Nuove prove collegano il partito di Abu Mazen agli attentati del terrorismo palestinese

 
Emanuel Baroz
18 febbraio 2016
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Un arresto e nuove prove collegano Fatah all’intifada dei coltelli. I numeri dello Shin Bet

Catturato il capo di un’organizzazione terroristica vicina ad Abu Mazen, coordinava attacchi contro gli ebrei. Quasi metà degli assalitori palestinesi ha vent’anni o meno

di Gabriele Carrer

terrorismo-palestinese-abu-mazen-fatah-intifada-coltelli-focus-on-israelIl servizio di sicurezza interno di Gerusalemme, lo Shin Bet, ha arrestato lunedì Jamal Abu Lel, il capo del gruppo terroristico palestinese Tanzim, organizzazione vicina e alleata al presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e a Fatah e adesso accusata di aver organizzato attacchi con arma da fuoco contro ebrei e di aver finanziato il terrorismo legato alla cosiddetta intifada dei coltelli. Jamal Abu Lel era un cittadino legale di Gerusalemme est, ma gestiva le operazioni terroristiche dal campo profughi di Qalandiya fuori Ramallah, dove si sono verificati scontri e attacchi contro la polizia. L’arresto è solo l’ultima delle prove che collegano il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen alle violenze omicide contro gli ebrei. Il mese scorso il Foglio ha rivelato come gli ufficiali della sua guardia presidenziale usino le piattaforme social per organizzare e coordinare gli attacchi con coltello, dando un nome e un volto ai principali burattinai di questa terza intifada.

Lo Shin Bet ha inoltre pubblicato nuovi dati su questa nuova ondata di violenze contro gli ebrei, che mostrano come circa la metà dei terroristi palestinesi autori di attacchi da ottobre a oggi aveva 20 anni o meno e più di uno su 10 era di sesso femminile. Gli uomini dell’intelligence hanno preso in esame 228 attacchi e tentativi di attacco verificatisi tra il 1 ottobre 2015 ed il 10 febbraio 2016, limitatamente a quelli ritenuti “significativi”. Il 37 per cento dei terroristi aveva un età compresa era tra i 16 ed i 20 anni; questi si aggiunge un ulteriore 10 per cento di attentatori minori di 16 anni. Si nota così che il 47 per cento dei terroristi è costituito da giovani di 20 anni o meno. Inoltre, un terzo degli assalitori era nella fascia di età 21-25 anni mentre un altro 10 per cento aveva 30 o più anni. Vagliando le statistiche secondo il sesso, si nota una significativa partecipazione femminile: 24 assalitori, ossia l’undici per cento del totale, era infatti di sesso femminile.

Dall’inizio di questa nuova intifada, originata dalla morte della giovane coppia Na’ama ed Eitam Henkin per mano di una cellula di cinque uomini di Hamas, sono morti almeno 30 israeliani ed oltre 170 palestinesi, la stragrande maggioranza dei quali durante attacchi o tentativi di attacco contro israeliani ed ebrei, documentano i servizi segreti. Lo Shin Bet la scorsa settimana aveva documentato 169 attacchi terroristici da parte di palestinesi contro gli israeliani nel mese di gennaio, a fronte dei 246 del mese precedente. Da settembre a novembre erano stati registrati rispettivamente 223, 620 e 326 attacchi. Tra dicembre e gennaio si è verificata una diminuzione del 32 per cento che riporta ai livelli del periodo precedente l’escalation di violenze di settembre.

Analizzando i dati secondo la logica geografica si scopre invece che circa tre quarti degli attacchi (174) sono avvenuti in Cisgiordania (territori contesi), dalla quale proveniva circa l’80 per cento degli assalitori. Le principali fucine di terroristi sono state la regione di Hebron e Yattir (il 40 per cento proveniva da quell’area) e di Ramallah e Binyamin (circa il 25 per cento). 36 assalitori provenivano dalla capitale Gerusalemme, presa di mira dal 16 per cento degli attacchi. Le violenze entro la Linea verde hanno invece riguardano il 10 per cento del totale: 21 terroristi si trovavano all’interno illegalmente, mentre solo due erano in Israele legalmente. Uno di questi era un rifugiato sudanese residente ad Ashkelon e, secondo quanto riferito dal rappresentante della comunità sudanese Kamel Hassan, aveva problemi mentali.

Oltre all’arresto di Jamal Abu Lel, lunedì inoltre sono emerse nuove prove che collegano Fatah all’intifada dei coltelli. Sono particolari di primo piano dell’attacco di domenica contro le forze di polizia alla Porta di Damasco, l’entrata della città vecchia di Gerusalemme. Uno dei due assalitori, ucciso della guardie prima che potesse seminare morte, è stato riconosciuto come un agente di polizia dell’Autorità palestinese. Omar Ahmed Amru, questo il suo nome, è stato addestrato in Giordania nel programma americano di training per il personale di sicurezza della PA. Non è che l’ultimo caso di poliziotti dell’Autorità coinvolti nell’intifada contro gli israeliani: il 31 gennaio, a Bet Eil in Samaria, Amjad Abu-Omar, ufficiale di sicurezza con un passato da guardia del corpo del procuratore generale della PA, ha aperto il fuoco contro tre agenti israeliani ferendoli dopo aver annunciato via Facebook il suo martirio: “Buongiorno, diventerà uno shahid (testimone della fede o martire, ndr) e mi unirò ad Allah e al suo messaggero Maometto. Questa è una mattina di vittoria”, scriveva.

Il Foglio.it

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