La vergognosa sentenza della Corte europea sui prodotti israeliani

 
Emanuel Baroz
27 novembre 2019
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La vergognosa sentenza della Corte europea

Come mai non esiste nessun obbligo europeo di etichettatura discriminatoria per altre aree di conflitto territoriale come il Tibet, Cipro Nord o il Sahara occidentale?

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i prodotti fabbricati in Giudea e Samaria non possono essere etichettati “made in Israele”, imponendo che le etichette vengano modificate in tutti i 28 stati membri. Prima della sentenza l’Unione Europea si limitava a consigliare tale etichettatura, che ora diventa invece obbligatoria e l’Unione Europea può avviare procedimenti legali contro qualsiasi stato che non si adegui. L’etichettatura obbligatoria si applica anche alle merci prodotte nella parte est di Gerusalemme e sulle alture del Golan anche se in quelle aree, a differenza della cosiddetta Cisgiordania, vige la giurisdizione israeliana.

Questa decisione è una vergogna per una serie di motivi. In primo luogo, è stata pubblicata proprio mentre metà Israele era bloccato sotto una pioggia di razzi e missili lanciati dai terroristi di Gaza sulla popolazione civile israeliana. Un minimo di considerazione sarebbe stato apprezzato, in un momento come quello. La Corte avrebbe potuto facilmente aspettare un po’, ma non l’ha fatto. La decisione sarebbe stata controversa in qualunque momento, ma il fatto che sia arrivata mentre i bambini, da Tel Aviv a Beersheba e oltre, dovevano rimanere a casa da scuola e correre al riparo nei rifugi al suono delle sirene è apparso agli israeliani come un inutile insulto.

Questo prendere di mira unicamente Israele è esattamente ciò che intendeva l’ex dissidente sovietico Natan Sharansky quando nel 2004 scrisse delle “tre D” che distinguono l’antisemitismo dalla legittima critica di Israele: delegittimazione di Israele, demonizzazione di Israele e uso di doppi standard verso Israele. Impossibile non vedere che l’Unione Europea sta usando un doppio standard (due pesi e due misure) nei confronti di Israele rispetto ad altri territori. Non esiste nessun analogo obbligo di etichettatura relativo ad altre aree di conflitto territoriale come il Tibet (occupato dalla Cina), Cipro Nord (occupato dalla Turchia) o il Sahara occidentale (occupato dal Marocco). In questo caso, anzi, lungi dal discriminarne i prodotti, l’Unione Europea ha persino stretto un accordo con il Marocco che consente alle imbarcazioni europee di pescare nelle acque territoriali del Sahara occidentale.

Al di là della definizione formale di antisemitismo, gli europei hanno una lunga storia vecchia di secoli in quanto a voler dettare agli ebrei dove possono e, più spesso, dove non possono vivere, e con chi possono o non possono fare affari. Etichettare le merci prodotte da ebrei in Giudea e Samaria non farà che incoraggiare i boicottaggi, una cosa che gli ebrei hanno subìto nel periodo più buio della storia d’Europa. Dichiarando illegittime le attività ebraiche, e dunque implicitamente la stessa vita ebraica, in Giudea e Samaria, l’Unione Europea non fa che aderire all’idea caldeggiata dai palestinesi secondo cui vi sono regioni della carta geografica che devono essere judenrein, ripulite dalla presenza di ebrei. Dopotutto, lo stesso presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha affermato che, per arrivare a un accordo con Israele, la cosiddetta Cisgiordania dovrà essere “sgomberata dai coloni”, intendendo gli ebrei israeliani. L’Europa consente il libero passaggio e la libera residenza dei cittadini da uno stato all’altro, ma i suoi tribunali ritengono che il concetto di aree “libere da ebrei” sia accettabile in altre parti del mondo.

La decisione si applica anche alle merci israeliane prodotte sulle alture del Golan, un’area su cui si esercita la sovranità d’Israele come hanno riconosciuto anche gli Stati Uniti. Pretendere un’etichettatura discriminatoria dei prodotti israeliani fabbricati nel Golan ha ancora meno senso. Mettiamo che Israele debba cedere il Golan a qualcuno: a chi consiglierebbe di cederlo, l’Unione Europea? Allo spietato dittatore siriano Bashar Assad che ha trucidato più di mezzo milione di persone della sua stessa popolazione nella lunghissima guerra civile? O l’Europa preferirebbe che il Golan venisse ceduto all’ISIS, a all’Iran, o magari alla Russia? Il controllo di Israele sul Golan contribuisce a proteggere Israele e impedisce un conflitto più ampio che potrebbe scoppiare e dilaniare tutto il Medio Oriente. Non riconoscere questo semplice fatto non è solo ignoranza. È una menzogna.

Poi c’è Gerusalemme est. Fondamentalmente, ciò che l’Unione Europea sta dicendo è che se una menorà (candelabro ebraico) viene fabbricata in una bottega della Città Vecchia (in quel quartiere ebraico per secoli, sgomberato con la forza dalla Legione Araba nel 1948 ndr) e poi esportata perché venga venduta a Parigi, dovrebbe essere etichettata in modo discriminatorio. Vengono messi in dubbio la capitale del popolo ebraico da tremila anni e il suo profondo legame con il popolo ebraico. Siamo al grottesco.

Ciò che l’Europa sembra non capire è che sono finiti i tempi in cui poteva dettare agli ebrei dove possono e non possono vivere, e dove possono e non possono fare affari. Quei tempi sono finiti nel 1948. È imperdonabile che la massima Corte dell’Unione Europea abbia preso una decisione che puzza di pregiudizio proprio in un giorno in cui gli israeliani erano più vulnerabili. L’Europa dovrebbe vergognarsi.

(Fonte: Jerusalem Post, 14 Novembre 2019)

Israele.net

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