Droga e riciclo di denaro: così finanziavano Hezbollah

 
Emanuel Baroz
7 febbraio 2016
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Droga e auto usate per finanziare le armi di Hezbollah

Nel complesso meccanismo di riciclaggio coinvolti libanesi a Torino, Cuneo e in Liguria

di Massimiliano Peggio

hezbollah-terrorismo-finanziamento-focus-on-israelFiumi di cocaina e denaro riciclato per finanziare le armi di Hezbollah, mentre il prezzo del petrolio cala costringendo i grandi finanziatori a tagliare i fondi a sostegno del «Partito di Dio». Così analisti di Washington inquadrano l’operazione svelata nei giorni scorsi dalla Dea americana che ha portato alla luce una vasta rete criminale alle spalle del partito libanese, con gruppi di affiliati specializzati nel riciclaggio di denaro sporco, sparsi in Europa e in Italia, con rivoli scovati dalla Guardia di Finanza che lambiscono Torino, il Cuneese e la Liguria.

Cinque fratelli libanesi, insospettabili commercianti di auto e macchinari industriali usati e destinati al mercato africano, da un anno sono sotto inchiesta della procura torinese, su segnalazione della Dea e dell’Fbi. Accusati di associazione con finalità di terrorismo internazionale e riciclaggio di denaro, con gli altri «colleghi» individuati dalle autorità americane con l’aiuto dell’Europol in Belgio, Francia e Germania, sarebbero inseriti in un network di società create con l’unico scopo di riciclare soldi per «approvvigionare» le attività di Hezbollah.

Il «Partito di Dio», considerato terrorista da Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Israele, ma nemico del Califfato, da anni fa affari con i cartelli sudamericani. Affari che gli analisti di Washington ritengono in crescita, per compensare la diminuzione di aiuti economici da parte dell’Iran. L’operazione della Dea, chiamata «Progetto Cassandra», conclusa con l’arresto di quattro attivisti operativi e la scoperta di numerosi fiancheggiatori, è il coronamento di una lunga indagine partita già nel 2011, con l’individuazione delle operazioni illecite della Lebanese Canadian Bank, istituto costretto alla chiusura dopo una sanzione di 102 milioni di dollari. Ed è proprio seguendo queste transazioni internazionali che le autorità americane hanno individuato in Italia uno dei terminali del network. Nei fascicoli redatti dall’intelligence americana, il ruolo centrale è attribuito ad Ayman Saied Joumaa, un colombiano di origini libanesi nato nel 1964, che ha dato vita ai traffici di cocaina, spedendo ingenti carichi in Africa e in Europa attraverso le rotte atlantiche. Secondo la Dea e l’Fbi, che hanno coinvolto nelle indagini le autorità italiane, i flussi di denaro derivanti dal traffico di droga confluivano direttamente nelle filiali della Lebanese Canadian Bank. Da qui, con società di cambio e money transfer tra cui la Ellissa Exchange Companyo anche con l’impiego di corrieri di valuta, finivano a società specializzate nella compravendita di veicoli usati e macchinari industriali dismessi da aziende in crisi. Secondo le indagini del nucleo di polizia tributaria di Torino, solo una parte della merce finiva in Africa, il resto era costituito da movimentazioni fittizie: semplice passaggio di carte per giustificare i flussi di denaro in entrata e in uscita.

I cinque fratelli libanesi, considerati da fonti di intelligence vicini al movimento sciita di Hezbollah, avrebbero movimentato con le loro società 70 milioni di euro in pochi anni. Per questi motivi la Ellissa Exchange, di cui erano titolari Ali Mohamad e Jamal Kharoubi, era stata inserita dal Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti nella lista nera dei capitali dell’Ofac – Office of Foreign Asset Control -, poiché ritenuta direttamente coinvolta nel riciclaggio dei proventi illeciti del traffico di cocaina. Come i cinque libanesi attivi in Italia, avrebbero fatto gli altri gruppi europei, seguendo uno schema identico. Non è escluso che dall’indagine torinese, tutt’altro che conclusa e concentrata da mesi nell’analisi di migliaia di file sequestrati ai 5 commercianti, possano emergere novità.

Per documentare il reale flusso di veicoli in rapporto alle fatturazioni, le autorità americane hanno utilizzato anche satelliti spia per fotografare i depositi in Africa. L’intreccio di investigazioni ha consentito così di completare l’indagine e arrivare nei giorni corsi ad una svolta. Secondo la Dea la rete ha utilizzato i proventi della droga e il traffico di veicoli usati per acquistare armi per Hezbollah per attività sia in Libano che in Siria. Ma il panorama, mutato con l’escalation del Califfato rischia ora di stravolgere i fronti. Così come il nuovo atteggiamento dell’Iran.

(Fonte: La Stampa, 6 Febbraio 2016)

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