Elezioni democratiche: un diritto ancora negato alla popolazione palestinese

 
Emanuel Baroz
31 dicembre 2014
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Le (mancate) elezioni palestinesi

Mentre Israele è in piena campagna elettorale, Hamas e Fatah non riescono ad avviare un processo minimamente democratico per la scelta della dirigenza palestinese

elezioni-palestinesi-diritti-umani-fatah-hamas-focus-on-israelSono passati sette mesi da quando Hamas e Fatah hanno formato un governo di unità nazionale palestinese composto da tecnocrati. Questa mossa che avrebbe dovuto essere di riconciliazione, sette anni dopo che Hamas ha estromesso Fatah dalla Striscia di Gaza con golpe sanguinoso con la dirigenza palestinese rimasta divisa tra Gaza e Cisgiordania (Giudea e Samaria), avrebbe dovuto preparare il terreno, fra l’altro, per elezioni presidenziali e legislative nell’Autorità Palestinese. Tuttavia, mentre Israele è in piena stagione elettorale, Hamas e Fatah non sono riuscite a risolvere le loro divergenze e ad avviare un processo democratico per la scelta della leadership politica palestinese.

Le elezioni presidenziali che hanno portato Mahmoud Abbas (Abu Mazen) al potere hanno avuto luogo nel 2005. Il mandato di quattro anni di Abu Mazen è scaduto nel 2009. Da allora è rimasto in carica senza un mandato democratico del popolo palestinese. Le elezioni parlamentari, vinte da Hamas, hanno avuto luogo nel 2006. Anche il Consiglio Legislativo (parlamento) doveva restare in carica per quattro anni. In breve, le elezioni parlamentari e presidenziali sono già da tempo in grave ritardo. Il fatto che non si tengano elezioni mina la fiducia dei palestinesi nella loro dirigenza politica. Dal punto di vista di Israele, le elezioni nell’Autorità Nazionale Palestinese sono importanti perché senza di esse qualunque accordo firmato con i rappresentanti palestinesi manca di legittimità.

In linea di principio, Abu Mazen potrebbe firmare un decreto presidenziale che darebbe inizio a un periodo preparatorio di tre mesi dopo il quale le elezioni potrebbero svolgersi in qualsiasi momento. Se dovesse emanare oggi tale decreto, le elezioni palestinesi potrebbero tenersi meno di un mese dopo quelle elezioni parlamentari israeliane del 17 marzo. Ma è improbabile che ciò accada per una serie di ragioni, come spiega Khalil Shikaki, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research. E rimane improbabile anche se, stando a un sondaggio Palestinian Center di Shikaki condotto all’inizio di dicembre, il 71% dei palestinesi vorrebbe che le elezioni si tenessero entro sei mesi.

Fatah e Abu Mazen ritengono, probabilmente a ragione, che al momento perderebbero le elezioni. Pertanto non hanno alcuna fretta. Secondo il sondaggio di Shikaki, nelle elezioni presidenziali il capo di Hamas Ismail Haniyeh otterrebbe il 53% dei voti, mentre Abu Mazen si fermerebbe al 42%. Analogamente Hamas batterebbe Fatah nelle elezioni parlamentari. Secondo il sondaggio, la popolarità di Hamas è aumentata considerevolmente: oggi la maggior parte dei palestinesi si dichiara favorevole alle tattiche di Hamas contro Israele e vorrebbe vedere replicata in Cisgiordania (Giudea e Samaria) una “lotta armata” sullo stile della Striscia di Gaza.

Un altro ostacolo è che Hamas e Fatah devono ancora accordarsi sul sistema elettorale da utilizzare. Nelle elezioni del 2006, Hamas vinse anche perché il sistema (una miscela di sistema proporzionale e maggioritario) favorì Hamas che si presentava unita rispetto a Fatah che era più spaccato. Questa volta Fatah chiede che il sistema sia basato unicamente sulla rappresentanza proporzionale, come quello israeliano, mentre Hamas dice che almeno il 25% dei seggi deve essere aggiudicato in collegi a sistema maggioritario. Intanto, mentre le elezioni vengono rinviate, Abu Mazen sembra scommettere su un miglioramento della sua popolarità tra i palestinesi mediante l’internazionalizzazione della lotta, in particolare premendo per un voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che imponga la creazione di uno stato palestinese entro il 2017. Ma anche questa campagna, fortemente osteggiata da Israele perché costituisce un tentativo di aggirare i negoziati diretti, non gode del sostegno della maggior parte se non di tutte le fazioni palestinesi al di fuori di Fatah. Questo perché la mozione presentata all’Onu non fa abbastanza per difendere le condizioni considerate irrinunciabili dai palestinesi, in particolare per quanto riguarda Gerusalemme, che i palestinesi si rifiutano di condividere con Israele come capitale, e i palestinesi detenuti per terrorismo nelle carceri israeliane, di cui i palestinesi esigono la scarcerazione senza condizioni.

Finché le elezioni verranno rinviate, i palestinesi resteranno senza una dirigenza politica legittima che si possa dire che li rappresenta fedelmente. La dirigenza che alla fine verrà eletta potrebbe finire con l’essere affiliata a Hamas, il che sarebbe una tragedia per i palestinesi poiché significherebbe la fine della speranza di arrivare all’autodeterminazione mediante un accordo negoziato con Israele. Ma almeno Israele e il mondo sarebbero messi di fronte alla realtà palestinese, non a una comoda illusione.

(Fonte: Jerusalem Post, 24 Dicembre 2014)

Israele.net

Nelle foto in alto: Abu Mazen, presidente dell’A.N.P. con mandato scaduto, e Khaled Meshaal, (uno dei) leader di Hamas

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