apparso un rapporto della polizia israeliana che raccoglieva la deposizione di Husni Najjar, terrorista palestinese già condannato per aver attentato alla sicurezza d’Israele. Nella deposizione, Najjar confessava di aver progettato un secondo atto terroristico col fine, una volta scoperto e incarcerato, di ricevere dall’Autorità Palestinese uno stipendio fisso. In realtà la sconvolgente dichiarazione era già apparsa alcuni mesi prima sul Palestinian Media Watch. In quella circostanza, Najjar era stato ancora più esplicito: “A causa della mia difficile situazione finanziaria ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni, perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall’Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio”. Najjar ha proseguito dicendo di aver ricevuto per il primo periodo di detenzione 45mila shekel (9.400 euro), ma sperava, con la seconda iniziativa criminale, di farci su almeno altri 135mila shekel (28mila euro). La cosa folle è che il secondo piano terroristico di Najjar era finto, era solo una tragicomica messa in scena che aveva come unico scopo quello di farsi arrestare dallo Shabak (il servizio di sicurezza generale israeliano). La detenzione avrebbe fatto scattare la solidarietà economica del ministero dell’Anp per gli Affari dei detenuti palestinesi.

    Come ha rivelato Najjar, il bizzarro welfare state dell’Autorità palestinese funziona così: se hai sparso sangue innocente israeliano, hai diritto al sostegno pubblico con un’indennità mensile di 4mila shekel (830 euro) per l’intero periodo di detenzione e poi a una sorta di salario di reinserimento di pari importo per i successivi tre anni dalla fine della carcerazione. Mi domando come vengano appostate queste spese nel bilancio dell’Anp: oneri sociali o incentivi al terrorismo? D’altro canto i dirigenti dell’Autorità Nazionale Palestinese, che sfruttano la disperazione della povera gente per stimolare l’azione terroristica contro una popolazione civile innocente, non sono poi così originali come vorrebbero far credere. Il sistema della protezione sociale ai detenuti appartententi alle associazioni malavitose è un modello in uso dalle nostre parti da tempo immemore, perché è quello praticato dall’organizzazione camorristica per assicurarsi la fedeltà della propria manovalanza.

    Da sempre, e tutte le indagini criminolgiche lo spiegano, la prima voce di costo per la struttura criminale, dopo il pagamento della materia prima, è il mantenimento delle famiglie dei propri gregari detenuti. Già! Perché anche la camorra ha sempre avuto la sua Inps per l’assistenza sociale delle famiglie dell’anti-Stato, che ha funzionato e funziona molto meglio di quella ufficiale che fa capo allo Stato. Ma bando all’ironia, perché da queste rivelazioni non emerge nulla che possa indurre a scherzarci sopra. La questione è davvero seria e preoccupante. Il signor Najjar nel rivelare che esiste una specie di programma che potremmo chiamare “Money for blood”, ci pone di fronte a due certezze, entrambe che contrastano l’impianto etico-valoriale della civiltà Occidentale. La prima riguarda lo scarso senso di lealtà che la componente palestinese mostra nel perseverare in un atteggiamento ambiguo rispetto alla domanda di chiarezza nella volontà di portare in fondo il negoziato di pace con Israele. È di tutta evidenza che incentivare la propria popolazione a compiere crimini contro gli “irriducibili nemici”, blandendola attraverso la speranza alimentata in ogni palestinese frustrato dal bisogno di conquistare un reddito, stride con qualsiasi dichiarazione pacificatrice che convinca della buona fede dei leader palestinesi nel dirsi disponibili a riconoscere, mediante un accordo, il diritto all’esistenza dello Stato ebraico.

    La seconda riguarda la sostenibilità finanziaria di questo modello assistenziale. Sebbene sia del tutto comprensibile che l’Anp abbia il diritto sovrano di foraggiare la propria popolazione nel modo che ritenga più appropriato, per quanto questo modo ci possa apparire disgustoso e malvagio, tuttavia, per evitare che esso si trasformi in arbitrio, è indispensabile che il diritto medesimo sia temperato dal consenso dei contributori esterni circa l’utilizzo delle risorse concesse. Questo è il caso dell’Unione Europea che eroga fondi consistenti all’Anp. Ma i palestinesi non la intendono così; non amano essere sindacati nel loro disinvolto impiego delle risorse finanziarie. Eppure quei denari tanto generosamente, e improvvidamente, elargiti dalle autorità di Bruxelles all’Anp sono anche soldi italiani, visto quanto ci costa contribuire a tenere su il baraccone europeo.

    Ora, non so voi, ma per quel che ci riguarda non abbiamo autorizzato i nostri governanti e men che meno i burocrati dell’Ue a dissipare le nostre risorse finanziando assassini e stragisti. È uno scandalo che questa Europa vecchia e marcescente, malata cronica di antisemitismo, possa ancora oggi pensare di pagare qualcuno perché continui a fare fuori gli ebrei. Non sono bastati quelli già liquidati nei campi di sterminio?

    (Fonte: L’Opinione, 27 febbraio 2014)

    27 Feb 2014, 13:13 Rispondi|Quota
  • #4Daniel

    Il terrorismo paga. Letteralmente.

    Ecco come il denaro dei contribuenti occidentali alimenta il terrorismo e allontana la pace

    Husni Najjar, un palestinese di Hebron già condannato per attività terroristiche, ha rivelato alla polizia d’aver progettato un secondo attentato, fittizio, contro israeliani perché sapeva che, una volta incarcerato, avrebbe ricevuto un cospicuo stipendio dall’Autorità Palestinese. La confessione firmata dal palestinese lo scorso agosto è stata diffusa domenica da Palestinian Media Watch. “A causa della mia difficile situazione finanziaria – afferma Najjar – ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall’Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio”. Nel suo primo periodo di detenzione per terrorismo, Najjar aveva ricevuto in tutto 45.000 shekel (circa 9.400 euro), mentre ora puntava a ricavarne almeno 135.000 (ca. 28.000 euro).

    Secondo Palestinian Media Watch, i detenuti palestinesi condannati a più di cinque anni per attività terroristiche ricevono dall’Autorità Palestinese uno stipendio fisso di 4.000 shekel (ca. 830 euro) durante i loro mesi di detenzione e nei tre anni successivi alla loro scarcerazione. Najjar è attualmente in carcere in attesa di processo. “La testimonianza di questo palestinese – sottolineano in una nota Itamar Marcus, direttore di Palestinian Media Watch, e l’analista Nan Jacques Zilberdik – conferma la nostra tesi secondo cui la politica dell’Autorità Palestinese di versare cospicui stipendi (coi soldi degli aiuti internazionali) ai palestinesi condannati per terrorismo, durante e dopo la loro detenzione in Israele, non solo premia il terrorismo che miete vittime innocenti fra civili indifesi, ma costituisce anche un forte incentivo per nuove attività terroristiche”, che sono in sé criminali ad anche un formidabile ostacolo sulla via della pace. (Da: PMW Bulletin, Times of Israel, 16.2.14)

    “Un palestinese può passare da essere un nessuno a essere qualcuno, dalle stalle alle stelle, semplicemente facendo esplodere un autobus israeliano o facendo irruzione in una casa e tagliare la gola a qualche bambino israeliano. Appena viene condannato, comincia automaticamente a percepire uno stipendio-premio dall’Autorità Palestinese, tanto più alto quanto peggiore è il suo crimine e maggiore la condanna”. Lo ha spiegato l’editorialista americano Edwin Black, un figlio di sopravvissuti alla Shoà impegnato da quasi mezzo secolo nel movimento per i diritti umani, che ha presentato questo mese ad alcuni parlamentari europei e poi a quelli israeliani il suo ultimo libro Finanziare l’incendio: come donazioni esentasse e denaro pubblico alimentano la cultura dello scontro e del terrorismo contro Israele (http://www.financingtheflames.com/). La condanna al carcere, spiega Black, non è un deterrente: nessuno crede di dover scontare davvero tutta la pena perché il rilascio dei detenuti è in vetta all’agenda di ogni trattativa e/o ricatto dei palestinesi. E comunque, nel frattempo i soldi aiutano la famiglia.

    Questa tragica farsa viene gestita dal Ministero dell’Autorità Palestinese per gli affari dei prigionieri ed è inscritta nella legislazione dell’Autorità Palestinese. Secondo Black, “si tratta di cifre che vanno da 5 a 7 milioni di dollari al mese, circa il 6% del budget dell’Autorità Palestinese. Se si aggiungono gli esborsi per pagare ai terroristi le spese di matrimoni, eventi sociali, bonus speciali, borse di studio ecc., si arriva al 16% del bilancio dell’Autorità Palestinese. E da dove viene tutto questo denaro? Dai contribuenti americani ed europei, naturalmente. “Fino a quando la legge soldi-in-cambio-di-sangue non verrà cancellata – conclude Black – non ci potrà essere pace tra palestinesi e israeliani”.

    (Fonte: Israel HaYom, 21 Febbraio 2014)

    http://www.israele.net/il-terrorismo-paga-letteralmente

    27 Feb 2014, 13:26 Rispondi|Quota