UE vs Israele: proposta l’etichettatura per i prodotti provenienti dagli insediamenti in Giudea e Samaria

 
Emanuel Baroz
19 aprile 2015
5 commenti

UE vs Israele: proposta l’etichettatura per i prodotti provenienti dagli insediamenti in Giudea e Samaria

16 ministri degli Esteri dei paesi membri dell’UE hanno chiesto ufficialmente a Federica Mogherini di etichettare i prodotti provenienti dalle cosidette “colonie”

europa-israele-prodotti-unione-europea-lettera-focus-on-israelBruxelles – Nuova polemica tra Europa e Israele per la richiesta all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Federica Mogherini da parte dei ministri degli Esteri di 16 Paesi, tra cui l’Italia, di avere etichette che identifichino i prodotti provenienti dai territori contesi in Giudea e Samaria.

I ministri hanno scritto alla Mogherini una lettera in cui sostengono si tratti di un provvediento “necessario” per informare i consumatori europei che devono sapere l’origine dei prodotti che stanno acquistando e “un passo importante nella piena attuazione della soluzione dei due Stati“. Per i ministri “la continua espansione degli insediamenti illegali israeliani” nei territori “minaccia la prospettiva di un giusto accordo finale di pace“.

La lettera, che fa riferimento a un’altra comunicazione inviata al capo della diplomazia europea nell’aprile del 2013, è firmata dai ministri di Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Svezia, Malta, Austria, Irlanda, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo. Insomma, hanno aderito tutto i principali paesi europei tranne la Germania. E l’astensione di Berlino fa rumore.

“Potrebbero metterci sopra “una stella gialla”…”, ironizza il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, secondo cui si tratta di una mossa “ipocrita e cinica” che ha poi lanciato una dura accusa alle varie leadership europee . Lieberman ha denunciato poi l’assoluta indifferenza mostrata dall’Europa nei confronti della strage operata dall’Isis in Siria nel campo profughi palestinese di Yarmouk: “Nessun ministro degli Esteri europeo ha chiesto una riunione di emergenza dei diplomatici Ue o del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Tranne pochi comunicati pubblici, nient’altro è stato fatto“. Il ministro ha anche sottolineato la presenza della minaccia nucleare iraniana e quella della crisi nello Yemen, ammonendo l’Ue dallo scegliere in questi frangenti di focalizzarsi su Israele.

(Fonte: Il Giornale.it, Ansa.it, 17 Aprile 2015)

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  • #1Emanuel Baroz

    I Ministri degli Esteri europei propongono l’etichettatura dei prodotti provenienti dal West Bank

    http://www.progettodreyfus.com/i-ministri-degli-esteri-europei-propongono-letichettatura-dei-prodotti-provenienti-dalla-west-bank/

    24 Apr 2015, 11:20 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    17 aprile 2015 – Sedici ministri degli esteri sui 28 dell’Unione Europea hanno inviato una lettera al responsabile della politica estera UE, Federica Mogherini, chiedendole di promuovere l’etichettatura separata delle merci prodotte in Israele e in Cisgiordania. Promossa dal ministro degli esteri belga Didier Reynders, la lettera è stata firmata dai ministri di Regno Unito, Francia, Spagna, Danimarca, Irlanda, Croazia, Malta, Paesi Bassi, Svezia, Portogallo, Slovenia, Italia, Lussemburgo, Finlandia e Austria. Fra i ministri che invece non l’hanno firmata figurano quelli di Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Grecia, Cipro e Romania. Un tentativo analogo, presentato nel 2013 da 13 ministri degli esteri europei a Catherine Ashton, venne bloccato dal Segretario di stato Usa John Kerry per la preoccupazione che avrebbe danneggiato il suo sforzo di rilanciare i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi.

    (Fonte: Israele.net)

    24 Apr 2015, 11:21 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    Un boicottaggio ipocrita, ingiusto, riprovevole, controproducente

    L’iniziativa di ministri europei contro le merci prodotte da aziende ebraiche in Cisgiordania e Gerusalemme est solleva una serie di questioni inquietanti

    La scorsa settimana i ministri degli esteri di sedici paesi europei hanno inviato una lettera al responsabile della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini chiedendole di promuovere l’etichettatura differenziata delle merci prodotte dalle aziende di proprietà ebraica situate al di là della ex-linea armistiziale in vigore dal 1949 al 1967 fra Israele e Giordania. L’etichettatura differenziata dovrebbe rendere più facile per gli europei il boicottaggio di questi prodotti.

    I boicottaggi che prendono di mira in modo particolare Israele e soltanto Israele sollevano una serie di questioni. A maggior ragione quando questi boicottaggi vengono promossi da paesi che si battono contro dilaganti manifestazioni di antisemitismo che minacciano la persistenza stessa delle antiche comunità ebraiche europee.

    Il boicottaggio anti-israeliano tende ad essere intrinsecamente ipocrita: condannare un solo paese per una “colpa” piuttosto diffusa nel mondo non è altro che ipocrisia. Adottare misure che prendono di mira le aziende ebraiche situate nelle regioni di Giudea, Samaria e di Gerusalemme cadute sotto il controllo israeliano durante la guerra dei sei giorni mentre si ignorano di proposito occupazioni ben più oppressive come quelle esercitate da Cina, Russia e Turchia, è semplicemente ingiusto.

    Ed è decisamente riprovevole che quei ministri degli esteri europei abbiano scelto di fare tale passo in un periodo che vede gli ebrei d’Europa regolarmente intimiditi – e ogni tanto ammazzati – per le strade delle principali città europee a causa di presunti “crimini” commessi da Israele contro il popolo palestinese. Cosa può essere passato per la mente dei ministri di paesi come la Francia e il Belgio, due dei firmatari della lettera, entrambi paesi che sono stati di recente teatro di spietati e sanguinosi attentati terroristici antisemiti; entrambi alle prese con grandi popolazioni musulmane che comprendono al loro interno molti che negano recisamente il diritto stesso ad esistere dello stato di Israele?

    A peggiorare il tutto, l’infelicissima scelta di pubblicizzare il contenuto della lettera proprio nel giorno in cui Israele commemorava le vittime della Shoà.

    – Se i palestinesi si oppongono a costruzioni ebraiche a Gerusalemme. Forse dovremmo chiedere agli arabi dove vogliono che gli ebrei costruiscano. – Questo non ci porterebbe da nessuna parte! – Perché dici così? – Perché glielo abbiamo già chiesto… e hanno detto: “Da nessuna parte”! (cliccare per ingrandire)

    I sedici ministri degli esteri dell’Unione Europea che hanno firmato la lettera devono riconoscere come minimo che Israele non scelse di occupare un altro popolo. Se conoscono per lo meno gli elementi basilari della storia del conflitto israelo-arabo-palestinese, dovrebbero sapere come avvenne che i territori al di là della Linea Verde armistiziale passarono sotto controllo israeliano: nel 1967 Egitto, Siria e Giordania innescarono ancora una volta una guerra contro Israele, che poi persero miseramente; e così la Cisgiordania, sino ad allora illegalmente occupata dalla Giordania, cadde nelle mani di Israele.

    In numerose occasioni Israele ha cercato di arrivare – prima con i giordani, poi con i palestinesi – a un compromesso territoriale che garantisse ai palestinesi autonomia politica pur rispondendo alle vitali esigenze di sicurezza d’Israele, unica democrazia circondata da autocrazie musulmane ostili. La responsabilità per il mancato raggiungimento di un accordo di pace negoziato è da attribuire all’intransigenza palestinese certo non meno che alla indisponibilità degli israeliani ad assumersi altri rischi.

    Ministri europei che sanno bene quanto sia difficile bilanciare i diritti umani con le esigenze di sicurezza – in particolare dopo gli attentati del 2004 ai treni di Madrid, quelli del luglio 2005 contro i trasporti pubblici di Londra, quelli del 2012 a Tolosa e Montauban e quelli del gennaio 2015 contro la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato HyperCacher di Parigi – dovrebbero capire che Israele non può semplicemente eliminare le restrizioni di movimento previste per i palestinesi che vivono in Cisgiordania per lo meno finché Hamas e Jihad Islamica operano in quelle zone e l’Autorità Palestinese continua a celebrare e portare ad esempio le imprese dei terroristi.

    Usare il boicottaggio economico per punire e, alla fine, far chiudere aziende ebraiche situate in Giudea, Samaria e Gerusalemme est risponde alla logica secondo cui solo rendendo judenrein tutta la Cisgiordania si può arrivare alla pace. A parte l’immoralità dell’assunto, questi boicottaggi ignorano la vasta cooperazione economica che esiste di fatto, e da anni, fra palestinesi e israeliani. Larghe porzioni della popolazione palestinese che vive in Cisgiordania sono interessate a varie forme di cooperazione con Israele, compresa quella economica. In un sondaggio condotto nel 2011 dall’istituto Geocartography Knowledge, l’85% dei palestinesi intervistati dichiarava di essere interessato alla cooperazione con Israele. Le aziende ebraiche in Giudea, Samaria e Gerusalemme est danno lavoro a decine di migliaia di palestinesi, e a condizioni migliori delle aziende non ebraiche.

    I paesi europei sono impegnati in una battaglia per proteggere le loro comunità ebraiche da crescenti aggressioni di matrice prevalentemente musulmana. Quando i ministri degli esteri dell’Unione Europea diffondono dichiarazioni come questa, dettate da ipocrisia e manipolazioni, non fanno che alimentare l’antisemitismo mascherato da critica verso Israele. In pratica, promuovono la propagazione delle menzogne.

    (Fonte: Jerusalem Post, 20 Aprile 2015)

    http://www.israele.net/un-boicottaggio-ipocrita-ingiusto-riprovevole-controproducente

    24 Apr 2015, 11:22 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    L’ipocrisia antisemita dell’Europa

    Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

    Cari amici,

    avete probabilmente letto nei giorni scorsi dell’iniziativa di sedici ministri degli esteri di paesi europei che chiedono all’Unione Europea e in particolare a Mogherini di imporre a Israele un’etichetta speciale per i prodotti che siano stati lavorati in Giudea, Samaria e Golan. Per la cronaca, si tratta di Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Svezia, Malta, Austria, Irlanda, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo. Solo la Germania tra i grandi Paesi Ue si è astenuta. Se non l’avete fatto, trovate qui (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=16&sez=120&id=57925) un articolo riportato l’altro ieri da Informazione Corretta, con il giusto commento che qualifica questa mossa come antisemita. Del resto la stessa reazione è arrivata da Israele. Ha parlato il ministro degli esteri Liberman (http://www.timesofisrael.com/liberman-suggests-eu-slap-west-bank-products-with-nazi-yellow-star/) suggerendo che l’etichetta “made in West Bank” sia scritta su una stella gialla come quella che i nazisti obbligavano gli ebrei a indossare (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/liberman-suggests-eu-print-made-in-the-west-bank-label-on-yellow-star/2015/04/17/) . Ma si è espresso anche Yair Lapid, uomo di sinistra e capo del partito Yesh Atid, all’opposizione rispetto a Netanyahu e a Lieberman, dicendo che la richiesta dei ministri europei è “un boicottaggio de facto di Israele” (http://www.jpost.com/Israel-News/Lapid-to-Mogherini-EU-foreign-ministers-are-calling-for-a-de-facto-boycott-of-Israel-398385).

    In realtà la richiesta europea è attentamente motivata in maniera tale da sembrare innocua. Come scrive l’Ansa (http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/04/16/mo-ministri-ue-a-mogherini-introdurre-etichette-anticoloni_501f13ca-f141-45a1-a43a-dfc1f97ff525.html), “etichettare i prodotti che provengono dagli insediamenti dei coloni, sostengono i ministri nella lettera, rimbalzata sui media israeliani, è ‘necessario’ per informare i consumatori europei che devono sapere l’origine dei prodotti che stanno acquistando.” Inoltre i 16 ministri “restano dell’idea” che l’indicazione della provenienza dai territori occupati sia “un passo importante nella piena attuazione” della “soluzione dei due stati” ed osservano che “la continua espansione degli insediamenti illegali israeliani” nei territori “minaccia la prospettiva di un giusto accordo finale di pace”.

    L’informazione dei consumatori, nel senso normale dell’espressione, cioè il permettere a chi acquista di sapere qual è il valore e il contenuto reale di ciò che gli viene proposto, palesemente non c’entra nulla, essenso già previsto dai regolamenti comunitari. Non si tratta qui di sapere se il vino del Golan, per fare un esempio di eccellenza, rispetti o meno le norme sul grado alcolico e l’assenza di additivi, ma di aggiungere un’informazione politica che faciliti il boicottaggio da parte delle organizzazioni antisraeliane. L’Unione Europea, che viola le sue stesse leggi finanziando di fatto col sostegno all’AP gli stipendi dei terroristi in carcere (http://www.palwatch.org/main.aspx?fi=520), che interviene contro le norme del diritto internazionale costruendo abitazioni illegali, senza i necessari permessi urbanistici, nella zona C della Giudea e Samaria, amministrata da Israele secondo gli accordi di Oslo (http://www.dailymail.co.uk/news/article-2874883/EU-funding-illegal-building-West-Bank-says-report.html) dovrebbe secondo questa proposta discriminare per ragioni politiche i prodotti lavorati anche in parte da territori che Israele amministra proprio in seguito agli accordi di Oslo, firmati dall’OLP e dall’Europa stessa come garante. Notate che come al solito niente del genere è richiesto ad alcuna altra amministrazione di zone contese. Alla Turchia nessuno chiede di certificare che il suo vino non venga dalle zone che ha occupato a Cipro; col Marocco c’è addirittura un accordo di collaborazione per sfruttare congiuntamente la pesca nelle acque dell’ex Sahara spagnolo, che dovrebbe essere lo stato dei Sarahui e per cui l’Onu ha deliberato invano diverse volte un referendum. Non vi è neppure la richiesta di accertare se il petrolio che arriva al Mediterraneo attraverso la Turchia non provenga dallo Stato Islamico, che ne trae i fondi per la sua attività terrorista. Nessuna situazione di conflitto, grande o piccola, subisce dall’Europa la pressione dedicata a realizzare un nuovo stato terrorista in Giudea e Samaria.

    Insomma, questa etichetta non serve affatto a informare i consumatori, ma a fare una guerra economica a Israele, dividendo la sua economia, cercando di rendere infruttuosa la produzione in Giudea e Samaria, aggirando così le regole internazionali stabilite con i trattati sulla libera circolazione delle merci. Ha ragione Lieberman a definire la lettera dei ministri “ipocrita e cinica”. Si tratta cioè del primo atto di quell’offensiva europea contro Israele che era stata annunciata già da mesi (e già commentata in questa “cartoline”). Non potendo agire più che tanto Obama, impegnato a fare approvare al Congresso il suo accordo tagliola con l’Iran, la pressione su Israele è diventata compito dell’Europa. Che l’Italia si sia unita a questa folle guerra dell’Europa contro lo stato degli ebrei, mentre dal suo ventre nasce di nuovo l’antisemitismo di sempre, è una grandissima ma non imprevista delusione.

    http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=57932

    24 Apr 2015, 11:38 Rispondi|Quota
  • #5Emanuel Baroz

    L’Eurabia coccola l’islam e marchia i prodotti ebraici

    Lettera di alcuni ministri Ue (anche Gentiloni) alla Mogherini: ci vuole un simbolo sulle merci provenienti dai territori occupati da Israele. La replica: «Mettete la stella gialla».

    di Marco Gorra

    Rafforzare Triton e trovare il modo di arginare la marea umana di disperati frammisti a tagliagole dell’Isis? Neanche a parlarne: costa soldi e gli Stati del blocco del Nord non hanno nessuna convenienza. Aiutare i Paesi più esposti a controllare le frontiere per evitare di trasformare il Mediterraneo in una gigantesca porta girevole per chiunque abbia in animo di portare la guerra santa nel Vecchio continente? Anche no, ché di obblighi non ne sussistono ed alla Mitteleuropa va benone che ciascheduno si arrangi coi confini che gli sono toccati in sorte.

    Soprattutto, per l’Unione europea prima di prendere in considerazione l’ipotesi di lavorare per arginare l’immigrazione clandestina ed il terrorismo a domicilio ci sono cose molto più serie ed urgenti a cui pensare: tipo applicare un po’ di sano nazismo di ritorno a quei cattivoni di israeliani. Quella sì che è una priorità, altro che l’Isis.

    Nello specifico, l’idea è quella di apporre un marchio speciale su tutti i prodotti provenienti dai territori palestinesi occupati. La richiesta è contenuta in una lettera firmata dai ministri degli Esteri di sedici Stati membri (in testa l’Italia con Paolo Gentiloni. Seguono Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Svezia, Malta, Austria, Irlanda, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo. La sola Germania tra i grandi Paesi Ue risulta astenuta) ed indirizzata all’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. La missiva è un tripudio del più classico antisemitismo mascherato alla bell’e meglio da questione geopolitica: «La continua espansione degli insediamenti illegali di Israele nei territori palestinesi occupati», c’è scritto, «minaccia la prospettiva di un accordo di pace». Pertanto, si rende necessaria la marchiatura: «I consumatori europei», concludono i sedici, «devono avere fiducia nel sapere le origini dei prodotti che stanno acquistando».

    Il progresso compiuto rispetto ai gloriosi tempi di un’ottantina di anni fa è d’altronde vistoso: in luogo dell’ormai vieto ed abusato cartello “negozio ebreo” da inchiodare sulla porta della bottega a motivarne la repentina chiusura per ordini superiori, oggi si passa ad una più pratica etichetta ad hoc che – in epoca di tracciabilità diffusa – risulta assai più al passo coi tempi e rispondente alle esigenze della modernità. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che bolla l’iniziativa dei sedici ministri europei come «ipocrita e cinica», suggerisce agli euro-burocrati di fare il passo in più e di apporre sui boicottandi prodotti israeliani direttamente «la stella gialla, come facevano i nazisti».

    Che l’Unione europea abbia individuato il nemico nello Stato ebraico, d’altronde, non è esattamente una novità. Fatto muro con poco sforzo e molto successo di fronte alla proposta dei Radicali e dell’Economist di far entrare Israele nell’Unione (mica è la Turchia, dopo tutto), i politici di Bruxelles cercano semmai di allontanare quanto possibile Tel Aviv dall’Unione. Nel gennaio scorso, una cordata trasversale di parlamentari (per l’Italia c’era il terzetto della lista Tsipras Spinelli-MalteseForenza) ha chiesto alla Mogherini di sospendere l’accordo di associazione con Israele tirando in ballo il solito campionario di accuse da centro sociale a base di «violazione dei diritti umani e dei principi democratici». Poche settimane prima, l’emiciclo brussellese si era tolto la soddisfazione di infilare il proverbiale dito nell’occhio ad Israele mediante approvazione di documento in cui si riconosceva lo Stato palestinese (per non farsi mancare nulla, nelle stesse ore la Corte di giustizia europea reclamava a gran voce la cancellazione di Hamas dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche).

    E adesso, la richiesta dell’etichetta Che per diventare realtà ha soltanto bisogno di essere adeguatamente sponsorizzata dalla Mogherini in sede di Commissione. Difficile prevedere come si comporterà Lady Pesc. Un precedente che fa ben sperare c’è ed è quello del 2013, quando analoga pratica era finita sul tavolo dell’allora Alto rappresentante Catherine Ashton. La signora britannica – pare anche per effetto dei consigli del segretario di Stato americano John Kerry – decise di cestinare il tutto. Ora va solo capito se l’ex ministro degli Esteri italiano potrà o vorrà esercitare la stessa fermezza dimostrata da colei che l’ha preceduta.

    (Fonte: Libero, 19 aprile 2015)

    24 Apr 2015, 11:40 Rispondi|Quota