Il minimo comune denominatore per la pace

 
admin
4 dicembre 2007
1 commento

30-11-2007
Il minimo comune denominatore per la pace
Da un articolo di Yoav J. Tenembaum

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Il 22 novembre 1967, all’indomani della guerra dei sei giorni, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite adottò la risoluzione 242. Da allora, per i successivi quarant’anni, la 242 ha rappresentato la cornice legale per una soluzione di pace del conflitto arabo-israeliano. La 242 è infatti la sola risoluzione del Consiglio di Sicurezza che sia stata accettata da tutte le parti del contenzioso come base per la ricerca della pace.

Originariamente proposta dalla delegazione britannica all’Onu come una soluzione di compromesso, la 242 è stata successivamente incorporata come fonte legale in tutti gli accordi firmati tra Israele e interlocutori arabi: sia i due accordi di pace rispettivamente con Egitto e Giordania, sia gli accordi ad interim di Oslo con l’Olp si fondano tutti sulla 242.

Sebbene accettata da entrambe le parti del conflitto, l’interpretazione della risoluzione è diversa per gli uni e per gli altri. In effetti, raramente nella storia delle relazioni internazionali una risoluzione è stata sottoscritta da entrambe le parti in conflitto sulla base di due interpretazioni così diverse.

Ad esempio, la risoluzione chiede il “ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto”. L’articolo determinativi “i” (“dai territori”) o il termine “tutti” davanti alla parola territori non vennero inseriti nella risoluzione. E non si trattò certo di un errore di battitura. Lo scopo degli estensori del testo della risoluzione, infatti, era chiedere che Israele si ritirasse senza indicare l’estensione esatta del ritiro: la cosa veniva lasciata al negoziato fra le parti. È quanto sostiene Israele, e senza dubbio i diplomatici che stesero la bozza della risoluzione misero bene in chiaro, successivamente, che questa era esattamente la loro intenzione.

Ma la parte araba ha sempre sostenuto che la risoluzione chiede a Israele di ritirarsi completamente dai territori conquistati durante la guerra dei sei giorni. A riprova, viene esibita la versione della risoluzione in lingua francese nella quale l’articolo determinativo compare (“dai territori”).

La risoluzione inoltre non fa alcuna menzione degli arabi palestinesi, a parte un riferimento implicito là dove parla del “problema dei profughi”. Ciò condusse in passato a un lungo dibattito fra Olp, Stati Uniti e Israele sul fatto se la risoluzione dovesse essere emendata per includervi un riferimento specifico al problema palestinese. Tuttavia la risoluzione non è mai stata modificata e nondimeno la parte araba, Olp compresa, ha finito per accettarla come base per la pace.

È ben vero che successivamente vennero adottate altre risoluzioni dell’Onu (per lo più dell’Assemblea Generale, le cui risoluzioni non sono vincolanti) maggiormente rispondenti alle richieste degli arabi palestinesi e degli stati arabi. Ma nessuna di queste è stata sottoscritta da Israele.

In molti ambienti è invalsa l’abitudine di sostenere che Israele non rispetta le risoluzioni dell’Onu facendo riferimento in particolare, esplicitamente o implicitamente, alla 242 del Consiglio di Sicurezza, sostenendo che Israele la violerebbe dal momento che non si è ritirato da tutti i territori conquistati nel 1967. La verità è che la risoluzione 242 non chiede affatto a Israele di ritirarsi unilateralmente e senza condizioni. La 242 in realtà è composta da due parti: i paesi coinvolti nel conflitto devono negoziare la pace e riconoscersi a vicenda, e Israele deve operare un ritiro. La risoluzione non chiede affatto a Israele di ritirarsi prima che si arrivi a una composizione negoziata e definitiva, bensì di ritirarsi nel quadro della soluzione negoziata e definitiva.

Questa fu per l’appunto la differenza sostanziale fra i postumi della campagna del Suez del 1956 e la guerra dei sei giorni del 1967. Dopo la Campagna di Suez, a Israele fu chiesto di ritirarsi dalla penisola dei Sinai e dalla striscia di Gaza unilateralmente. Il ritiro di Israele avvenne senza condizioni. Viceversa, dopo la guerra dei sei giorni si è chiesto un ritiro israeliano solo nel quadro di una soluzione più ampia del conflitto.

Israele può ben sostenere d’aver attuato la risoluzione, almeno là dove possibile. Ad esempio, nel quadro dell’accordo di pace negoziato con l’Egitto, Israele si è completamente ritirato dal Sinai. Ed anche dopo gli accordi di Oslo, le forze armate israeliane si ritirarono in larga misura da Cisgiordania e striscia di Gaza. Inoltre, due anni fa, nell’estate 2005, benché non vi fosse legalmente obbligato, Israele si è completamente ritirato (militari e civili) da tutta la striscia di Gaza, unilateralmente e senza condizioni.

È chiaro che la storia di questi ultimi quarant’anni dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza in poi è stata segnata dalle diverse interpretazioni avanzate da israeliani e arabi. La cosa meriterebbe uno studio approfondito. Ciò che è fuor di dubbio è che non è stato delineato nessun altro strumento legale per la composizione del conflitto israelo-arabo-palestinese che sia sottoscritto da tutte le parti in causa.
(Da: Jerusalem Post, 22.11.07)

RISOLUZIONE 242 DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU (22 novembre 1967)
Testo integrale

Il Consiglio di Sicurezza

esprimendo la sua perdurante preoccupazione per la grave situazione in Medio Oriente;

sottolineando l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la guerra e la necessità di operare per una pace giusta e duratura in cui ogni Stato della regione possa vivere nella sicurezza;

sottolineando inoltre che tutti gli stati membri, accettando la Carta delle Nazioni Unite, si sono impegnati ad agire in conformità all’art. 2 della Carta;

1. Afferma che l’adempimento dei principi della Carta richiede l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente, che comprenda l’applicazione di entrambi i seguenti principi:

(i) ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto;

(ii) fine di ogni pretesa o stato di belligeranza e riconoscimento e rispetto della sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di tutti gli stati della regione e del loro diritto di vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, al riparo da minacce o atti di forza;

2. Afferma inoltre la necessità:

(a) di garantire la libertà di navigazione attraverso le vie d’acqua internazionali della regione;

(b) di raggiungere una soluzione equa del problema dei profughi;

(c) di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato della regione, attraverso misure che comprendano la creazione di zone smilitarizzate.

3. Richiede al Segretario Generale di designare un Rappresentante speciale da inviare in Medio Oriente per stabilire e mantenere contatti con gli stati interessati, al fine di promuovere un accordo e assistere gli sforzi volti al conseguimento di una composizione pacifica e accettata, conformemente alle disposizioni e ai principi della presente risoluzione;

4. Chiede al Segretario Generale di riferire al più presto possibile al Consiglio di Sicurezza circa i progressi nell’operato del Rappresentante speciale.

PER UNA CORRETTA LETTURA DELLA RISOLUZIONE ONU 242
(Jerusalem Post, 26.12.00)

La risoluzione Onu numero 242 approvata il 22 novembre 1967 è internazionalmente riconosciuta come la base giuridica dei negoziati tra Israele e i vicini arabi. Essa fu il risultato di cinque mesi di intense trattative. Ogni sua parola fu attentamente soppesata.

Alcuni propagandisti, tuttavia, diffondono quotidianamente una interpretazione errata della 242, sostenendo che essa prescriverebbe il ritiro di Israele sulle linee del 4 giugno 1967. Quelle linee erano le linee di cessate il fuoco fissate dagli accordi armistiziali del 1949, i quali dicevano espressamente che esse venivano accettate dalle parti senza alcun pregiudizio per la futura sistemazione territoriale. In un’intervista a Israel Radio del febbraio 1973 Lord Caradon, colui che presentò la risoluzione 242 per conto della Gran Bretagna, mise in chiaro che essa non prevedeva affatto l’obbligo per Israele di ritirarsi sulle linee del 1967. “La frase essenziale e mai abbastanza ricordata – spiegò Lord Caradon – è che il ritiro deve avvenire su confini sicuri e riconosciuti. Non stava a noi decidere quali fossero esattamente questi confini. Conosco le linee del 1967 molto bene e so che non sono un confine soddisfacente”.

I sovietici, gli arabi e i loro alleati fecero di tutto per inserire nella bozza di testo della risoluzione la parola “tutti” davanti ai “territori” da cui Israele doveva ritirarsi. Ma la loro richiesta fu respinta. Alla fine, lo stesso primo ministro sovietico Kossygin contattò direttamente il presidente americano Lyndon Johnson per chiedere l’inserimento della parola “tutti” davanti a “territori”. Anche questo tentativo fu respinto. Kossygin chiese allora, come formula di compromesso, di inserire l’articolo determinativo davanti a “territori” (“dai territori” anziché “da territori”). Johnson rifiutò. Successivamente il presidente americano spiegò la sua posizione: “Non siamo noi che dobbiamo dire dove le nazioni debbano tracciare tra di loro linee di confine tali da garantire a ciascuna la massima sicurezza possibile. È chiaro, comunque, che il ritorno alla situazione del 4 giugno 1967 non porterebbe alla pace. Devono esservi confini sicuri e riconosciuti. E questi confini devono essere concordati tra i paesi confinanti interessati”.

Nel dibattito, il ministro degli esteri israeliano Abba Eban chiarì la posizione di Israele: “Rispetteremo e manterremo la situazione prevista dagli accordi di cessate il fuoco finché non verrà sostituita da un trattato di pace tra Israele e i paesi arabi che ponga fine allo stato di guerra e stabilisca confini territoriali concordati, riconosciuti e sicuri. Questa soluzione di pace, negoziata in modo diretto e ratificata ufficialmente, creerà le condizioni nelle quali sarà possibile risolvere i problemi dei profughi in modo giusto ed efficace attraverso la cooperazione regionale e internazionale”.

Nella foto in alto: Hugh Mackintosh Foot, Baron Caradon (1907-1990), amabsciatore britannico al’Onu dal 1964 al 19790, fu l’estensore del testo della risoluzione 242.

Si veda anche:

Il falso parallelo

Risoluzione numero 1397
I testi e i fatti dimostrano che Israele rispetta e applica le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza

Come manipolare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu

Questi articoli sono pubblicati in: M. Paganoni, “Ad rivum eundem: cronache da Israele”, Proedi, Milano

Israele.net

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  • #1HaDaR

    בס”ד

    Israele, ritirandosi dal Sinai e dalla Striscia di Gaza, si è già ritirata dal 91% dei territori di riferimento della 242.
    PERCHÉ NON LO SCRIVETE?

    Non esiste nessun minimo comune denominatore per la pace.

    Gli arabi si riferiscono al testo francese – che non è quello ufficiale, come SPECIFICATO dal Consiglio di Sicurezza – che davanti alla parola territori ha gli articolo e aggettivi menzionati nell’articolo e SI GUARDANO BENE dal considerare le necessità di sicurezza d’Israele, visto che:

    1) la vogliono distruggere;
    2) fanno sempre riferimento alla 181;
    3) non moleranno ma sul ” diritto al ritorno”;
    4) vogliono liberare Haifa, Beth Shean, Beer Sheva, Yaffo, Safed, ecc.

    Smettiamola di raccontarCI e raccontar balle (addirittura ripescando articoli di 6 anni fa!) che supportano POSIZIONI AMPIAMENTE MINORITARIE IN ISRAELE, solo per servire l’agenda della sinistra e dell’UE, alle quali d’Israele non potrebbe fregare di meno, che, da decenni, le sono ostili e hanno adottato tutte le posizioni arabe sul conflitto.

    Noto che ultimamente (saranno le elezioni in Israele o quelle in Italia?) molti siti pro-Israele in Italia pubblicano sempre piú posizioni che sono di estrema sinistra.

    14 Gen 2013, 12:31 Rispondi|Quota