Gaza: Hamas mette in scena un processo contro Abu Mazen

 
Emanuel Baroz
13 ottobre 2009
4 commenti

Gaza: Hamas mette in scena un processo contro Abu Mazen

abu-mazen-hamasRafah (Striscia di Gaza), 12 Ottobre 2009 – Nella Striscia di Gaza alcuni ufficiali della polizia di Hamas hanno organizzato un “processo simbolico” ad Abu Mazen coinvolgendo un gruppo di scolari.

Durante la rappresentazione teatrale, un attore palestinese ha indossato una maschera con il volto del presidente palestinese Mahmoud Abbas: è stato accompagnato dalle guardie nell’aula del finto processo, dove una ragazza ha svolto il ruolo di testimone.

Il presidente dell’Anp è stato condannato al carcere a vita perchè “colpevole” del rinvio del voto Onu sul Rapporto Goldstone

(Fonte: Panorama.it & Israele.net)

Nella foto: un esponente di Hamas mascherato da Abu Mazen dietro le sbarre durante il “processo”

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  • #1Emanuel Baroz

    La disumana violazione che è sfuggita al rapporto Goldstone

    di Ze’ev Segal

    A chi fosse sfuggito l’incomprensibile gap che corre tra, da una parte, le inequivocabili conclusioni della commissione Goldstone che condannano Israele e le sue giustificazioni per l’offensiva anti-Hamas a Gaza e, dall’altra, l’enunciazione tenue e irresoluta che la stessa commissione utilizza quando deve criticare i palestinesi, può essere utile rileggere il breve brano del rapporto consacrato alla “perdurante detenzione del soldato israeliano Gilad Shalit”.

    La versione ufficiale del rapporto dedica solo due delle sue 452 pagine alla cattività di Shalit, a parte qualche fuggevole citazione del suo nome là dove descrive il background dell’operazione israeliana. E se normalmente il rapporto fa ricorso a un linguaggio assai duro, le sue enunciazioni si fanno improvvisamente molto concise e trattenute quando affronta questa materia.

    La commissione riconosce Shalit come un prigioniero di guerra e quindi come qualcuno che dovrebbe essere protetto dalla Terza Convenzione di Ginevra. Impedire alla Croce Rossa di visitare qualcuno protetto da tale Convenzione costituisce un grave colpo e una evidente violazione del diritto umanitario internazionale. Ma il rapporto della commissione evita di soffermarsi su questo aspetto, o di entrare nei dettagli delle esplicite disposizioni della Convenzione su questa materia, e si guarda bene dal sottolineare che Shalit è stato trattenuto in cattività per più di tre anni senza che alla famiglia né a un qualunque ente autorizzato venisse trasmessa praticamente nessuna vitale informazione sulle sue condizioni.

    Il video di Shalit diffuso venerdì scorso, dopo più di 1.200 giorni nella mani di Hamas in una località sconosciuta, non attenua in nulla la gravità dell’abuso fin qui perpetrato ai danni di Shalit e dei suoi famigliari col fatto di privarli di qualunque informazione sulla sua sorte per un tempo così esasperatamente lungo. Come ha fatto notare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il filmato “scioglie” l’interrogativo se Gilad sia vivo, ma non fa molto di più. E la differenza fra diffondere questo filmato e permettere al personale della Croce Rossa di incontrare di persona Shalit rimane enorme.

    Il video, dettato dai sequestratori in un ogni minimo dettaglio, potrebbe venire erroneamente considerato un sufficiente sostituto dei dovuti incontri fra Shalit e il personale della Croce Rossa. E invece bisogna come minimo ricordare che questo video non è stato consegnato dai terroristi palestinesi per rispondere a una minima richieta umanitaria internazionale, bensì come frutto esso stesso di un feroce ricatto, in cambio della scarcerazione di una ventina di detenute palestinesi che scontavano pene (dopo regolare processo, e con regolari visite di famigliari, avvocati, personale internazionale) per reati legati al terrorismo.

    Nel rapporto Goldstone tutto l’interminabile affare Shalit merita solo una scarna descrizione, ed anche questa si occupa per lo più del fatto che Israele ha colpito degli edifici a Gaza e arrestato degli esponenti governativi palestinesi allo scopo di ottenere il suo rilascio. L’audizione del padre, Noam Shalit, davanti alla commissione a Ginevra lo scorso luglio merita solo due frasi, e non è più lunga l’anemica conclusione del rapporto circa l’obbligo di Hamas di permettere che Gilad abbia contatti con il mondo esterno e che vengano permesse visite della Croce Rossa “senza indugio”.

    A quanto è dato sapere, i membri della commissione non chiesero nemmeno di poter vedere Shalit nei giorni del loro sopralluogo nella striscia di Gaza. Ma nelle due sole pagine del rapporto dedicate al soldato in ostaggio trovano il tempo di esprimere preoccupazione per le affermazioni rilasciate da alcuni leader israeliani circa la prosecuzione del “blocco” di Gaza finché Shalit rimane nelle mani dei suoi rapitori. La commissione la considera una “punizione collettiva” della popolazione civile, e sottolinea d’aver ascoltato il resoconto di testimoni secondo i quali – c’è da sorprendersi? – durante l’operazione a Gaza i soldati israeliani interrogavano i palestinesi arrestati sulla sorte di Shalit.

    È difficile credere che la raccomandazione contenuta nel rapporto di permettere visite a Shalit “senza indugio” riecheggerà e livello internazionale. Ma questo non vuol dire che sia superfluo ricordarla, insieme alla richiesta di un’indagine indipendente sui 36 incidenti descritti nel rapporto.

    Anzi, la non applicazione delle conclusioni del rapporto riguardo alle visite della Croce Rossa a Shalit dovrebbe rilanciare la proposta di negare le visite famigliari ai detenuti di Hamas in Israele. Alcuni mesi fa, infatti, un gruppo di parlamentari israeliani aveva inoltrato una proposta di legge volta a impedire visite dei famigliari a qualunque detenuto affiliato a un’organizzazione terroristica che trattenesse in cattività un cittadino o residente israeliano rifiutandosi di permettere incontri con tale prigioniero. La proposta – che il governo potrebbe attuare anche senza un’apposita legge – non è sproporzionata né costituisce una violazione del diritto internazionale giacché permetterebbe comunque ai detenuti in questione di incontrare i loro avvocati e il personale della Croce Rossa.

    Negare qualunque informazione sulla sorte di Shalit per più di tre anni è un atto semplicemente disumano, e nessun video meticolosamente allestito potrà cambiare questo dato di fatto. Se il filmato diffuso indica, come sostiene Hamas, che Shalit è in buone condizioni e che ha “eccellenti rapporti” coi suoi sequestratori – come afferma l’ostaggio leggendo le parole accuratamente dettate dai carcerieri – allora Hamas non dovrebbe avere nulla da nascondere.

    Israele deve continuare a insistere perché al personale della Croce Rossa venga permesso di incontrare l’ostaggio. Anzi, questa visita dovrebbe essere il prossimo passo.

    (Da: Haaretz, 5.10.09)

    http://www.israele.net/articolo,2625.htm

    13 Ott 2009, 11:45 Rispondi|Quota
  • #2Ari Shavit

    Attenzione a tutti i Goldstone del mondo

    di Ari Shavit

    Nessuno sa ancora quando scoppierà la prossima guerra. Forse fra un decennio, forse fra un anno, o magari addirittura il mese prossimo. Non è nemmeno chiaro dove scoppierà: forse sui confini della striscia di Gaza, forse in Cisgiordania, o magari a Gerusalemme. Ma una cosa è già perfettamente chiara: che la prossima guerra si chiamerà “la guerra di Goldstone”. Sarà la guerra tirataci addosso dal rapporto Goldstone, dal giudice Goldstone e dai suoi seguaci.

    È una faccenda abbastanza semplice. In Medio Oriente, mancando la pace, ciò che previene la guerra è la deterrenza. La deterrenza di Israele è stata considerevolmente erosa da due guerre in Libano, due intifade e due ritiri unilaterali. Di conseguenza Israele è costantemente sottoposto ad attacchi terroristici.

    Per evitare il deteriorarsi dalla regione nel caos più completo, a intervalli di alcuni anni Israele deve esercitare la forza. Queste limitate dimostrazioni di forza non conseguono mai una vittoria militare decisiva né una svolta nel processo di pace. L’unico loro scopo è stabilizzare i violenti rapporti fra Israele e arabi. In questo modo con le maniere forti esse creano un equilibrio temporaneo che sostituisce il conflitto aperto e garantisce una relativa calma per alcuni anni.

    Nel bene e nel male, l’offensiva anti-Hamas nella striscia di Gaza del gennaio scorso aveva ripristinato questo equilibrio: a costo di un pesante prezzo umano aveva indebolito Hamas e l’aveva frenata; a costo di un pesante prezzo morale, aveva rafforzato i palestinesi moderati permettendo loro di crescere. L’operazione aveva garantito agli abitanti del sud di Israele un raro intervallo di respiro. Per quanto brutale, aveva creato un’ impianto di stabilità sul quale era possibile costruire, strato dopo strato, un nuovo realistico processo di pace.

    Ma nelle ultime settimane l’equilibrio è stato rotto. Hamas sta rialzando la testa e i palestinesi moderati sono costretti a radicalizzarsi; nel sud è ripreso uno stillicidio di lanci di razzi Qassam, mentre le braci sul Monte del Tempio tornano incandescenti.

    Non sono coincidenze. Il rapporto Goldstone e lo spirito Goldstone stanno creando una situazione in cui la deterrenza che, conseguita a così caro prezzo all’inizio dell’anno, potrebbe spirare prematuramente, avvicinando pericolosamente il prossimo round del conflitto israelo-palestinese.

    È stato abbondantemente detto e scritto sul doppio standard che caratterizza rapporto Goldstone. Tuttavia oggi appare chiaro che Goldstone non è colpevole solo di un doppio standard (vedi Pakistan, Afghanistan, Iraq, Sri Lanka, Tibet…), ma anche di un doppio crimine politico. Con una mano ha allontanato ulteriormente la pace chiarendo che Israele, anche dopo un eventuale ritiro totale sulla Linea Verde, non avrà il diritto di difendere i suoi cittadini e la sua sovranità. Con l’altra mano ha avvicinato la guerra incatenando Israele in una camicia di forza che gli impedisce di esercitare in futura la sua forza.

    E così Goldstone, da una parte ha fatto il gioco della destra israeliana (aumentando enormemente i rischi connessi a un eventuale ritiro); dall’altra, ha infiammato l’estremismo palestinese (mettendo Israele sul rogo).

    I palestinesi vedono Goldstone come una sorta di Dalila che ha trovano il punto debole di Sansone e gli ha tagliato i capelli. Il che può portare a un unico risultato: violenza, e ancora violenza, e altra violenza, fino alla guerra.

    Il problema non è solo Goldstone. Il problema sono tutti i Goldstone. Da decenni la comitiva dei Goldstone conduce un insensata campagna di istigazione contro Israele. Israele ha contribuito in parte a questa campagna con l’occupazione, gli insediamenti e una certa arroganza. Ma i Goldstone non sono spinti da un onesto tentativo di spartire il paese, creare la pace e stabilire una giustizia universale da applicarsi a tutte le nazioni. Sono spinti dalla profonda necessità di ostracizzare Israele, condannarlo e distruggerlo.

    Sebbene alcuni dei più eminenti Goldstone siano ebrei e israeliani, essi non vedono la storia ebraica, la tragedia ebraica e le difficilissime circostanze in cui lo stato ebraico cerca di sopravvivere. Trattano Israele come una potenza perfida e onnipotente, responsabile di tutti i peccati del conflitto e di tutti i mali della regione.

    Il rapporto Goldstone non sarebbe mai stato scritto senza l’opera combinata, il pregiudizio combinato e l’odio combinato per Israele di tutti i Goldstone. Così il rapporto rispecchia sia il sacro furore di tutti i Goldstone, sia la loro assoluta convinzione che i palestinesi non possano fare nulla di sbagliato.

    Questa convinzione non mette in pericolo solo Israele, ma la calma e la stabilità di tutti. Nel loro fanatismo ed estremismo, Richard Goldstone e tutti gli altri Goldstone ci hanno spinto più vicini a un bagno di sangue.

    (Da: Ha’aretz, 9.10.09)

    http://www.israele.net/articolo,2629.htm

    13 Ott 2009, 11:49 Rispondi|Quota
  • #3esperimento

    L’ennesima prova della stretta relazione tra Hamas e l’Onu (in questo caso rappresentata da Goldstone): chi non è d’accordo viene processato.

    13 Ott 2009, 16:00 Rispondi|Quota
  • #4mirko

    La domanda è perchè mai ci sono tanti Richard Goldstone ???
    L’ unica risposta che riesco a darmi, è quella del fatto che non c’è ad oggi nessuno CHE abbia la voglia o la capacità , se non di fermare, comunque di frenare, tali farneticazioni.
    Non c’è stato al mondo, nessuno, ebreo, israeliano, agnostico o ateo che sia, che abbia messo in discussione tale rapporto, fin tanto che, coloro ai quali stà a cuore la sicurezza di Israele, ma anche quella del nostro modo di vivere, (democrazia di tipo occidentale), non alzeranno la voce, finche non si faranno manifestazioni, finche non faremo parlare di noi, ci saranno sempre dei Goldstone, e ci saranno sempre critiche tanto infondate, quanto senza appello, AD iSRAELE.
    E’ un problema questo, che caratterizza la situazione israeliana, da tempo immemore,almeno dal 67′ e ancora non abbiamo capito, ancora lasciamo che gli altri parlino anche per noi.
    ORA BASTA!!!!!!!!!!
    E’ IL MOMENTO DI FARSI SENTIRE , FORTEMENTE, E CHIARAMENTE.

    13 Ott 2009, 19:30 Rispondi|Quota