Quelle ossessioni rivelate su Israele
di Pierluigi Battista
L’affaire Unesco non è un incidente di percorso, ma l’ennesima rivelazione di un’ossessione antisionista, e antiebraica tout court, di un organismo internazionale che già in passato si è macchiato di imperdonabili atteggiamenti antisemiti. E dunque Matteo Renzi ha fatto bene, sia pur troppo tardivamente, a chiedere al ministro Gentiloni spiegazioni sull’«allucinante» astensione dell’ambasciatore italiano su una mozione Unesco che ha negato millenni di storia ebraica, de-ebraizzando con protervia il Monte del Tempio a Gerusalemme. Ma la spiegazione su un singolo episodio deplorevole non basta. Bisogna andare alla radice, chiedersi perché l’Italia abbia sentito il bisogno (per ragioni diplomatiche, geopolitiche, economiche, commerciali?) di non contrastare, come invece, e meritoriamente, altri Paesi democratici hanno fatto, la deriva antisemita che l’islamismo politico ha portato in una sede internazionale, e non soltanto in qualche tumultuosa piazza medioorientale. E chiedersi perché i Paesi nemici di Israele hanno proposto in sede Unesco una mozione così sciagurata e offensiva. Interrogarsi su quale obiettivo simbolico intendevano raggiungere. Chiedersi se questo voto non sia l’ultimo di una serie di atti ostili nei confronti di Israele che si sono consumati per decenni con la sostanziale indifferenza del nostro Paese. E chiedersi soprattutto perché sono riusciti a trascinare anche l’Italia nel disonore di questo voto.
E qualcosa bisognerà pur dire su un organismo come l’Unesco, che pure dovrebbe promuovere la pace mondiale nella cultura e nell’arte, e che nel 2002 stava per designare come suo direttore, contrastato con successo da Elie Wiesel, l’egiziano Farouk Hosni, famoso per aver dichiarato davanti al Parlamento del Cairo di voler bruciare personalmente i libri israeliani raccolti nella Biblioteca di Alessandria. E dire qualcosa sulla casa madre dell’Unesco, l’Onu, di cui ancora non si perdona il patrocinio della disgustosa gazzarra antisemita di Durban nel 2001, quando i rappresentanti islamisti, lo ha raccontato Nadine Gordimer, ostentarono t-shirt con invettive hitleriane contro gli ebrei. Una coazione a ripetere di cui si possono rintracciare i sintomi già in epoche più remote, come la risoluzione Onu del 1975 che equiparava il sionismo al «razzismo» (dimentichi della lezione di Martin Luther King che rivendicava il diritto ebraico a una Patria). Con episodi grotteschi, se non fossero tragici, come la nomina della Libia dell’allora leader Gheddafi, uno Stato poliziesco che sguinzagliava gli squadroni della morte per annientare i dissidenti anche espatriati, a capo della Commissione dei diritti umani, e dell’Iran degli ayatollah e della lapidazione delle adultere alla testa della Commissione sui diritti delle donne.
Per complesse ragioni politiche e morali, non ultima la storica indole filo-araba della classe dirigente della Repubblica italiana ( soprattutto della Prima, nella sua versione democristiana e in quella comunista), l’Italia non ha mai affrontato esplicitamente il tema degli inquinamenti anti israeliani e antisionisti dell’ideologia «onusiana» di cui l’ultima mozione sulla non ebraicità dei luoghi sacri dell’ebraismo è stato l’episodio più clamoroso. Ed è probabile che nell’opzione astensionista del rappresentante italiano abbia agito quello che lo stesso Renzi ha definito l’«automatismo» culturale di una subalternità alle tesi dei Paesi arabi e islamisti. Le istituzioni come l’Onu e l’Unesco, purtroppo, dispongono di maggioranze formate da Paesi che non conoscono la democrazia e senza un’azione di contrasto dei Paesi democratici, l’ondata antisemita rischia di dilagare, mentre dalle università europee partono pericolose esortazioni al boicottaggio anche scientifico di Israele e l’Ue sta maturando un atteggiamento «morbido» nei confronti di Hamas che pure non nasconde il suo programma di annientamento. Va ripensato il nostro atteggiamento complessivo nei confronti dell’Unesco e delle sue impresentabili maggioranze. Le scuse non bastano. L’«allucinante» astensione non deve avere mai più una replica.